Wired: Chi sono gli attivisti del Partito Pirata e perché potrebbero vincere le elezioni in Islanda

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Chi sono gli attivisti del Partito Pirata e perché potrebbero vincere le elezioni in Islanda

Report dal paese dei ghiacci e del fuoco, dove il Pirater potrebbe vincere le elezioni e sostenere un governo di coalizione con chiunque voglia contribuire a un cambiamento di sistema

di ARTURO DI CORINTO per Wired del 24 Ottobre 2016

 

Tortuga, il quartier generale del Partito Pirata islandese

Reykjavik — Si chiama Tortuga ed è il quartiere generale dei pirati islandesi: situato nella zona del vecchio porto, proprio davanti all’Oceano, è una bandiera col simbolo pirata ad annunciare che sei arrivato nel posto giusto. All’interno, una ventina di pirati prepara le prossime mosse per dare l’assalto alla flotta avversaria. Ma non somigliano per niente ai personaggi cui le storie di Salgari ci hanno abituato da piccoli. Sono tutti belli, alti, biondi, ben vestiti e sorridono.

La bandiera del Partito Pirata

Hàkon è un simpatico commesso col basco inclinato, Hudi un gigante dalla barba rossa e fa il programmatore, Sara è un’artista, mamma di quattro figli, e poi c’è Olga, studentessa di legge. Sono i primi ad accoglierci. Intorno a dei tavoli di legno, davanti a una selva di computer, ci sono gli altri: medici, ingegneri, pescatori, tour operator, pensionati. E poi c’è Johann, il responsabile della campagna elettorale del Partito pirata.

Sì, questi pirati sono gli attivisti e i candidati alle elezioni del partito pirata islandese, nato 10 anni fa sulla scia del Pyratbyran svedese di Rickard Falkvinge e che adesso hanno una loro rappresentanza nell’Althingi, il Parlamento islandese.

Capitanati dalla poetessa Birgitte Jonsdottir, sono la speranza di un quarto degli islandesi di mettere fine alla corruzione del paese, impedire la privatizzazione di servizi pubblici essenziali, mettere in pratica la Costituzione. Un mese fa la proiezione di Gallup li accreditava al 25.

6% delle preferenze di voto dei 340mila abitanti del paese nordico. Oggi i sondaggi li danno in calo al 21% nelle proiezioni.

La bandiera del Partito Pirata

Hanno le idee molto chiare: tutti dicono che non è possibile lasciare il paese in mano a un’oligarchia di imprenditori della pesca, la loro maggiore industria. E sono preoccupati degli effetti della crisi economica degli ultimi anni che ha eroso uno stile di vita e un welfare invidiabili anche per tedeschi e svedesi e che perciò chiedono a tutti di partecipare alla gestione delle risorse pubbliche.

Questa è la maggiore differenza con gli altri partiti pirata europei. Le radici del Piratar (così si chiama), affondano comunque nella difesa dei diritti civili e delle libertà digitali, ma questi pirati sono più attenti di altri all’economia reale. È questo che li ha trasformati da movimento di nicchia a partito che vuole giocare sul tavolo del governo. E ci riuscirà se, come dicono alcuni sondaggi, manderanno almeno 15 rappresentanti in parlamento a sostenere un governo di coalizione, con chiunque voglia contribuire a un cambiamento di sistema. E tuttavia sarà difficile farlo con gli indipendentisti, l’ala liberal-conservatrice del parlamento, visto che nel programma dei pirati c’è la depenalizzazione delle droghe, l’aumento delle tasse per i più ricchi, una riforma radicale del copyright, la difesa della neutralità della rete e della privacy dei cittadini.

Erikur, uno degli attivisti del Partito Pirata

Memori della lezione del 2008 — quando lo shock della crisi finanziaria fece fallire le tre maggiori banche del paese, con una caduta del prodotto interno loro quasi del 60% — gli islandesi vogliono riprendere il futuro nelle loro mani e dopo essersi rimessi in piedi con misure drastiche, da soli e senza l’intervento di organismi internazionali, oggi vogliono fare un passo avanti. Loro, i pirati, sono l’avanguardia. All’epoca la ricetta fu basata sul rilancio del turismo e sull’economia Internet. Oggi sanno che non si vive solo di questo, ma è su questa base che vogliono ripartire. Con un altro metodo.

Famosi per aver riscritto la Costituzione insieme, in stile wiki, i pirati islandesi che parlano con noi dicono che il metodo con cui si fanno le cose conta più dei risultati. È Hudi a spiegarci che la democrazia diretta fa parte proprio del dna pirata: i 146 candidati scelti nella primarie del partito sono stati decisi da 4mila tesserati col metodo schulze, un metodo multipreferenza che permette di dare un peso diverso alle proprie scelte. Un anno fa questi “grandi elettori” erano solo 400.

Difficile non cogliere le somiglianza coi Cinquestelle delle origini. Nessuno degli attivisti o dei candidati è un politico di professione. Persino uno dei tre rappresentanti attualmente in parlamento ha deciso di non ricandidarsi per tornare a occuparsi del lavoro precedente e della famiglia. Gente normale, di ogni estrazione, senza brama di potere, che discute e decide in maniera orizzontale, senza mai alzare la voce.

Sara, una degli attivisti del Partito Pirata

Sara, che ha appena finito di dipingere un quadro ed ha ancora le dita macchiate di blu oceano, tra una telefonata e l’altro al marito che tiene i bambini quando va al partito, ci dice che la sua battaglia è per l’assistenza sanitaria. Coinvolta nel partito solo due anni fa dopo le proteste dei medici contro i tagli alla sanità, è schierata per il rafforzamento del welfare per i meno abbienti, quelli che non si vedono, ma che ci sono, anche nella ricca Islanda.

Hàkon, il commesso, ha perso il lavoro proprio ieri, ma dice di non essere preoccupato tanto per se stesso quanto per tutti gli altri che si trovano in questa situazione, ma che allo stesso tempo sa che ognuno deve fare la sua parte. Si commuove mentre ce lo racconta, e ci dice che il Partito Pirata è l’unico posto dove i fatti della vita, le esperienze belle e brutte possono essere condivise e trasformarsi nella forza delle idee. Un posto, il Piratar, dove anche uno come lui che non ha studiato può fare la differenza.

Hudi, il gigante con la barba rossa intrattiene gli altri disegnando schemi alla lavagna. A guardarli bene sono dei workflow, schemi di azione da condividere online con gli altri attivisti. Lui pensa che l’Internet economy sia importante per il paese, perciò, dalla difesa della privacy, aspira a creare nuovi posti di lavoro usando la leva digitale.

Olga, la studentessa, è l’unica che non sembra avere progenitori vichinghi. Ma nelle sue parole ne traspare la forza leggendaria. Non permetterà a nessuno di rimanere indietro in questi tempi così incerti.

 

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