Il diritto all’informazione nel terzo millennio

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Il diritto all’informazione nel terzo millennio
per Peace Reporter di Luglio-Agosto
Arturo Di Corinto

“Ogni individuo ha diritto di ricevere, ricercare e impartire informazioni senza distinzione di razza e di genere, provenienza geografica o di religione”. Recita così l’articolo 27 della dichiarazione dei diritti umani, eppure ancora molta strada resta da fare per la sua piena attualizzazione. La censura di stato, gli oligopoli mediatici, l’arresto di reporter indipendenti, il digital divide, gli attacchi alle infrastrutture di comunicazione di paesi sovrani, le ripetute violazioni della privacy, i filtri tecnologici ai contenuti online prodotti dagli utenti, rendono questi diritti inesigibili nell’era della comunicazione globale in molti paesi, anche in quelli democratici.

Reporters senza frontiere e Amnesty International hanno denunciato a più riprese la violazione di questo primario diritto umano, stilando classifiche dei paesi dove minore è il rispetto per il diritto e la libertà d’informazione. A dispetto di quello che si pensa però, il problema non riguarda solo la Cina e l’Iran, responsabili a più riprese di pensati violazioni della libertà d’espressione verso cittadini, giornali, imprese, non riguarda solo il Pakistan o l’Afghanistan che restringono sempre di più l’universale diritto all’informazione, ma anche l’Egitto che usa il braccio di ferro contro i suoi blogger, o le minacce e le intimidazioni verso i giornalisti da parte del governo di Cuba.

La libertà d’informazione è a rischio ovunque nel mondo. Non solo per la violenza che i governi e le polizie esercitano verso l’informazione indipendente. E’ a rischio per le fusioni imprenditoriali e le concentrazioni mediatiche, la riduzione delle fonti d’informazione, il ricatto professionale verso i giornalisti e il controllo diretto e indiretto che la politica esercita sui media: anche nel mondo occidentale. Un controllo che induce autocensura e conformismo preventivo, con il risultato di una stampa impaurita e ossequiosa verso il potere. E’ il caso dell’Italia, ma non solo. Dice Julliard per RSF.org: “E’ disgustoso vedere come le democrazie europee di quali ad esempio Francia, Italia e Slovacchia scivolino nel basso della classifica (dell’indice della libertà di stampa) anno dopo anno” “L’Europa dovrebbe rappresentare un esempio per i diritti civili. Come si può condannare la violazione dei diritti umani all’estero se non sei irreprensibile a casa tua?.”

Eppure si sbaglierebbe a pensare che sia solo una questione di libertà di stampa e d’opinione.

E’ vero infatti che la possibilità globale di informarsi costituisce la condizione necessaria al libero dispiegarsi del diritto alla comunicazione. Ma anche dello sviluppo economico e sociale. Mentre l’innovazione tecnologica aumenta la produttività della terra, del lavoro e del capitale, riducendo costi e migliorando i prodotti, conoscenza e creatività sono sempre più importanti per la diffusione di sapere e conoscenza, per consentire a chiunque di partecipare al progresso economico e sociale.
Internet oggi rappresenta la tecnologia chiave per produrre e veicolare informazioni dal basso, creando occasioni di crescita culturale, d’occupazione e di autogoverno, ma anche Internet è sotto attacco. Nonostante la sua natura acefala e decentrata è sbagliato pensare che grazie alla rete sia sempre possibile aggirare filtri e censure, sia per le leggi restrittive dei governi che per il digital divide.

E’ la stessa d’Europa che non brilla per la difesa dell’elementare diritto all’informazione e alla comunicazione attraverso la rete, con atteggiamenti di chiusura coperti di volta in volta dalla foglia di fico della libertà d’impresa o della tutela della privacy. Il “Telecom Package” che ha messo ho rischio la neutralità della rete, la direttiva Audiovisual Media Service, che regolamenta il diritto alle trasmissione audiovideo, anche di quelle amatoriali, ma anche i protocolli ACTA relativi agli accordi anti contraffazione che impongono un forte giro di vite sul diritto d’autore hanno tutti lo stesso effetto: rendere l’esercizio dell’informazione un compito difficile e gravoso, talvolta pericoloso.

Per una società democratica, il tema dell’apertura e dell’accesso all’informazione è intimamente legato alla libertà d’espressione che in un mondo iperconnesso e digitalizzato non riguarda più soltanto la libertà di parola. Lo scopo ultimo della libertà d’informazione e d’espressione consiste infatti nel creare una cultura democratica nella quale gli individui siano liberi di creare, innovare e partecipare al processo di costruzione di senso che li identifica in quanto individui e cittadini portatori di diritti. Poiché oggi le stesse tecnologie che consentono alle imprese di allargare i mercati e fare nuovi profitti consentono agli utenti di comunicare fra di loro, appropriarsi dei contenuti dei media e di aggirarne gli intermediari, i grandi poteri cercano di limitare l’apertura della rete e questo ha delle conseguenze importanti dal punto di vista della libertà di esprimersi.

E’ chiaro che se una certa legge non mi permette di accedere a certi contenuti il mio diritto a conoscere, apprendere e impartire informazioni ne sarà indebolito; se non posso riprodurre, criticare e comunicare tali informazioni la mia libertà d’espressione sarà pregiudicata; e se non posso difendere la mia privacy nel farlo, sarò indotto all’autocensura.

Quindi il diritto all’informazione non riguarda solo la difesa della libertà di parola, la lotta all’intolleranza e la libertà dei media online, ma una libertà che è oggi intimamente legata all’accesso verso la più grande agorà pubblica della storia dell’umanità.

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