L’Espresso: L’attivismo politico? È roba da ridere

lespresso-logoL’attivismo politico? È roba da ridere

Arturo Di Corinto per L’Espresso del 4 dicembre 2014

Gli Yes Men ne hanno combinata un’altra. Con lo Yes Lab perseguono l’obiettivo di aiutare organizzazioni non profit e attivisti digitali a sviluppare azioni e iniziative capaci di attrarre l’attenzione dei media su specifici obiettivi. Gli Yes Man, indimenticabili per le loro performance-parodie all’interno dei meeting dell’Organizzazione mondiale del commercio dove fintamente proponevano di schiavizzare i lavoratori per ottenere maggiori profitti-, teorizzano nei loro laboratori le pratiche decennali cui si ispirano per influenzare la pubblica opinione, facendola ridere. Il “laughtivism”, l’attivismo della risata, è infatti il filo conduttore dei progetti in cui un’organizzazione sindacale, ambientalista, per i diritti civili, prende a bersaglio un’azienda, un politico, una cattiva legge, per influenzare il dibattito, modificare la norma, mettere in mutande un malfattore. Gli Yes Men offrono training a distanza e organizzano brainstorm di pochi giorni su tattiche e strategie da adottare. Hanno anche contribuito a un sito diventato un libro di successo, Beautiful Trouble, che elenca tattiche creative, principi di progettazione, case studies, e inquadramento teorico delle campagne sociali e politiche più efficaci per gruppi e movimenti, dallo sciopero in rete alle occupazioni di luoghi pubblici, dalla “nonviolenza strategica” alle bufale mediatiche. http://www.yeslab.org

Espresso: blogger da salvare

espresso_logoQuell’inferno del Vietnam
Il termometro della libertà d’informazione
Arturo Di Corinto per L’Espresso del 29 agosto 2013

Sono pochi i paesi che rispettano pienamente il diritto dei propri cittadini di esprimersi e informarsi. Dall’avvento dei media digitali e del web 2.0, gli stessi cittadini rivendicano anche il diritto a produrre informazione indipendente. Da soli, oppure organizzati in piccoli gruppi, i civic journalists lavorano  fianco a fianco con le testate indipendenti e la loro libertà è il termometro di quella concessa dai regimi dittatoriali che criticano.

Dopo la primavera Araba nel 2013 la Classifica mondiale della libertà di stampa di Reporters senza frontiere (RSF) si è stabilizzata: i paesi del Nord Europa sono quelli che meglio garantiscono questa libertà mentre, a causa delle violenze e di nuove leggi repressive, le ultime posizioni sono occupate da Turkmenistan, Eritrea e Corea del Nord.
Secondo il barometro della libertà di stampa di RSF, invece, sono stati 38 i giornalisti professionisti e non, uccisi nel 2013, 175 quelli finiti in prigione e 164 i bloggers imprigionati.

Numeri impressionanti. Mentre il diritto all’informazione è calpestato anche nelle democrazie mature, dopo la Cina, il Vietnam degli ultimi anni è diventato uno dei posti peggiori al mondo per i bloggers. Sono attualmente 35 i cyberdisidenti che RSF chiede di scarcerare con una petizione internazionale al governo di Hanoi, di porre fine della censura e abolire le leggi repressive vigenti nel paese contro gli operatori dell’informazione. I paesi democratici non restino a guardare.

L’Espresso: Ossessioni digitali

espresso_logoDiritto d’autore
Se l’Agcom fa lo sceriffo

Arturo Di Corinto per L’Espresso del 22 agosto 2013

Il 25 luglio scorso l’Agcom ha pubblicato il nuovo schema di regolamento a tutela del diritto d’autore online e l’ha messo in consultazione per 60 giorni. L’Autorità ha in questo modo attribuito a sé il diritto di scrivere una legge, di individuarne le violazioni e di giudicarle. C’è già abbastanza da far gridare allo scempio della civiltà giuridica. Secondo il regolamento d’ora in avanti i titolari dei diritti potranno rivolgersi all’Agcom per chiedere la rimozione di contenuti online su qualsiasi piattaforma di Internet – dai blog ai social media come Youtube o Wikipedia –  oppure di inibirne l’accesso attraverso gli internet service provider. Assoprovider e altri soggetti hanno protestato per un regolamento che li trasforma in sceriffi della rete obbligati ad analizzare il dettaglio del traffico fra utenti e siti con un metodo tipicamente censorio come la deep packet inspection. Avvocati e associazioni dei consumatori lamentano la compressione dei diritti della difesa di chi ha solo tre giorni per ottemperare alle richieste di rimozione e che può impugnare il procedimento, ma affrontandone i rilevanti costi. Tutto questo a fronte delle lamentele dei titolari dei diritti d’autore che un giorno offrono statistiche da grande depressione per quanto riguarda i consumi culturali e quello dopo esultano per i profitti del mercato della musica online. Ben 17 dei 19 articoli del regolamento parlano di come applicare le sanzioni. Alla faccia del valore pedagogico con cui era stato annunciato il regolamento.

L’Espresso: Cyberbullying e intolleranza sul web, come fermarli

 

espresso_logoBoldrini impari da Jude

Arturo Di Corinto per L’Espresso del venerdì 21 giugno 2013

«Pietre e bastoni possono rompermi le ossa, le parole da uno schermo mi possono colpire solo se, e fino a che, io glielo permetto». Nell’anniversario dei dieci anni dalla sua scomparsa potrebbe partire dalle dichiarazioni di Jude Milhon ogni discorso sulla violenza in rete. Jude era un hacker e come tale ha dedicato la sua vita a sostenere l’importanza di Internet e computer come strumenti di emancipazione per le donne. Jude diceva: «Dovremmo pensare ad Internet come a una scuola che molte di noi ragazze non hanno mai avuto l’opportunità di frequentare e usarla proprio per superare la paura di non essere carine abbastanza, educate abbastanza, forti abbastanza, belle abbastanza, sveglie abbastanza o abbastanza qualcos’altro». Il tema è diventato attuale dopo l’allarme lanciato dal presidente della Camera dei Deputati e dal neoministro Josefa Idem sulla violenza sessuata che abita Internet. Ma non è l’unica forma dell’intolleranza. Il web ospita molti siti che incitano all’odio razziale, alla xenofobia, all’antisemitismo e all’islamofobia. Ridurre il tema della violenza del web alle aggressioni verbali verso le donne non basta. Ne è consapevole il Consiglio d’Europa che l’anno scorso ha lanciato la campagna “I giovani contro le parole di odio online”. Il punto è proprio questo: per contrastare la violenza su web non serve mettere il bavaglio alla rete, ma intervenire sul bigottismo dei carnefici e sulla fragilità e le paure dei loro bersagli, con un’opera di educazione dentro e fuori dal web.

L’Espresso: Ma cosa manca a Rodotà?

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Ma cosa manca a Rodotà?

È un padre nobile della sinistra. Giurista insigne, conosce la Costituzione a menadito. Ha insegnato alla Sorbona e al Collegio di Francia. E fa il pieno di applausi dei giovani nei festival letterari, del diritto, della legalità. Ecco chi è il prof che il pd Fassina definisce “uno sconosciuto”

Arturo Di Corinto
per L’Espresso del 19 Aprile 2013

Capelli bianchi da vecchio saggio, occhi chiari e curiosi. Mimica teatrale e gesticolazione garbata. Un fascinoso ottantenne dal piglio giovanile, ben vestito pure in maniche di camicia. Un volto che ricorda le origini magnogreche e manifesta la “nobile semplicità e la quieta grandezza” della statuaria neoclassica.  Tanto discreto sulla sua vita privata quanto estroverso in pubblico. Elegante nei modi, riservato anche con gli amici. Tollerante verso tutte le opinioni ma determinato nelle convinzioni. Flessibile nell’ascolto ma rigoroso sulle idee. Attento coi giovani, sfuggente coi seccatori. Amante delle buone conversazioni, ma sempre pronto ad andare dal dentista quando parlare diventa inutile. Continua a leggere L’Espresso: Ma cosa manca a Rodotà?

L’espresso: La corruzione si combatte in Rete

La corruzione si combatte in Rete
di Arturo Di Corinto per L’Espresso del 29 ottobre 2012


Gli anglosassoni lo chiamano whistleblowing: è la denuncia di comportamenti illeciti in un’azienda o un’istituzione. In Italia non attecchisce. Ma ora sul web è nato Hermes, un centro studi che studia i modi per incentivare le segnalazioni dei cittadini. Ad esempio sull’evasione fiscale

Penati, Belsito, Lusi, Fiorito: ogni nome uno scandalo per mancanza di trasparenza e di controllo pubblico. E’ curioso che oggi che si parla tanto di lotta alla corruzione, di accountability e open data, in Italia si parli così poco di whistleblowing e cioè del modo con cui singoli cittadini possono contribuire a denunciare le trame della burocrazia e le truffe del potere. I motivi possono essere molti: una scarsa cultura della trasparenza che invece caratterizza le democrazie anglosassoni, la poca familiarità con le tecnologie di privacy oppure la paura di conseguenze indesiderate.

Whistleblowing è l’atto di suonare un fischietto. Soffiare un fischietto serve ad attirare l’attenzione. Non è un caso che il termine nasca per indicare i “bobbies”, i poliziotti inglesi disarmati che così allertavano colleghi e cittadini contro il crimine. Il termine però oggi indica colui che denuncia i suoi colleghi o superiori per un comportamento illecito all’interno di un’azienda, di un partito, di un governo, spesso col favore dell’anonimato. Ma non per forza. Il whistleblower può essere anche chi denuncia pubblicamente un’ingiustizia, una corruttela, una malversazione, contribuendo così al processo di trasparenza su cui sono fondate le nostre democrazie e favorendo il ruolo di controllo della stampa nei confronti dell’operato di imprese e governi. Come ha fatto Julian Assange. Il più famoso whistleblower al mondo è Daniel Ellsberg, che rivelò al mondo i Pentagon papers, i documenti segreti del governo americano sulla guerra del Vietnam. Continua a leggere L’espresso: La corruzione si combatte in Rete

ACTA and Copyright 2.0: Di Corinto interviews Bruce Perens

Let’s talk of copyright and about Bruce Perens. Ok?

Yes. I have been on both sides of the copyright issue. I worked at Pixar for 12 years and have had 19 years of full-time employment in the film industry. I am credited on Toy Story II and A Bug’s Life. I later became one of the founders of the Open Source movement in software, and left Pixar to pursue that. Today I help governments, companies, and lawyers understand Open Source. I’m also an Open Source software author, and am about to release a new content-management system for the Ruby on Rails rapid application development platform. I live in Berkeley, California, with my wife and 12-year-old son.

So, you can see that I’ve been on both sides of the copyright issue: I’ve made technology for feature films and have worked on the films themselves, and bought a home with my income from Pixar’s IPO. Then in my second career I made Open Source software and helped people worldwide to share the things they make, and companies and governments to understand this.

1) The juncture of conflicting interests frequently leads to a clash between copyright and other basic institutions (fundamental user rights) in our society, particularly the freedom of speech, privacy and Internet access. Is copyright, as we have known it for three centuries, an appropriate tool for the needs of creators and society in a digital environment as SOPA, Pipa and Scotus suppose?

The problem isn’t really whether copyright is appropriate, it is that there is presently no balance of the rights of the copyright holder versus the good of society. This came about because only the very large copyright holders have been represented in the drafting of copyright law, for at least a century. It is as if there had been elections in which only one party was allowed to vote. Of course the laws become progressively more extreme in such a situation. Continua a leggere ACTA and Copyright 2.0: Di Corinto interviews Bruce Perens

ACTA and Copyright 2.0: Di Corinto interviews Philippe Agrain

Philippe Aigrain is co-founder of La Quadrature du Net a citizen group defending freedoms and fundamental rights in the digital environment. He has just published “Sharing: Culture and the Economy in the Internet Age”, Amsterdam University Press, http://www.sharing-thebook.net

Hello dear Philippe—

Here are the questions:
1) The juncture of conflicting interests frequently leads to a clash between copyright and other basic institutions (fundamental user rights) in our society, particularly the freedom of speech, privacy and Internet access. Is copyright, as we have known it for three centuries, an appropriate tool for the needs of creators and society in a digital environment as SOPA, Pipa and Scotus suppose?

Copyright and the exclusive control on copies part of author rights are deeply inadapted to the digital environment. In the era of work on carriers, copyright was never meant to regulate the acts of the public (the reader for instance). In the digital environment, an exclusive control on copies could exist only by depriving two billion individuals (and soon more) from basic capabilities of copying and exchanging files. This impossibility of such a control has not yet been recognized by all, and thus we see an ever expanding series of increasingly harmful laws such as SOPA, PIPA or the ACTA treaty that the European Parliament will reject or ratify in the coming months. But other rights, such as the social rights of authors and other contributors to creation to be recognized and remunerated remain fully valid. It is just the way in which they can be implemented that is deeply modified. We must find ways of rewarding and financing creative activities that do not require controlling individual acts by the public.
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L’Espresso: Ma il copyright è un diritto naturale?


Ma il copyright è un diritto naturale?
L’attuale legislazione a difesa del diritto d’autore è inadatta al nuovo contesto digitale
di Arturo Di Corinto per L’Espresso (08 febbraio 2012)

Nel suo ultimo libro, “Infringement Nation” (Una nazione di trasgressori), John Tehranian ha calcolato l’ammontare delle multe che una persona potrebbe dover pagare per violazione ripetuta del copyright nell’arco di un’intera giornata. Il risultato è di alcuni milioni di dollari. Quello del libro è un caso estremo e paradossale, ma ognuno di noi si può identificare nel professore del racconto. Come il protagonista di Tehranian, oguno di noi infatti viola copyright quando rispondendo a una email ne riproduce il messaggio originario; quando annoiato dalla riunione ridisegna le architetture del Guggenheim di Barcellona, quando a lezione distribuisce fotocopie di libri per un’esercitazione, quando fotografa un’opera d’arte e la pubblica sul web, quando canta Happy Birthday alla festa di compleanno di un amico, quando include nel suo filmato il poster dell’atrio del cinema dove si trova in compagnia, quando incorpora il codice di youtube di un serial televisivo nel suo blog e così via. Nessuno forse interverrebbe per arrestare il nostro trasgressore, la tutela del copyright è una questione di numeri e di danno economico potenziale, ma da questo esempio si capisce perchè molte delle ultime battaglie intorno a Internet si sono combattute intorno alla tutela del copyright. Continua a leggere L’Espresso: Ma il copyright è un diritto naturale?

L’Espresso: Precari, è rivolta sul web

logo_espressoPrecari, è rivolta sul web
di Arturo Di Corinto
per L’Espresso del 3 novembre 2011

Un progetto on line chiamato WikiStrike. Per riunire tutti i lavoratori senza diritti e sottopagati. Confrontandosi sul «nuovo schiavismo». E sognando «il primo sciopero mondiale dell’era digitale»

“Guadagno 500 euro al mese rispondendo al telefono, affitto il desk e faccio fattura come un notaio”. “Sono laureata in comunicazione, e passo di lavoretto in lavoretto da tre anni”. “Pensa, lavoro in una società di recupero crediti e mi rinnovano ogni mese”. “Collaboro saltuariamente con un grande giornale, mi pagano 50 euro a pezzo. E sono fortunato”. La disoccupazione giovanile ha toccato vette del 30% e spesso l’unico modo per procurarsi un reddito è di accettare dei “macjob”, lavori precari, sfruttati e malpagati. La precarietà è una brutta bestia. Non ti permette di progettare, di pensare al futuro, di immaginarti adulto. Ti fa andare in depressione. O scoppiare di rabbia. E’ per questo che anche i giovani ricominciano a parlare di lavoro. Soprattutto in rete.
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L’Espresso: Linuxday 2011

logo_espressoIl pinguino compie gli anni.
Linux, il libero software in festa
Arturo Di Corinto
per l’Espresso
del 20 Ottobre 2011

Linux ha compiuto vent’anni e il 22 ottobre la comunità che gli ruota intorno ne festeggerà il compleanno al LinuxDay (http://www.linuxday.it). L’evento, giunto alla sua undicesima edizione, si tiene in 109 città italiane (Milano, Parma, Rimini, Fabriano, Urbino, Pescara, Napoli, Barletta, Potenza, Taranto, Palermo, Cagliari, eccetera eccetera). Nato per una felice intuizione della Italian Linux Society nel 2001, per promuovere Linux e il software libero, è sempre stato organizzato attraverso i LUG (Linux User Group) e spesso nelle facoltà di ingegneria, ma oggi viene festeggaito nei dopolavori ferroviari, nelle scuole medie e nei palazzi della politica di comuni e province. Insomma, prima era una roba da universitari e smanettoni, oggi, nel 2011, il Linux Day viene festeggiato persino all’Asilo Occupato dell’Aquila che aspetta di essere ricostruita. In diversi luoghi prevede la commemorazione di Dennis Ritchie, inventore del linguaggio C e sviluppatore della prima versione di Unix, da poco scomparso, ma non di Steve Jobs, fieramente avversato da una comunità che ha fatto della libertà di modifica del software la sua stessa ragione d’esistenza. Dicono gli organizzatori del Linux Day di Sommacampagna: “La tecnologia è sempre più oppressiva e sempre più strumento di un élite che ci vuole consumatori e schiavi? Eppure, nelle mani ‘giuste’, la tecnologia diventa strumento di liberazione. Linux e il software libero permettono a utenti anche non smanettoni di impadronirsi di tecnologie ostiche, consentendo loro di affrontare ‘ad armi pari’ il sistema consumistico.” Molte le tematiche che verranno affrontate nei talk e nei workshop di questa “festa nazionale” insieme a personaggi eminenti della cultura libera. A Parma è previsto il videosaluto di Richard Stallman e il videomessaggio di Eben Moglen, Il linux day di Torino, conta uno dei programmi più densi su scuola, applicazioni e videogames ed è stotto il patrocinio di Comune e Provincia, a Bologna si parlerà di Linux e Computer Forensic con Stefano Fratepietro, e di interoperabilità con Renzo Davoli, sotto il patrocinio del comune e del CNR, di trashware e didattica a Sommacampagna e via dicendo. Quasi ovunque sarà possibile installare un nuovo sistema operativo basato su Linux al posto di Windows.

Perché tanto clamore intorno a un pezzo di software? Perché Linux ha rivoluzionato il mondo dell’informatica, anche se la sua storia é meno nota di come dovrebbe. Linux è il nome del cuore (il kernel) del sistema operativo libero più famoso del mondo, GNU/LInux, è il concorrente del software di Microsoft, superiore per diffusione a quello di Apple e vero protagonista di Internet. Continua a leggere L’Espresso: Linuxday 2011

L’Espresso: Dove va la rete

logo_espressoDove va la rete
Arturo Di Corinto
per L’Espresso del 13 Ottobre 2011

La rete è una risorsa scarsa. Anche se pensiamo ad essa come una commodity, al pari di acqua e luce, non è scontato che funzioni sempre e che arrivi dovunque e a chiunque. Affinché la rete possa evolvere come un bene comune accessibile a tutti, le Nazioni Unite hanno rinnovato il mandato dell’Internet Governance Forum (IGF), per discutere le modalità più efficaci per mantenerla libera, stabile ed efficiente attraverso il concorso paritario di governi, cittadini, associazioni e imprese.
Tutti sono ormai consapevoli che gli utenti della rete aumentano in maniera esponenziale e così i dispositivi per accedervi, spesso in mobilità e via cloud, insieme alla domanda e all’offerta di servizi che ci permettono di fare più cose, che però rendono più facile replicare certe dinamiche della real life: truffe, aggressioni, discriminazioni, mobilitazioni e proteste. Pericoli e opportunità che vengono sfruttati dagli Stati in chiave diplomatica e di politica estera, dalle imprese in chiave commerciale e finanziaria, e da entrambi in termini di controllo delle masse e manipolazione dell’opinione pubblica. Perciò l’ultima edizione di settembre dell’IGF in Kenya ha assunto una peculiare connotazione politica. Da una parte, la forte presa di posizione dell’Europa che con il commissario all’agenda digitale Neelie Kroes ha chiesto regole chiare e precise per l’integrità, lo sviluppo e l’apertura della rete invitando gli stati all’autoregolamentazione e alla tutela di Internet; dall’altra la proposta dei paesi emergenti, India, Brasile, Sud Africa, per la creazione di un organismo in seno all’ONU che stabilisca le policy globali di gestione di internet, regoli le dispute e intervenga in caso di crisi (come le interruzioni della rete). In mezzo, le proposte dei cittadini per una rete libera da ogni condizionamento: internetrightsandprinciples.org

L’Espresso: Aiuto: anche internet inquina

logo_espressoAiuto: anche internet inquina

Il nuovo data center di Apple consuma come 250 mila case. Ma anche Facebook e Twitter divorano energia. Così ora parte la sfida per un web pulito.
Arturo Di Corinto per L’Espresso del 22 luglio 2011

Apple inquina. Facebook e Twitter pure, Yahoo un po’ di meno. Le aziende più moderne del mondo vanno a carbone e contribuiscono pesantemente al riscaldamento globale. E come se non bastasse mantengono uno spesso velo di segretezza intorno all’uso che fanno dell’energia necessaria a veicolarci da remoto quelle meraviglie che sono la musica digitale, i cinguettii delle nostre conversazioni e gli aggiornamenti di status. Sembra incredibile ma è proprio così. […]
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L’Espresso: Attenti, il Web non è un alibi

logo_espressoAttenti, il Web non è un alibi
di Arturo Di Corinto
per L’Espresso del 17 giugno 2011

Dopo i referendum è un luogo comune dire che ‘ha vinto la rete’. Ma gli spettatori del Tg1 sono dieci volte tanto rispetto a quelli si informano sui social network. E il rischio è che Internet diventi una scusa per non affrontare il conflitto di interessi

Siamo in molti a voler credere che il web abbia vinto sulla tv offrendosi come medium privilegiato per l’informazione legata alle amministrative e ai referendum, ma non ne abbiamo le prove.

E cercarle non è irrilevante per due motivi opposti eppure complementari. Il primo è che il conflitto d’interessi che coinvolge il Presidente del consiglio e il suo entourage non è acqua passata, e quindi dobbiamo continuare a occuparci della qualità e del pluralismo dell’informazione radiotelevisiva. Il secondo motivo è che se crediamo nel potenziale democratico della rete è ora di smettere di farci il tiro al bersaglio con leggi e leggine che puntano a imbrigliarla e a consegnarla al mercato.

Il rapporto fra Internet e informazione è un rapporto complesso. Nell’ultima indagine sull’evoluzione dell’informazione online in Italia realizzata da Human Highway e commissionata da Liquida, emerge che la fonte d’informazione primaria per gli italiani rimangono i media tradizionali.

Per il 58 per cento dei 25 milioni di italiani che usano Internet almeno una volta alla settimana, la tv, le radio e i quotidiani restano la prima fonte d’informazione. Motori di ricerca e siti di attualità soddisfano questa esigenza per il 26 per cento dei fruitori d’informazione onl ine, mentre l’8 per cento si affida al passaparola e solo il 5 per cento usa i social network come Facebook e Twitter. Ripetiamolo: il cinque per cento di metà della popolazione italiana, quindi circa mezzo milione di persone, pari a un decimo degli spettatori medi che fanno ogni sera il Tg1 o del Tg5. Continua a leggere L’Espresso: Attenti, il Web non è un alibi

L’Espresso: Il web per Ai Weiwei libero

logo_espressoIl web per Ai Weiwei libero
di Arturo Di Corinto
per L’Espresso del (12 maggio 2011)

Dal 3 aprile il grande artista dissidente cinese è stato arrestato e non si più nulla di lui. In tutto il mondo si moltiplicano le iniziative in suo favore. E anche l’Italia sta facendo la sua parte, grazie a Internet. Ecco come far sentire la propria voce

Ai Wei Wei è un artista cinese. Uno che crede nell’arte come comunicazione. Ai Wei Wei é l’artista che ha portato alla Tate Modern di Londra gli zainetti degli scolari uccisi dal terremoto del Sichuan nel 2008. E’ anche l’artista che ha disegnato il famoso stadio a nido di rondine per le Olimpiadi del suo paese, la Cina. Ai Wei Wei è scomparso.
Arrestato il 3 aprile dalle autorità, da allora di lui non si ha più traccia. Per questo le istituzioni museali di mezzo mondo hanno lanciato un appello e una petizione per conoscere dove si trovi ora e quale sia il suo stato di salute. L’appello è stato ripreso e rilanciato dall’associazione Pulitzer, un’associazione italiana che si occupa di libertà d’espressione, quella libertà che il governo cinese non concede né a uno dei suoi figli più noti né a quanti, sconosciuti, si battono da anni nel paese dei mandarini per i diritti dei lavoratori, delle donne, dei contadini. Il governo cinese, forte del suo gigantismo economico ha finora ignorato gli appelli da tutto il mondo a una società più aperta, ma forse non potrà controllare ancora a lungo le voci dissidenti che nel paese si levano da ogni dove e che viaggiano sempre di più sul web.
La Cina di Hu Jintao è uno dei maggiori nemici di Internet secondo tutte le classifiche internazionali, da quella di Reporters sans frontiers ad Amnesty International fino a quella della Freedom House. Il suo pugno di ferro contro ogni cybercritica ha raggiunto l’apice con gli attacchi informatici a Google – che hanno indotto la compagnia americana a ritirarsi progressivamente dal suo lucroso mercato – ma ha dei brutti precedenti nelle delazioni di Yahoo! – che alle autorità ha consegnato il nome di un giornalista colpevole di aver parlato della rivolta di Tien An Men in una email privata – , e con la chiusura di migliaia di blog non allineati. Negli ultimi mesi l’apparato poliziesco cinese ha represso duramente ogni tentativo di libera manifestazione del pensiero sia nel cyberspazio che nelle strade, soprattutto dopo le insurrezioni africane guidate dal web e di cui temono un remake a casa propria. Per questo hanno irrigidito le misure di controllo sulla rete, secondo la dottrina del Peking consensus, una miscela di azioni repressive e filtri tecnologici che puntano a una sola cosa: silenziare ogni voce critica nel terreno “libero” di Internet. Ma il “Peking consensus” stavolta potrebbe non bastare. Ai Wei Wei è troppo noto e troppo amato per bloccare il buzzword che in rete e fuori lo circonda.
Il suo nome in questo momento sta facendo il giro della rete italiana grazie all’associazione Pulitzer che ha indirizzato l’appello per la sua liberazione, primo firmatario Umberto Eco, al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il presidente italiano è molto sensibile al tema della libertà d’informazione ma siamo certi che l’incorraggiamento di migliaia di firme inviate sul sito dell’associazione Pulitzer, gli offrirà un argomento in più per sollevare il velo di omertà che anche in Italia circonda la vicenda.

www.associazionepulitzer.it
www.freeaiweiwei.org
www.change.org

L’Espresso: Un appello per il web

espresso_homePER LA LIBERTÀ D’INFORMAZIONE, PER LE LIBERTÀ COSTITUZIONALI, PER UNA BLOGOSFERA LIBERA
Un appello per il web
Arturo Di Corinto
per l’Espresso del 11 maggio 2010

Le intenzioni del governo e della maggioranza parlamentare sul disegno di legge sulle intercettazioni sono chiare: approvare il testo così com’è in tempi brevi, prima e invece del più necessario Ddl anticorruzione.
Il governo ha imposto una nuova vistosissima accelerata, avviando per ben 3 giorni a settimana sedute mattutine e pomeridiane dedicate esclusivamente al DDL in questione, e presentando nuovi emendamenti in grado di accrescerne drasticamente l’impianto proibizionista e punitivo. Continua a leggere L’Espresso: Un appello per il web

Sabato a Roma la festa dei pirati

espresso_piratiLa lotta dei pirati per una società aperta
di Arturo Di Corinto
Per L’Espresso del 15 marzo 2010

Il 20 marzo nella Capitale pirati italiani, europei e americani si danno convegno per affrontare i temi caldi del dibattito sulla libertà di cultura, il monopolio delle multinazionali e le leggi repressive dei governi

“Go Create” esorta la Sony. It’s all around you, dice la Vodafone. Think Different, è lo storico slogan della Apple. Un invito a emanciparsi acquistando consolle, telefoni e computer. E poi ci si lamenta se questi aggeggi vengono usati in una maniera diversa dalle intenzioni di manager e progettisti. Che è quello che poi fanno i pirati. Ma chi sono i pirati? Quelli che vendono dvd copiati sui marciapiedi, pendagli da forca di navi corsare o difensori della libertà di parola? Tutti e tre dicono Lawrence Lessig (Free Culture, 2005) e Matt Mason (The Pirate’s Dilemma, 2009). Con una differenza. Alcune forme di appropriazione di prodotti tecnologici e culturali sono furti belli e buoni, altre sono forme di innovazione proprie della cultura digitale di massa. Continua a leggere Sabato a Roma la festa dei pirati

La Rivoluzione è grafica

logo espressoLa Rivoluzione è grafica
di Arturo Di Corinto
Per L’Espresso del 23 dicembre 2009

L’uso della grafica per scopi apertamente politici – nelle fanzine, nei graffiti, nella poster art- è una pratica tipica delle controculture metropolitane ed ha profondamente influenzato gli stili della comunicazione politica e pubblicitaria.
Manifestazione di ribellismo, strumento di propaganda o pratica identitaria di gruppi e movimenti grassroots, la grafica politica vive soprattutto nelle strade e spesso si sovrappone e si identifica con la street art. Oggi però, i personal media, l’ubiquità di Internet, la digitalizzazione dei contenuti, la gratuità di piattaforme di open publishing offrono una seconda vita alla grafica politica e alla stessa arte di strada. In rete proliferano community di writers come WoosterCollective.com, artisti che caricano le foto delle proprie opere su Flickr o altri siti specializzati e dopo li rimuovono dai muri dove le hanno disegnate, mentre altri, come i newyorchesi di Just Seeds, le vendono online per finanziare iniziative sociali. Gli artivisti, artisti e attivisti, usano la rete per organizzare eventi come AHAcktitude ‘09 e “Graphic Roots of Revolution”, quest’ultimo alla presenza di giganti come Emory Douglas, l’autore del logo delle Black Panther, l’anarco-pacifista Gee Vaucher, il blasfemo collagista Winston Smith, o l’autore dell’arcinota icona di Obama-Hope, Shepard Fairey. http://loveanddissent.com
Reazione spontanea al progressivo ridursi dello spazio pubblico e voglia di esprimersi di giovani ribelli, di artisti consapevoli oppure no, influenzati dall’arte del remix che diede origine all’hip-hop, nipoti dalla pratica punk del Do It Yourself, nonostante leggi severe e repressione, la grafica politica è un modo per superare barriere geografiche, etniche, comunicative, per arrivare al cuore della gente. “I graffiti sono stati usati per dar vita a rivoluzioni, fermare le guerre e dare voce alle persone a cui in genere non si dà ascolto”, dice Banksy, street artist considerato dalla rivista Esquire il nuovo Andy Warhol. Usata per comunicare adesione ideale e conflitto, strumento di espressione di movimenti politici e culture underground, negli ultimi anni la street art politica ha generato un acceso confronto tra gli esperti: arte, comunicazione o vandalismo? Secondo Carol Wells, direttrice del Centro per lo Studio della Grafica Politica di Los Angeles, “Tutta l’arte è politica, ma non tutta l’arte è un manifesto politico”, questo accade solo quando l’arte potenzia e diffonde idee di cambiamento sociale. www.politicalgraphics.org

Ma l’Italia digitale esiste già

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Ma l’Italia digitale esiste già
di Arturo di Corinto
per L’Espresso del 23 dicembre 2009

In Italia esiste una variegata galassia di fondazioni, associazioni e gruppi d’interesse che ogni giorno promuovono la Rete. Volontari che si dedicano a una vasta gamma di attività che vanno dalla promozione di Wikipedia alla scrittura collettiva e aperta di software, i Linux User Group, o svolgono attività di lobbying nei confronti di governi e parlamenti come fanno, ad esempio, Scambio Etico ed Agorà Digitale.

Gli avvocati dell’associazione Liberius offrono gratuito patrocinio legale su controversie legate al copyright, il gruppo Liber Liber digitalizza libri antichi e per non vedenti, mentre Binario Etico ricicla pc usati. Poi ci sono quelli che realizzano progetti specifici per favorire i diritti digitali dei cittadini. L’Associazione per il Software Libero, ad esempio, esegue il monitoraggio dell’attività dei parlamentari sugli impegni assunti in campagna elettorale a favore del software libero, Open Polis ha creato una comunità intorno al progetto Open Parlamento, una piattaforma per il monitoraggio della politica parlamentare volta a rendere più trasparente e partecipata l’attività delle Camere, e grazie al quale è possibile sapere come e con chi vota il proprio candidato di riferimento.

Una novità è costituita dal network di Frontiere Digitali, la federazione di circa 60 associazioni per i diritti digitali che ha elaborato un proprio protocollo di mobilitazione a difesa della libertà della Rete di fronte alle pretese dei governi di controllarla. Anche loro hanno aderito al sit-in di mercoledì 23 in piazza del Popolo a Roma per protestare contro il nuovo tentativo di criminalizzare Internet: un evento promosso dall’Istituto per le politiche dell’innovazione, un progetto creato dall’avvocato Guido Scorza che ha recentemente offerto patrocinio legale gratuito a tutti gli iscritti ai gruppi Facebook che hanno misteriosamente cambiato nome dopo il caso Tartaglia, assumendo connotati a favore di Berlusconi.
www.frontieredigitali.it
(22 dicembre 2009)

I Governi sono nemici di Internet

logo espressoArturo Di Corinto
per L’Espresso del 25 settembre 2009

Pochi sanno che Internet ha un suo parlamento. La meeting hall è nel cyberspazio, ma i suoi rappresentanti, i netizen di tutti i paesi, si incontrano da cinque anni per discuterne il futuro nell’ambito dell’Internet Governance Forum, un evento patrocinato dalle Nazioni Unite. Da due anni su raccomandazione dell’Unione Europea, anche l’Italia ha creato un proprio IGF nazionale che si incontrerà a Pisa dal 5 al 7 ottobre per definire la posizione da portare all’IGF globale di novembre a Sharm al Sheik. All’evento pisano, aperto a tutti, parteciperanno coloro che hanno a cuore il futuro di Internet: aziende, singoli cittadini, comunità tecniche e governi. Il motivo di questi incontri è uno solo: garantire efficienza, stabilità e libertà dell’internet come la conosciamo, per modellarne la forma futura in ossequio ai principi di apertura e democrazia che ne sono all’origine. Continua a leggere I Governi sono nemici di Internet

Quella beffa di Italia.it

logo espressoLa beffa di Italia.it
Arturo Di Corinto
Per L’Espresso del 20 agosto 2009

Se gli albergatori abruzzesi si aspettavano un rilancio della stagione turistica grazie a un portale capace di attrarre visitatori nel nostro paese, dovranno ricredersi. Il mastodontico progetto di Italia.it continua a slittare nonostante la promessa celerità del ministro al Turismo Michela Vittoria Brambilla. Il nuovo progetto, che dovrebbe far dimenticare lo spreco di denaro pubblico operato finora (58 milioni di euro a tre anni dalla nascita), presentato di recente dalla Rossa padana, non fa che raccogliere lamentele.
Il sito, copiato pari pari dal portale Spain.info, ma senza i filmati, le foto, i documenti, e i servizi interattivi dell’omologo spagnolo, è ancora in fase “beta”. Al Ministero promettono che la versione definitiva dovrà aspettare ottobre – per inciso, appena passata l’alta stagione turistica – e solo entro la fine dell’anno sarà riempito di contenuti “promocommerciali”, quando, grazie all’implementazione di social network e servizi B2B e B2C, diventerà la porta virtuale del Belpaese.
Però anche volendo credere alle promesse, il progetto già parte male. Ad esempio, il sito non rispetta le norme sull’accessibilità dei siti web volute dal precedente governo Berlusconi; scoraggia chiunque dal diffondere i (pochi) materiali presenti sul sito, ignorando una elementare regola del marketing al tempo di Internet; rimanda a siti e servizi esterni rigorosamente in lingua italiana per pianificare il proprio viaggio dalla Germania o dal Giappone. Se è inutile chiedersi come questo governo non rispetti le sue stesse leggi, alle dieci domande sul futuro del portale che Altroconsumo ha rivolto al ministro (che si fa negare) se ne potrebbe aggiungere un’altra: può un popolo di artisti, inventori e trasmigratori, accontentarsi di Italia.it?

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presentazione italia.it