The Internet greenification
di Arturo Di Corinto e Ania Maslova
“Youtube è il tuo alleato”, “I blog sono più veloci dei telegiornali”, “Le immagini di Flickr ti dicono la verità”, “Cerca le parole chiave delle elezioni iraniane su Twitter”: quattro modi per resistere alla censura dell’informazione prodotta dal braccio di ferro tra Ahmadinejad e Moussavi. Li elenca Ben Parr, tech guru di San Francisco su Mashable.com. 150.000 cinguettii all’ora parlano di Iran e di Moussavi, il Dipartimento di Stato americano chiede a Twitter di rimandare l’upgrade dei propri sistemi per mantenere attivo il servizio. In rete c’è tutto un florilegio di vignette, appelli video, richieste di mobilitazione a favore dei giovani iraniani scesi in piazza. La chiamano “Internet greenification” un modo per dire che le proteste contro il presidente iraniano all’indomani delle elezioni stanno colorando di verde anche la Rete.
Verde è il colore del candidato “riformista” Moussavi e Internet è diventato il mezzo principale di protesta e “controinformazione” dei suoi sostenitori. I fatti sono noti: nelle elezioni presidenziali di pochi giorni fa in Iran, il presidente in carica sarebbe uscito confermato e addirittura rafforzato da un plebiscito popolare in suo favore, ma l’opposizione verde non si è rassegnata, ha denunciato brogli, è scesa in piazza, ha chiesto il sostegno di tutti i democratici del mondo attraverso la rete. Quest’ultima, la sola chance di comunicare liberamente con il paese e con l’esterno, per coloro che si sono sentiti scippati del voto, dato il pesante controllo dell’informazione esercitato dall’establishment pro-Ahmadinejad. Da allora è stato tutto un fiorire di blog, messaggi, appelli online contro il presidente in carica, mentre in piazza le violenze contro i manifestanti proseguivano, i giornalisti stranieri venivano allontanati, le radio libere chiuse. Poi è stata la volta di Internet e il regime ha tagliato i ponti con l’esterno e impedito l’accesso ai siti scomodi. Con un’eccezione: Twitter. Il motivo? A dispetto di altri siti e blog, Twitter può essere aggiornato via SMS da qualunque posto prenda un cellulare. Bloccare Twitter significa quindi bloccare tutta la rete di telefonia mobile, un’operazione difficile da reggere per più di poche ore perfino per il regime di Teheran.
Anche in Itaila molti già sapevano dell’esistenza di questo social network di nome Twitter, una piattaforma di microblogging, che consente agli utenti registrati di inviare brevi messaggi di testo ai propri “followers” e di leggere quelli dei following, e nonostante il sito fosse venuto alla ribalta già con le elezioni americane, nessuno forse aveva finora compreso il suo potenziale di mobilitazione e di controinformazione, grazie all’immediatezza e alla facilità d’uso. Certo quando il topic #iranelection è diventato un argomento di tendenza con centinaia di post al secondo e 20 milioni di persone hanno deciso di colorare di verde il proprio profilo, si è capito che Twitter non era solo uno strumento per esercizi di brevità da una tastiera – i singoli messaggi non possono superare i 140 caratteri – ma uno strumento potenzialmente rivoluzionario, soprattutto in un paese come l’Iran dove i giovani che non possono entrare negli Internet cafè usano volentieri il cellulare.
Naturalmente Twitter non è l’unico strumento resistente alla censura. In tanti anni di di battaglie per la libertà in rete gli hacker hanno sviluppato sofisticati strumenti contro la censura: l’anno scorso il Chaos Computer Club, ha regalato ai giornalisti che seguivano le olimpiadi di Pechino la Freedom stick, una penna usb con dentro il software per comunicazioni cifrate, questa volta Pirate Bay, che usando la stessa tecnologia, Tor, ha messo in piedi un sito a prova di rappresaglia, whyweprotest.net che anonimizza il mittente dei post sul sito. Intanto mentre scriviamo arriva un nuovo messaggio via Twitter: gli studenti dell’Università di Teheran chiedono l’aiuto di esperti per mettere in piedi una chat su Internet a prova di spia.