Contro la censura, l’importanza di essere anonimi

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Contro la censura, l’importanza di essere anonimi
Arturo Di Corinto
per Peace Reporter di Novembre 2010

Agli inizi di Internet andava di moda una battuta: “Su Internet nessuno sa che sei un cane”. Veniva usata per dire che in rete siamo tutti uguali e abbiamo lo stesso diritto di esprimerci. Ed era esattamente così che i suoi progettisti avevano immaginato la rete, un luogo di scambio paritario, grazie all’uso di tecnologie aperte e flessibili. La tecnologia adottata, il packet switching e il principio della net neutrality – secondo cui ogni bit è creato uguale e non può essere discriminato – ne garantivano la democrazia. Col tempo abbiamo appreso che questo approccio rivoluzionario non poteva andare bene per tutti e abbiamo scoperto l’insofferenza di tanti paesi nell’accettare un elementare principio di democrazia. Molti stati non tollerano la libertà che Internet promuove e rappresenta e questa intolleranza diventa molto spesso censura. Continua a leggere Contro la censura, l’importanza di essere anonimi

Wikileaks: quando trapela la notiza

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Wikileaks: quando trapela la notiza
Arturo Di Corinto
per Peace Reporter di ottobre

Amnesty International ha insignito nel 2009 Wikileaks del premio “International Media Awards” riconoscendone la meritoria azione informativa nel campo dei diritti umani.
Wikileaks è un sito che pubblica informazioni che i governi tendono a mantere segrete e per questo si autorappresenta come un sito anticorruzione. Fondato da un gruppo di giornalisti e attivisti per i diritti umani europei e americani, teologi della liberazione brasiliani e dissidenti cinesi e iraniani, Wikileaks è stato spesso alla ribalta anche per le modalità di raccolta di informazioni privilegiate e top secret che possono essere inviate al suo sito in assoluta segretezza grazie all’uso della crittografia. Un team di volontari organizza e pubblica queste notizie garantendo la segretezza, l’affidabilità e la sicurezza delle fonti, mentre un gruppo di hacker distribuito ai quattro angoli del pianeta si occupa della sicurezza del sito e di chi lo contatta.

Wikileaks due mesi fa ha pubblicato gli “Afghan war diaries” che hanno messo in grande imbarazzo l’amministrazione Usa rendendo noti 76 mila documenti di intelligence circa le (pessime) modalità di gestione del conflitto afgano. Ed é subito scoppiata la polemica, ma senza che nessuno mettesse i dubbio direttamente la veridicità dei contenuti pubblicati. C’è stato chi ha accusato Wikileaks di “intelligenza col nemico”, chi di ingenuità e manipolazione, scorrettezza giornalistica e finanche attentato alla sicurezza dello stato. Mentre i suoi sostenitori e lettori aumentavano di numero, è stata avviata una vera e propria campagna di delegittimazione nei confronti dell’organizzazione no profit e del più celebre dei suoi fondatori, l’australiano Julian Assange, accusato di stupro da due donne che hanno poi ritrattato. Ma se indagare sulla fondatezza dell’accusa di stupro ci porta nel terreno delle più classiche cospirazioni, la seconda accusa necessita di essere approfondita. Continua a leggere Wikileaks: quando trapela la notiza

We want bandwith

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We want bandwith. Perchè la banda larga non decolla in Italia
per Peace Reporter di Settembre
Arturo Di Corinto

Internet è la più grande agorà pubblica che l’umanità abbia mai conosciuto, ma non è democratica perché non tutti sanno usarla, non a tutti è consentito accedervi e a dispetto di quello che si pensa è un bene scarso, distribuito nel mondo in maniera ineguale.
Eppure l’accesso a Internet è ormai un corollario fondamentale del diritto alla libertà individuale, perché fornisce quegli strumenti critici attraverso i quali ci si forma un’opinione, e il suo utilizzo è dientata la precondizione per potere esercitare gli altri diritti, come la libertà di opinione e di espressione. Secondo Hamadoun Toure, segretario generale dell’International Telecommunication Union (ITU), «i governi del mondo dovrebbero considerare la rete un’infrastruttura di base, come le strade, lo smaltimento dei rifiuti e l’acqua. Ma l’idea che Internet sia un diritto fondamentale dei moderni è lontana dai nostri lidi. Anche nella ricca Europa solo la Finlandia nel 2009 ha stabilito per legge che a ogni cittadino deve essere garantita ua connessione a 100 Mb, perchè la rete è uno strumento grazie al quale ciascun individuo può allargare le sue possibilità sia di crescita culturale che economica, come previsto dalla Costituzione. Continua a leggere We want bandwith

Il diritto all’informazione nel terzo millennio

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Il diritto all’informazione nel terzo millennio
per Peace Reporter di Luglio-Agosto
Arturo Di Corinto

“Ogni individuo ha diritto di ricevere, ricercare e impartire informazioni senza distinzione di razza e di genere, provenienza geografica o di religione”. Recita così l’articolo 27 della dichiarazione dei diritti umani, eppure ancora molta strada resta da fare per la sua piena attualizzazione. La censura di stato, gli oligopoli mediatici, l’arresto di reporter indipendenti, il digital divide, gli attacchi alle infrastrutture di comunicazione di paesi sovrani, le ripetute violazioni della privacy, i filtri tecnologici ai contenuti online prodotti dagli utenti, rendono questi diritti inesigibili nell’era della comunicazione globale in molti paesi, anche in quelli democratici.

Reporters senza frontiere e Amnesty International hanno denunciato a più riprese la violazione di questo primario diritto umano, stilando classifiche dei paesi dove minore è il rispetto per il diritto e la libertà d’informazione. A dispetto di quello che si pensa però, il problema non riguarda solo la Cina e l’Iran, responsabili a più riprese di pensati violazioni della libertà d’espressione verso cittadini, giornali, imprese, non riguarda solo il Pakistan o l’Afghanistan che restringono sempre di più l’universale diritto all’informazione, ma anche l’Egitto che usa il braccio di ferro contro i suoi blogger, o le minacce e le intimidazioni verso i giornalisti da parte del governo di Cuba. Continua a leggere Il diritto all’informazione nel terzo millennio

Democrazia è Comunicazione

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Comunicazione politica e nuove forme della democrazia
per Peace Reporter di Giugno
Arturo Di Corinto

Storicamente le forme della comunicazione si sono intrecciate con le forme della democrazia. Questo è stato vero da Atene in poi. Con l’avvento della comunicazione di massa l’illusione utopica che ogni nuovo medium potesse prefigurare una nuova alba della democrazia, ci ha accompagnati fino ai giorni nostri. Basta ricordare come sono stati salutati la comparsa della radio prima, del cinema e della televisione dopo. Sappiamo come è andata a finire: prima l’uso propagandistico e goebbelsiano di questi mezzi, poi concentrazioni e fusioni hanno creato conglomerati mediatici a guardia di ciò era utile comunicare alle masse e come, poi l’occupazione dello spazio mediatico di tycoon candidati a ricoprire le più alte cariche dello stato dalla Thailandia all’Italia passando per il Messico. Continua a leggere Democrazia è Comunicazione

La ricchezza della Rete

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La ricchezza della Rete
per Peace Reporter di Maggio
Arturo Di Corinto

Secondo il professore di Harvard Yochai Benkler – autore del libro “La ricchezza della rete” – coloro che si collegano a Internet nei paesi sviluppati, più di un miliardo di persone, hanno a disposizione da 4 a 6 miliardi di ore di tempo libero al giorno che possono essere sfruttate per produrre beni comuni digitali. E ha ragione: basta guardare gli ottimi risultati dell’enciclopedia online Wikipedia che offre milioni di voci redatte dagli utenti consultabili gratuitamente da chiunque. Ma questo tempo libero può essere occupato anche per fare politica.
Continua a leggere La ricchezza della Rete

Internet 2010

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Internet 2010
per Peace Reporter di Aprile
Arturo Di Corinto

Nei dieci anni trascorsi dalla bolla della new economy alla candidatura di Internet a Nobel per la Pace, tanta acqua è passata sotto i ponti. Ma dopo quaranta anni dalla sua nascita, Internet fatica ancora ad essere riconosciuta come un fenomeno sociale che influenza la vita anche di chi non la usa, come immensa agorà pubblica ed ecosistema globale degli scambi delle società avanzate.
In Italia leggi e commissioni che hanno provato a darle regole e confini hanno ottenuto solo di ritardare questo esplosivo fenomeno. La legge Urbani contro la pirateria audiovisiva, i decreti ammazza-blog, le denunce contro Indymedia, sono stati i tentativi maldestri e non riusciti della politica di mettere la museruola alla rete per via parlamentare mostrando il terror sacro dell’establishment verso un “oggetto” che metteva in discussione i vecchi assetti di potere. Continua a leggere Internet 2010

Un bavaglio all’autocomunicazione

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Un bavaglio all’autocomunicazione
per Peace Reporter di Marzo
Arturo Di Corinto

I tradizionali paradigmi della comunicazione sono saltati. L’industria dei media è in ristrutturazione. Siamo entrati nell’era della comunicazione personale di massa. La “MeCommunication”, l’autocomunicazione, ridefinisce il palinsesto comunicativo di ognuno intorno alle relazioni sociali dei singoli. Ovvio notare che tutto questo accade per effetto delle profonde trasformazioni portate dall’avvento di Internet e del Web 2.0. Ventiquattro ore di videoclip caricate ogni minuto su Youtube, migliaia di nuovi blog al giorno, quattrocento milioni di utenti attivi su Facebook, decine di miliardi di stringhe di parole su Twitter, ci dicono chiaramente che siamo entrati in una nuova era. Ma l’ingresso in questa nuova era dell’autocomunicazione, come la chiama il sociologo Manuel Castells, porta opportunità e problematiche, talvolta conflitti. Continua a leggere Un bavaglio all’autocomunicazione

Human Rights first! Google e la censura cinese

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Human Rights first! Google e la censura cinese
per Peace Reporter di Febbraio
Arturo Di Corinto

Google ha dichiarato di non essere più disposta a censurare i contenuti reperibili con la versione cinese del suo motore di ricerca. Ufficialmente la ragione andrebbe ricercata nella violazione di alcuni account di Gmail appartenenti ad attivisti per i diritti umani, in Cina e all’estero, e in una serie di non meglio precisati cyber-attacchi nei confronti dei suoi server, di cui il governo sarebbe corresponsabile. Affermazioni molto gravi che hanno indotto i cinesi a reagire prima diplomaticamente e poi, dopo l’intervento a favore della libertà di Internet del segreteraio di Stato Hillary Clinton, ad attaccare: “le aziende che lavorano in Cina devono rispettare la legge”. Sì, ma quali? Le leggi in questione riguardano la sicurezza nazionale della Cina e la sua stabilità sociale, minacciate, secondo i burocrati del partito/stato, da tutte le informazioni che riguardano il massacro di Tien An Men, la setta religiosa dei Falung Gong, il Tibet e il Dalai Lama, argomenti considerati potenzialmente dannosi dal paese del socialismo di mercato realizzato. Continua a leggere Human Rights first! Google e la censura cinese

Buon Compleanno, Internet!

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Buon Compleanno, Internet!
per Peace Reporter di Dicembre
Arturo Di Corinto

Internet ha compiuto quarant’anni. E oggi rappresenta la più grande agorà pubblica della storia dell’umanità. Tuttavia la sua storia è ancora poco conosciuta e sono in troppi a credere, sbagliando, che fu progettata per essere un’arma. Perciò eccovi la sua storia.
Quarant’anni fa, Il 29 ottobre del 1969 veniva effettuata la prima connessione fra due computer remoti, uno all’Università della California, Los Angeles, l’altro all’Università di Stanford a Palo Alto. Due erano le grandi novità di questa rete, il packet switching, l’idea di spezzettare le informazioni che viaggiano in rete come fossero i vagoni di un trenino che ad ogni ostacolo trovano da soli la strada per aggirarlo e ricongiungersi a destinazione, l’altra, l’uso degli Imp, computer intermedi per instradare questi pacchetti-vagoncini. Il risultato fu che una rete così pensata era indifferente a interruzioni di percorso dovute al malfunzionamento di uno dei suoi nodi. Continua a leggere Buon Compleanno, Internet!

Informazione non fa rima con verità

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Informazione non fa rima con verità
per Peace Reporter di Novembre
Arturo Di Corinto

Grazie a Internet e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione viviamo in un’epoca in cui tutto si può raccontare, tutto può essere reso pubblico, tutto può essere discusso, compreso e verificato. Grazie al web 2.0, ai social media e ai social network, possiamo creare circuiti d’informazione dal basso, autoorganizzati. Nonostante l’autogestione della propria informazione, però, un ruolo di primo piano nella formazione dell’opinione pubblica viene ancora giocato dai media mainstream e dai loro officianti, i giornalisti, i promoters, gli spin doctors, le agenzie globali di comunicazione. Il motivo è uno solo: l’informazione professionale viene considerata credibile, l’informazione amatoriale invece no. Continua a leggere Informazione non fa rima con verità

Libera rete in libero stato

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LIbera rete in libero stato
per Peace Reporter di Ottobre
Arturo Di Corinto

Il pluralismo e la libertà d’informazione non abitano in Italia. E questo accade non solo per l’abnorme conflitto d’interessi che riguarda il suo premier, ma perché da sempre i mezzi d’informazione italiani sono soggetti alla pesante influenza dei propri editori, alle dinamiche perverse della raccolta pubblicitaria e alla scarsa cultura democratica dei legislatori. Le redazioni giornalistiche del servizio pubblico radiotelevisivo sono lottizzate dai partiti mentre quelle di radio e tv private sono selezionate in base a criteri familistici e clientelari. Nelle redazioni regnano indiscussi la censura e il conformismo preventivo, e le schiene dritte sono sempre di meno. C’è un’alternativa all’informazione blindata che si chiama Internet. Grazie alla rete ognuno può diventare editore di se stesso e anche piccole testate giornalistiche possono competere con i grandi gruppi quando riescono a trovare la strada verso il proprio pubblico di “prosumer”, produttori e consumatori d’informazione. Proprio per questo Internet disturba, e i legislatori sono sempre al lavoro per limitarne uso e portata. Come se già non bastasse il digital divide a creare gli “information rich” e gli “information poor”. Continua a leggere Libera rete in libero stato

Libertà digitale non è avere un profilo nel libro delle facce

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Culture digitali
per Peace Reporter di Luglio-Agosto
Arturo Di Corinto

Nel caos indistinto della comunicazione globale si sente parlare di “culture digitali”, per indicare temi, pratiche, comportamenti, ormai trasversali: lo scambio di file musicali attraverso i circuiti del peer to peer, la disseminazione dei propri dati personali, gusti, tendenze, attraverso la moltiplicazione della propria identità nei social network, o la tendenza di gruppi consistenti a videogiocare in rete o a scambiarsi applicazioni per l’iPhone.
Ma se non fosse paradossale dovremmo più propriamente parlare di “cultura materiale”, quella “cultura” che caratterizza i modi di essere quotidiani in certi ambienti.
Sarebbe invece più appropriato parlare di cultura digitale quando tali comportamenti sono consapevoli e si ritrovano all’interno di gruppi sociali, quando sono legittimati da pratiche collettive, coerenti, ricorrenti. Ad esempio, quando lo scambio di file viene vissuto in maniera ludica ma consapevole con un pizzico di antagonismo e di ideologia antimonopolistica, quando insomma si rifiuta moralmente la tutela del diritto d’autore almeno per com’è intesa oggi, tutta sbilanciata a favore delle major; quando la creazione di un profilo dentro facebook serve a irradiare un messaggio politico, ecologista, femminista, a un pubblico fatto di amici di amici che sono i legami deboli attraverso cui arrivare al mondo; quando la scelta dell’iMac, dell’iPhone, dell’iPod è una scelta consapevole, contro Microsoft Windows, e altri sistemi operativi. Continua a leggere Libertà digitale non è avere un profilo nel libro delle facce

Analfabetismo e banda larga

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Analfabetismo e banda larga
per Peace Reporter di Giugno
Arturo Di Corinto

L’Italia è tra gli ultimi paesi in Europa per diffusione di Internet. Il Governo e gli oligopoli delle telecomunicazioni pensano di affrontare il problema posando nuovi cavi e incentivando la diffusione della banda larga. Ma non basta. I motivi sono molteplici. Il primo è che nonostante le intenzioni dichiarate, i grandi player non hanno intenzione di portare la rete veloce dove non è profittevole, come in certe zone montane dove non hanno certezza dei ritorni in termini di numeri e abbonamenti; il secondo è che i grandi player pur di bloccare potenziali competitor fanno blocco a livello europeo e italiano per impedire la diffusione di servizi concorrenziali ai loro, come nel caso della telefonia via Internet (Skype), che abbatterebbe i costi per gli utenti finali e ridurrebbe i loro introiti. Una situazione che fino a pochi giorni fa era nota solo agli esperti, ma che da oggi non è più così. Grazie a Wikileaks, un sito che, come dice, il nome, si occupa di far “trapelare” e quindi rendere pubbliche tutte le iniziative top secret di stati e governi. Continua a leggere Analfabetismo e banda larga

Peacereporter: Giro di vite sulla rete

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Giro di vite sulla rete
per Peace Reporter di Maggio
Arturo Di Corinto

Negli ultimi mesi stiamo assistendo in Italia ad una preoccupante enfasi normativa intorno ai territori del digitale. Con la scusa di “proteggere i più deboli”, i “più giovani”, o i “legittimi interessi” dei detentori di copyright, si fa passare il messaggio che Internet è un luogo pericoloso e da evitare.
L’onorevole Gabriella Carlucci vuole abolire l’anonimato su Internet. Un suo collega, Luca Barbareschi, vuole trasformare gli Internet provider in sceriffi della rete per fargli controllare i contenuti che attraverso le reti transitano. Altre proposte di legge vorrebbero attribuire responsabilità editoriale ai blog amatoriali impedendo di fatto la libera espressione del pensiero. Infine, il senatore Gianpiero D’Alia con un emendamento al pacchetto sicurezza vorrebbe far chiudere ogni sito, ogni forum, ogni blog, persino Youtube e Facebook, qualora si trovasse ad ospitare frasi diffamatorie o calunniose o oscene.
Il sottotesto di queste proposte è che chi usa Internet è un irresponsabile che va “protetto”da se stesso. Un approccio questo che stride fortemente con una delle caratteristiche più spiccate della società dell’informazione: il sapere comunicativo diffuso che giovani e meno giovani mettono in scena attraverso la produzione di siti web, blog, giornali elettronici, filmati e musica amatoriali. Continua a leggere Peacereporter: Giro di vite sulla rete

Peacereporter: Nativi digitali sul piede di guerra

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Nativi digitali sul piede di guerra
per Peace Reporter di Marzo
Arturo Di Corinto

Google video, Youtube, Current tv; Vlog, videosharing, social broadcasting, e la comunicazione visuale non ha più confini. Tutti possono diventare filmaker e raggiungere coi loro film una platea mondiale. Flickr, Picasa, le foto non hanno più un solo autore, si copiano, si manipolano, si scambiano, si vendono e si comprano in formato digitale. Myspace, P2P networks, net labels: la musica diventa liquida, si prestano accordi, si copiano soundtrack, si remixano brani. Tutti musicisti. Facebook, siti e blog personali: rivolgendosi a un pubblico di sconosciuti ognuno presenta il collage personale della propria vita aggiungendo e togliendo pezzi delle vite degli altri con due colpi di clik. Siamo nell’era dei media personali. Siamo nell’era della creatività di massa. Continua a leggere Peacereporter: Nativi digitali sul piede di guerra

La guerra di Gaza in Creative Commons

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La guerra di Gaza in Creative Commons
Arturo Di Corinto
per Peace Reporter di Febbraio

Il conflitto israelo-palestinese è un tema da sempre difficile da raccontare per via di tabù e rimozioni collettive, forti interessi geopolitici e traballanti interpretazioni della storia e del diritto internazionale fornite da entrambe le parti in causa. Quando si uccidono dei bambini però nessuna giustificazione può reggere. La guerra non può essere mai lo strumento per la risoluzione di controversie e per ottenere la pace l’unico strumento legittimo è il dialogo, a oltranza, per capire le ragioni dell’altro, trovare un accordo, costruire la fiducia reciproca, magari con la mediazione della comunità internazionale. Ma in una situazione dove il dialogo è impedito, la conoscenza dei fatti negata, l’informazione distorta, neppure la forza della parola può vincere. E quando anche i media, voce e strumento dell’opinione pubblica contribuiscono a impedire il dialogo, il risultato è sempre un disastro.
Nel dicembre scorso i media internazionali a Gaza hanno dato l’ennesima brutta prova di sé in occasione dell’operazione Piombo Fuso in cui l’esercito israeliano ha fatto ricorso a un uso massiccio di armi pesanti e sperimentali provocando la morte di circa 1500 persone, per la maggior parte civili, per punire i lanci di razzi degli integralisti di Hamas sulle loro case e per, almeno ufficialmente, piegarne la capacità militare. E’ qui che, tra veline dell’esercito e dichiarazioni di leader fanatici, notizie di terza mano e improbabili ricostruzioni giornalistiche, si è consumato l’ultimo “delitto” dei media in Palestina. Israele aveva impedito ai reporter di entrare nel territorio palestinese, le notizie arrivavano col contagocce e per tutti è stato difficile capire l’enormità di quello che stava accadendo. Chi voleva sapere, capire da lontano la tragedia di due popoli, poteva solo affidarsi alle notizie e alle poche immagini diffuse via Internet dai rari giornalisti presenti sul terreno oppure dai network internazionali, i cui reporter erano acquartierati sulla cosiddetta Collina della vergogna, lontano dai bombardamenti.
Ad un certo punto però è accaduto qualcosa. L’unica Tv presente con una redazione a Gaza ha deciso di mettere online tutte le riprese video dei propri operatori, senza commento e sottotitoli, consentendo a chiunque di farne uso gratuitamente con l’unica richiesta di attribuirgliene la paternità. La Tv è Al Jazeera International e il tipo di licenza applicata al footage è la Creative Commons, solo attribuzione. Da quel momento nessuna giustificazione è stata più possibile. (http://cc.aljazeera.net)

IRAQ WIDE WEB

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Internet modello Iraq
Arturo Di Corinto
per Peace Reporter di Gennaio

“Mandami un’email”, “ci vediamo su Facebook”, “cercalo su Google”…Siamo così abituati a parlare di Internet che ci sembra una cosa scontata. In realtà Internet è una risorsa scarsa, nel senso che non tutti ce l’hanno e nel senso che non è accessibile ovunque nel mondo. Come in Iraq.
(http://it.wikipedia.org/wiki/Iraq ). Secondo l’International Communication Union (ITU) a marzo 2008 in Iraq c’erano solo 54,000 utenti di Internet: lo 0.2% della popolazione complessiva, calcolata nel 2006 in circa a 27 milioni di persone.
Questo vuol dire due cose: la prima che il Digital Divide non è un’invenzione accademica. Il divario digitale dipende dalla povertà: non tutti hanno abbastanza soldi per pagarsi Pc e connessione a Internet, e spesso, a causa dell’analfabetismo nemmeno sono in grado di usarli. Il divario dipende dalla carenza di infrastrutture di rete e dall’assenza di Internet service providers sul territorio, ma anche dal fatto che alcuni stati limitano la sua diffusione e accesso per motivi politici o religiosi. E poi dipende da differenze di genere, linguistiche e culturali.
La conseguenza di tutto ciò è la difficoltà, in molti paesi, di informarsi attraverso fonti alternative ai media mainstream ma anche di realizzare un’informazione indipendente e alternativa a quella controllata da chi ha i mezzi per produrre, pubblicare e diffondere le news attraverso i mass media tradizionali.
Per colmare il gap informativo sull’Iraq gli italiani possono ricorrere al sito di Un Ponte per Baghdad, anche se forse le notizie proposte dall’associazione che pubblica la newsletter dell’Osservatorio Iraq non sempre “fanno notizia”.
Eppure al disinteresse che circonda l’Iraq almeno un’eccezione c’è stata. E’ accaduto quando il blog di un tale Salam al-Janabi, alias Salam Pax – la parola araba Salam e quella latina Pax significano “pace” – ha ottenuto un’imprevista attenzione dai mass media durante e dopo l’aggressione all’Iraq nel 2003. Salam, che aveva creato il blog per ritrovare un amico, lo usava per parlare della sua omosessualità, dei suoi amici, del governo di Saddam Hussein. Ha continuato ad aggiornarlo durante il conflitto raccontando i bombardamenti e le azioni di guerra nel suo quartiere, fino a quando la rete internet e la rete elettrica non furono interrotte. Questo è un altro rischio che Internet corre: per i militari la comunicazione è un bersaglio di guerra.

Italy.indymedia.org

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Indymedia: l’informazione dal basso
Arturo Di Corinto
per Peace Reporter di Novembre

Il panorama dell’informazione in Italia è desolante. Mentre lo Stato decide di tagliare i contributi ai giornali cooperativi e di partito e i tg fanno spallucce alla richiesta di pluralismo dei cittadini, i grandi gruppi editoriali continuano a spadroneggiare dettando l’agenda dei media. Però se c’è una notizia che non trovi sui giornali, la trovi su Indymedia. Il nodo italiano dell’Independent Media Center http://italy.indymedia.org è infatti risorto dalle sue ceneri da poche settimane e di nuovo si mette a disposizione di quanti vogliono produrre la propria informazione secondo lo slogan “don’t hate the media, become the media”, “non odiare i media, diventalo”. Questa creatura dell’informazione indipendente del secolo scorso, nata dalla volontà di un gruppo di attivisti per contestare il WTO di Seattle del 1999, è infatti il genitore putativo della generazione-blog a livello mondiale. Prima fra tutti a offrire una piattaforma di publishing online senza moderatori sui temi della politica e dei movimenti, Indymedia ha negli anni raccolto intorno a sé una nuova generazione di attivisti dell’informazione, i mediattivisti, che attraverso i nodi nazionali e locali dell’IMC hanno coordinato campagne, denunciato abusi e raccontato ciò che per i media mainstream era indicibile: la verità. Indymedia ha raccontato la verità sui pestaggi di strada e sugli abusi di Bolzaneto durante il drammatico G8 di Genova, ma soprattutto li ha mostrati, grazie a una moltitudine di civic journalist che nel suo software hanno trovato lo strumento per pubblicare audio, video, testi in piena libertà. Inaugurando un nuovo modo di fare informazione: da dentro la notizia, mentre accade. Una cosa che le redazioni “tradizionali” non sanno più fare.

Il Darfur sta morendo

logo peace reporterArturo Di Corinto
per Peace Reporter di Ottobre

Chi l’ha detto che i videogiochi fanno sempre male? Psicologi e massmediologici non si sono ancora messi d’accordo circa gli effetti negativi dell’esposizione a contenuti violenti generati da uno schermo, sia esso quello del televisore o quello del computer, ma il senso comune li ritiene comunque pericolosi. Adesso che si è verificato il sorpasso della tv da parte della rete internet il dibattito è ancora più acceso. Peccato che prescinda dai contenuti. Infatti, se è facile essere d’accordo che i tipici giochi “shot’em’up”, i cosiddetti “sparatutto” non siano il massimo per l’educazione, è tempo di aprire un discorso sui radical games e gli educational in rete, dove il mezzo, il design, l’interattività, possono essere usati per favorire una presa di coscienza di fronte a contenuti etici e sociali.
In Italia hanno fatto da apripista i videogames “politici” del sito Molleindustria.org (http://molleindustria.org) che da anni ormai si misura con fatti di forte rilevanza sociale come la precarietà, le guerre di religione, la deforestazione, l’avarizia delle corporations. Ma in giro per la rete se ne trovano di tutti i tipi. Un videogame di particolare significato è quello che si può giocare sul sito “Il Darfur sta morendo” (http://www.darfurisdying.com/). Si tratta di un videogioco virale che consente di condividere virtualmente la terribile esprienza dei 2 milioni e mezzo di rifugiati nella regione sudanese del Darfur. Ogni giocatore, impersonando un profugo, deve contribuire alla sopravvivenza del proprio campo base raccogliendo acqua e irrigando i campi, nella costante paura del prossimo attacco della milizia Janjaweed. In questo modo i giocatori non solo potranno sperimentare un transfer di esperienza identificandosi con Jaia, Rahman o Sittina, i protagonisti del gioco, ma anche imparare quello che c’è da sapere sul genocidio in Darfur che è finora costato 400 mila vite umane, e magari trovare il modo di attivarsi per mettere fine a questo disastro umanitario Come? Facendo informazione, scrivendo ai potenti della terra e disinvestendo da banche e finanziarie compromesse col regime (http://blogfordarfur.org).

In un mondo senza confini nessuno è illegale

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Arturo Di Corinto
Per Peace Reporter
di Luglio-Agosto

Un mondo in veloce trasformazione genera fenomeni di insicurezza diffusa. La globalizzazione dei mercati, la finanziarizzazione dell’economia, l’outsourcing e le speculazioni di borsa producono impoverimento, precarietà economica ed esistenziale, senso d’impotenza.
L’inadeguatezza delle politiche di welfare di fronte alla mutazione del lavoro e alla crisi degli Stati Nazione ha scosso dalle fondamenta la fortezza Europa. Così la paura di non poter progettare il futuro dovuta alla precarietà esistenziale si rovescia in paura per il diverso.
E la proiezione psicologica e fantasmatica delle paure individuali – di non trovare o mantenere un’occupazione, di non poter avere una casa, di non poter fare la spesa, di non accedere ai diritti d’un tempo – trova nell’altro da sé il capro espiatorio perfetto: il migrante.
Di volta in volta presunto responsabile del degrado urbano, dei reati contro il patrimonio, della violenza contro le donne.
Anche se le statistiche dicono il contrario. Anche se sappiamo che “il mostro” è dentro casa, nelle famiglie, nei governi e nei consigli d’amministrazione, nei comuni omertosi governati dalla camorra, è più “semplice” avere paura dei migranti. E la paura per i migranti diventa razzismo. Culturale, prima che biologico.
Ma non tutti si rassegnano alle semplificazioni ingigantite dai media di un fenomeno, le migrazioni, antico come l’uomo.
Da molti anni agisce in Europa una rete di attivisti contro il razzismo dal nome significativo, “No Border Network”. Fino all’ottobre 2008 questa rete europea sarà impegnata un una serie di eventi, proteste e azioni in tutto il continente: contro le detenzioni e le deportazioni, contro lo sfruttamento del lavoro migrante e per la legalizzazione di tutti gli immigrati. Per il diritto alla mobilità e alla permanenza di ciascuno e di chiunque.
Contro la logica dei confini. Nessuno è illegale in un pianeta senza confini. http://www.noborder.org

Informazione contro censura: Amnesty, Reporter Sans Frontieres, Internazionale

logo peace reporterArturo Di Corinto
per Peace Reporter
di Giugno

La virulenza degli attacchi subiti dal giornalista Marco Travaglio per aver ricordato vecchie accuse di collusione mafiosa al presidente del Senato, Renato Schifani, la dice lunga sulla libertà d’informazione in Italia. Certo, in un paese dove sono i comici come Beppe Grillo a dover denunciare i dati del disastro Parmalat, Sabina Guzzanti con le armi della satira ci deve spiegare la truffaldina riforma della TV operata da Gasparri e i pochi spazi informativi sottratti ai carristi di PD e PDL devono essere difesi coi denti, tendiamo a non preoccuparci di quello che accade altrove. Ma che la situazione della libertà di stampa e d’informazione in altri paesi sia drammatica ce lo ricordano tre siti. Amnesty International ha da poco lanciato sul web le petizioni per chiedere al governo cinese il rilascio di persone che sono state incarcerate per aver esercitato la libertà di parola denunciando gli sfratti forzati, le limitazioni delle nascite o per avere tenuto in casa opuscoli religiosi. Come pure la vicenda del giornalista Shi Tao, denunciato da Yahoo in quanto latore di una email a colleghi esteri considerata diffamatoria dal governo. (Amnesty Italia) Mentre Internazionale prosegue la sua campagna per l’arresto dei responsabili della giornalista dei diritti umani Anna Politkovskaja (Internazionale su Politkovskaja) sul sito di Reporter senza Frontiere si può leggere un rapporto sintetico ma dettagliato sui rischi che corrono i giornalisti in Europa, fra cui il giornalista antimafia italiano Lirio Abbate (che per primo aveva parlato dei rapporti pericolosi di Schifani). E si può fare anche di più, come sostenere la campagna per la sicurezza dei giornalisti che documentano guerre e atrocità acquistando il libro fotografico di Bettina Rheims a favore della libertà di stampa nel mondo. (Reporters sans frontières)

(IR)rresponabilità sociale d’impresa

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Arturo Di Corinto
per Peace Reporter
di Maggio

 

Per Corporate Social Responsibility (CSR) si intende l’integrazione di preoccupazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa. Adottando cioè un comportamento socialmente responsabile le imprese cercano di rispondere alle aspettative economiche, ambientali e sociali di tutti i portatori di interesse (gli stakeholder), siano essi il general public o i legislatori, comunità indigene nel cui territorio si trivella petrolio o consumatori sedotti all’acquisto di Suv inquinanti, agricoltori convinti a utilizzare sementi sterili o allevatori indotti ad acquistare mangimi animali.

Per molti la responsabilità sociale delle imprese è solo una foglia di fico sui comportamenti irresponsabili delle aziende che condividendo una parte dei propri profitti con la società civile tentano di “ripulirsi l’immagine” quando con una mano finanziano organizzazioni no profit che realizzano pozzi d’acqua in Africa e con l’altra – tramite una controllata – gestiscono la compravendita di armi e rifiuti negli stessi luoghi.

Il mondo del non profit e della comunicazione sociale questo lo sa e considerandolo un terreno impervio cerca perlomeno di aumentare la trasparenza di tali operazioni. Ma c’è un modo immediato in rete per capire chi controlla cosa e verificare se il comportamento virtuoso di un’azienda in un campo corrisponda al comportamento irresponsabile in un altro. “Theyrule” è un’applicazione web che permette di sapere fino a che punto le multinazionali sono collegate fra di loro individuando tale legame nei manager che siedono contemporaneamente al tavolo d’amministrazione di un’azienda ecologista e di un’azienda petrolifera. E se venisse aggiornato e adottato dal non profit ci aiuterebbe a capire quanto pochi sono quelli che decidono le politiche globali, “quelli che comandano”, appunto. (http://theyrule.net)

Openpolis: adotta un politico anche tu!

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Arturo Di Corinto
Per Peace Reporter
di Dicembre

Ma se ogni cittadino potesse controllare il suo rappresentante in Parlamento, esisterebbe “la casta”? Probabilmente no. Se la memoria degli elettori fosse più lunga dell’attenzione dei media a scandali, baruffe, spesso disattese prese di posizione, il politico di professione sarebbe più cauto, sapendo che una parola di troppo, una scelta incoerenti e dannosa per la comunità gli costerebbe la reputazione e forse l’elezione. E’ più o meno questa la ragione del progetto “Openpolis”, un progetto di monitoraggio della politica che raccoglie sul web le biografie dei circa 140 mila politici italiani (dal consigliere di circoscrizione all’eurodeputato), arricchendole ora per ora, di notizie e informazioni su cosa costoro dicono ai giornali, come votano nelle assemblee, quanto guadagnano, da chi prendono soldi e ricevono favori. E pure il numero di condanne e denunce che collezionano. Openpolis è un progetto non profit fatto da volontari che usano lo strumento della rete per costruire questa grande memoria collettiva, e si basa su una notevole intuizione: per non perdere una mossa di ciascun politico, ogni attivista ne adotta uno. Da quel momento avrà una specie di cane da guardia appresso, pronto a squarciare quel sottile velo tra ciò che è noto e ciò che non lo è. A beneficio di chi sulla base di quelle informazioni farà delle scelte. Anche nell’urna. (Open Polis)

Adbusters: una risata vi seppellirà

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Arturo Di Corinto
Per Peace Reporter
Febbraio

Adbusters è la più famosa rivista di interferenza culturale dell’intero globo. Gli adbusters sono “s-pubblicitari”, cioè creativi che producono a getto continuo delle “contropubblicità”, ovvero delle pubblicità al contrario, con lo scopo di svelare il messaggio persuasivo implicito in ogni slogan o compagna mediale rivolta al consumo di sigarette, alcool, plastica, automobili, energia e altre risorse (scarse) del nostro povero pianeta. Di forte impronta ambientalista e pacifista, il giornale è diventato bene presto il luogo di raccolta simbolico di tutti i cultural jammers che con gli strumenti ereditati dai dadaisti, dai surrealisti e dai movimenti creativi degli anni 70’ continuano a combattere il mondo dei consumi con ironia e passione civile. Famoso è il loro deturnamento del simpatico testimonial delle sigarette Camel, trasformato su cartelloni pubblicitari e graffiti come un malato terminale di cancro. Sul loro sito è visitabile un’intera galleria di contro-pubblicità che va da MacDonald’s alla vodka Absolut, ma ci sono anche le istruzioni per creare le proprie campagne contropubblicitarie. http://www.adbusters.org/home

Mediacow.tv: la Tv open source dal basso che garantisce la privacy degli utenti

Arturo Di Corinto per Peace Reporter di Novembre
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Peace Reporter, il mensile

“You can fight the gods, and still have fun”: MediaCow.tv, la Tv del PopoloBue

Il blog di Beppe Grillo è diventato un caso mediatico e politico per il sapiente intreccio fra la satira irriverente del comico e una tecnologia che permette di rivolgersi a un pubblico gobale, denunciando ogni tipo di casta. Chi però ha fatto dello slogan “combattere gli Dei divertendosi” è il gruppo americano di MediaCow.tv , una web TV statunitense appena lanciata da alcuni guru della frontiera digitale: Lawrence Lessig di Creative Commons, Eben Moglen della Free Software Foundation, insieme ad alcuni partner d’eccellenza come l’American Civil Liberties Union (550,000 iscritti) e il supporto di Civicactions. Mediacow si specializza esclusivamente in filmati di humour politico, satira politica, cartoon politico, scandalistico politico e documentari su temi centrali per la società ma ignorati o distorti dai media tradizionali per motivi sistemici, come le guerre. Ma non è il solito webchannel. Infatti il suo modello di sviluppo prevede la compartecipazione agli utili generati, in maniera diretta od indiretta, dalla visione di video forniti dai partners, e ogni video sponsorizzato permette di utilizzare quei fondi per produrre nuovi video, nuova satira, nuove denunce. A differenza di Youtube, Mediacow non è proprietà di una multinazionale, usa software libero e garantisce la privacy degli utenti.

Dall’11 settembre in libreria il mensile PeaceReporter

Peace Reporter a Milano
PeaceReporter, nato nel 2003 come quotidiano su internet e agenzia di servizi editoriali, ha deciso di affrontare la sfida della carta stampata.
Il nuovo mensile segue le orme del giornale online, portandone avanti la filosofia informativa e la linea editoriale: offrire un’informazione libera e indipendente su tutte le guerre e su tutte le situazioni di violazione dei diritti umani, raccontando verità censurate e realtà ignorate. Nella convinzione che far conoscere gli orrori delle guerre, e non solo, sia il primo passo per diffondere una cultura di pace e di rispetto dei diritti dell’uomo.
Tutto questo, visto da un’angolazione diversa da quella dei media classici, ovvero attraverso un’informazione “dal basso” e “dal volto umano”, che dà voce alle donne e agli uomini che vivono queste realtà sulla propria pelle, a chi normalmente non ce l’ha perché non viene mai interpellato.
Una scelta, quella di cimentarsi con la carta stampata, che va controcorrente visto che il settore è in crisi.
Una doppia sfida, dunque, che riteniamo necessaria perché mai come oggi, dalla seconda guerra mondiale, dalla stesura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dalla creazione delle Nazioni Unite per mettere al bando la guerra, mai come oggi il mondo è travagliato da conflitti terribili e da altrettanto terribili violazioni dei diritti più elementari.
Per questo crediamo sia urgente che il mondo venga raccontato con reportage e testimonianze dirette, con la voce e la penna di chi lo vive, e non più solo di chi ne parla o ne scrive. Per capirne le sue sofferenze, ma anche le tante cose belle e costruttive, le tante “buone notizie” che troppo spesso non si raccontano.

Hanno collaborato per i testi:
Claudio Agostoni, Blue & Joy, Giancarlo Caselli, Gabriele Del Grande, Silvia Del Pozzo, Arturo Di Corinto, Nicola Falcinella, Giorgio Gabbi, Nicola Gratteri, Paolo Lezziero, Sergio Lotti ,Maria Nadotti, Claudio Sabelli Fioretti, Gino Strada,
Hanno collaborato per le foto:
Stefano Barazzetta, Ugo Borga, Lucio Cavicchioni, Tano D’Amico, Ugo Lo Presti, Franco Zecchin

Peace Reporter a Roma il 19 settembre

La governance di Internet

Arturo Di Corinto per Peace Reporter di Settembre
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Peace Reporter, il mensile

Nei suoi quasi 40 anni di vita Internet è diventata un’infrastruttura di comunicazione globale grazie alla semplicità della sua architettura e alla cooperazione di utenti, hacker, ricercatori, che l’hanno trasformata in uno strumento immaginifico per sognare un mondo dove tutta la conoscenza disponibile sia a distanza di un click. Ma questo sogno non riguarda tutti. Internet rimane inaccessibile a 5 miliardi di persone ed è questo il principale motivo che a novembre porterà a Rio de Janeiro le delegazioni di decine di paesi per partecipare all’Internet Governance Forum (http://www.intgovforum.org) con l’intento di ribadire che un’infrastruttura abilitante dello “sviluppo”, democratico ed economico, non può prescindere dall’universalità del suo accesso e dalla tutela della diversità del patrimonio culturale mondiale. Internet come strumento per raggiungere i millenium goals: sradicare la povertà, favorire il dialogo fra i popoli e dare a tutti un futuro di pace e democrazia. Chi può non essere d’accordo?

Cos’è l’Internet Governance Forum
L’Internet Governance Forum (IGF) offre a Governi, economia privata, società civile e comunità accademiche e tecniche la possibilità di scambiarsi informazioni sugli aspetti rilevanti della gestione di Internet. Aperto a tutti gli interessati, l’IGF è considerato dall’ONU come un esperimento di governo globale e condiviso della rete.
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