Emergency: Ninux e gli altri. Una rete aperta, decentralizzata e di proprietà del cittadino

Ninux e gli altri. Una rete aperta, decentralizzata e di proprietà del cittadino
di Arturo Di Corinto per E-il mensile di Emergency
Luglio 2012

Ninux.org è una comunità di radioamatori, filosofi e informatici che ha tra i suoi scopi quello di realizzare in Italia delle reti mesh wireless libere, senza scopo di lucro, nel rispetto della filosofia open source e in un’ottica di condivisione. Una rete mesh senza fili è una rete a maglie costituita da un certo numero di nodi che fungono da ricevitori, trasmettitori e ripetitori. Poiché ogni pc che vi accede diventa parte della rete e trasmette il segnale inviato in broadcast dai nodi più vicini (non ci sono server centrali), una rete mesh è economica, flessibile e robusta. Ogni nodo può trasmettere il proprio segnale fino al nodo successivo riuscendo così a coprire grandi distanze. Se un nodo si guasta, i nodi vicini cercano altri percorsi per trasmettere il segnale. Le capacità delle rete aumentano installando altri nodi, sia fissi che mobili. Con un router e un’antenna per diffondere e condividere la connettività si diventa nodo spendendo poco più di 3 euro all’anno di elettricità. Quindi un mesh network serve a risparmiare, ridurre l’inquinamento e controllare dal basso la rete che si usa per comunicare. La scelta di Ninux.org è quella di costruire una rete wireless per sperimentare e divertirsi, ma anche per aiutare le comunità altrimenti impossibilitate a utilizzare Internet a causa del digital divide. Non sono gli unici che portano avanti un progetto alternativo di rete aperta, decentralizzata e di proprietà del cittadino. In Italia lo fanno insieme a quelli di Eigenlab, studenti pisani di fisica e matematica. Le reti mesh sono anche alla base del concetto di networking di One Laptop per Child in Africa e Brasile. Una iniziativa quest’ultima volta a fornire a ogni bambino del mondo, specie a quelli nei paesi in via di sviluppo, l’accesso alla conoscenza e all’educazione attraverso un computer dal costo inferiore agli 80 euro con programmi open source, processore low-cost e batteria interna ricaricabile: con una manovella, una batteria d’auto, un trasformatore di rete.

Emergency: Quando la truffa riguarda l’amore

Dating online. Quando la truffa riguarda l’amore
di Arturo Di Corinto per E-il mensile di Emergency
Maggio 2012

Prima ci si innamorava in discoteca, sui banchi di scuola, sul posto di lavoro, adesso ci si fidanza online. Quando va bene, perché le vie della truffa sono infinte e l’offerta di sesso online è una delle più ricorrenti. Mentre si moltiplicano i siti di “dating online”, si moltiplicano le fregature per i cuori solitari che investono tempo e soldi a cercare l’anima gemella su Internet. Secondo Forrester Research i siti di appuntamenti amorosi muovono solo in America un miliardo di dollari all’anno. Quando ci si registra, gratis o a pagamento, in siti come Meetic o Adult Friend Finder, prima o poi arriva qualcuno che ti “aggancia”. Non è detto che sia qualcuno che hai conosciuto lì, è solo qualcuno che possiede il tuo indirizzo email. Il contatto col truffatore comincia sempre con una email stereotipata, sgrammaticata, una lunga lista di caratteristiche personali e familiari e una foto (ammiccante) allegata: “Ciao sono Elisa, di Novgorod. Ti manda le foto. Continuiamo la nostra conoscenza. Raccontimi di te. Ti mi piace tanto. Voglio costruire un rapporto serio adesso.” Se ci caschi, dopo le prime email arrivano le richieste. La più comune è quella di inviare dei soldi via Western Union. Un’altra è di pagare con carta di credito il biglietto d’aereo precompilato da rispedire in allegato. Oppure mandare via posta un cellulare con tanto di Sim per stare sempre in contatto. Quando si chiedono soldi le motivazioni sono sempre le stesse: “Ribelli Attaccato la nostra casa e non ho posto dove vivere”, “La mia mamma è malata e non ho soldi per aiutarla”, “I miei genitori sono morti in incidente d’auto”. Al mercato nero i tuoi dati personali hanno un valore: 0,10 centesimi di dollaro per l’indirizzo email e 75 dollari in media per carta di credito con nome, cognome, scadenza e codice di sicurezza. Per questo è bene tenerseli stretti. Per evitare altre delusioni o di finire alla berlina con nome e cognome su un sito pubblico per esserti registrato nella community di un sito erotico come Youporn.

Emergency: Evasori.it, Hacker contro furbetti

Evasori.it, Hacker contro furbetti.
Crittografia e open source per denunciare l’evasione fiscale. L’inziativa di un gruppetto di hacker italiani per proteggere le le finanze pubbliche
di Arturo Di Corinto per E-il mensile di Emergency
Aprile 2012

Da poco siglato il patto antievasori fra Governo e Comuni, gli hacker di Globaleaks propone di usare la propria piattaforma di whisteblowing per sviluppare il progetto di trasparenza contributiva “evasori.it” (www.evasori.it). Il progetto prevede che sia il cittadino ad inviare in maniera anonima, facile e veloce, segnalazioni circostanziate sull’evasione fiscale di soggetti privati e pubblici e se l’utente accetta di essere identificato, prevede un meccanismo premiale. Le segnalazioni – documenti, registrazioni audio/video, dati geo-referenziati da smartphone – vengono raccolte attraverso un sito web nazionale e inviate in maniera automatica ai comuni. Dopo gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, il Comune si vede riconoscere il 100% del gettito recuperato. Il sito pubblica anche le statistiche sui parametri qualitativi e quantitivi delle segnalazioni inoltrate. In un clima di austerity e tensione sociale il cittadino è incentivato a fare la sua parte, partecipando al controllo diffuso del territorio a protezione delle finanze pubbliche, il comune incassa i soldi e gli evasori smettono di fare i furbetti per paura di essere scoperti. Soprattutto, un’idea che avrebbe un effetto deterrente per la sua sola esistenza in una situazione in cui la pratica del Whistleblowing è ritenuta politicamente scomoda e di difficile proposizione in un contesto, quello italiano, che demonizza la segnalazione fatta nell’interesse pubblico come evidenziato da Transparency international nel suo report sull’Italia. Per questo i suoi ideatori cercano degli sponsor per coinvolgere la società civile e le istituzioni nella realizzazione di un modello efficace di Tax Whistleblowing in modo da ridurre i rischi di impopolarità di cui la casta è tanto preoccupata. Un particolare del progetto è che è basato su tecnologie open source e per anonimizzare coloro che denunciano l’evasione usa le stesse tecnologie del progetto Tor, il sistema anticensura che oggi permette al popolo siriano di far filtrare le notizie sulle stragi di Assad senza timore di ritorsioni, rendendo impossibile identificarne gli autori.(https://www.torproject.org)

Emergency: Internet è un diritto umano

Diritto di navigazione
Arturo Di Corinto
per E-il mensile di Emergency
di Marzo 2012

“Internet non è un diritto umano”. Questa dichiarazione di uno dei “padri di Internet”, Vinton Cerf, ha suscitato moltissime critiche.
La principale argomentazione di Cerf è che Internet in quanto tecnologia, sia solo un mezzo e non un fine. Sbagliato. Internet non è un semplice mezzo, ma un ambiente di interazione che oggi si identifica immediatamente con la possibilità di comunicare. E la comunicazione è un bisogno umano basilare, un processo sociale fondamentale e il fondamento di ogni organizzazione sociale. Comunicare significa conoscere, lavorare, emanciparsi dal bisogno, dalla povertà, dall’oppressione politica e religiosa. Perciò Internet é uno strumento primario per ottenere il rispetto dei diritti fondamentali, come la libertà di parola e il diritto al lavoro. La democrazia politica infatti non può fare a meno della democrazia economica. Internet è la più grande agorà pubblica della storia e permette di esercitare la democrazia in forme e numeri prima impensabili, garantendo trasparenza, confronto, partecipazione. Come farebbero altrimenti gli abitanti dei villaggi cinesi a denunciare la deviazione di un fiume che asseta le loro campagne in un paese che non rispetta la libertà di stampa? Non si tratta “solo” di diritto all’informazione. Internet è anche una piattaforma commerciale, un insieme di mercati, un luogo dove si producono e distribuiscono beni, un luogo dove si pubblicizzano e si commerciano servizi. Dietro queste attività, che sono fatte di email, siti web, blogs e social networks, ci sono delle persone, che nei paesi in via di sviluppo non potrebbero creare ricchezza e opportunità altrimenti. Pensate alle cooperative di contadini indiani che trattano via Internet il prezzo delle sementi o alle donne marocchine che ricevono gli ordinativi per i loro tappeti via email. E allora non è neanche un semplice strumento di comunicazione, ma è un fondamentale strumento di sviluppo del potenziale di ciascuno di noi. Forse Internet non è un diritto umano, ma l’accesso a Internet sicuramente sì.

Emergency: Quando il clic diventa un tic


Attivismo 2.0: “friending”, “liking”, “commenting”, “retweeting”. Solo la consapevolezza genera impegno
Arturo Di Corinto
per E-il mensile di Emergency
di Febbraio 2012

All’nizio c’era l’attivismo. Diverso dalla militanza nei partiti e nelle associazioni, l’”activism”, é l’azione diretta dei movimenti di base per denunciare un torto, contestare una scelta politica e dare voce alla protesta sociale su questioni specifiche. Poi è venuto l’hack-tivism, l’attivismo al computer, l’azione diretta in rete con tecniche da hacker, e dopo ancora il media-attivismo, l’uso consapevole e critico di telecamere, televisioni di strada e web-tv autogestite. Oggi va di moda l’attivismo 2.0. Giovani e meno giovani hanno abbracciato i social media (il web 2.0) per promuovere campagne sociali e fare attivismo oltre le forme tradizionali degli scioperi, delle occupazioni, dei boicottaggi, dei cortei e delle petizioni virtuali.
Questa nuova forma di attivismo che si esprime nel “Mi piace” di Facebook, nel commentare un video su Yutube o “retwittare” un post, pretende di contribuire a una singola causa con un piccolo atto pratico, un semplice click, ma spesso si risolve nel suo peggiore estremo, il clicktivism. Puoi twittare una causa e votarla su Facebook senza coinvolgerti in nessuna azione diretta o sentire che sei importante per il suo successo. Quel gesto ripetuto si trasforma allora in “slacktivism”, l’attivismo fannullone che non si interessa di come è andata a finire. Magari un piccolo click ci porta a impegnarci in una cosa successiva, ma la maggior parte delle cause richiede più di un semplice click. Soprattutto, se questi click non producono azione e cambiamento, c’è il rischio di diventare cinici e smettere di crederci. Perciò anche se qualcuno usa i social media come parte della propria strategia di cambiamento non vuol dire che li stia usando strategicamente. Ci sono tanti modi di perdere tempo in campagne che non cambiano niente. E non dipende dal fatto che gli strumenti sono inefficaci, ma perchè vengono usati male. Per essere efficaci quei click vanno collegati alle opportunità quotidiane di reagire off-line alle ingiustizie di cui siamo testimoni ogni giorno. Un solo click non basta.

Emergency: I conti di Wikipedia

Wikipedia sì, Wikipedia no. Chi paga la cultura libera online?
Arturo Di Corinto
per Emergency
di Gennaio 2012

Wikipedia è la più grande enciclopedia online al mondo. È libera e gratuita e per questo oggetto continuo di controversie e critiche, soprattutto da parte dell’establishment culturale tradizionale il cui ruolo è stato terremotato dalla sua diffusione planetaria. Scritta ogni giorno da migliaia di volontari in tutto il mondo dal 15 gennaio 2001, oggi è realizzata in 282 lingue diverse. Due i punti di forza: il software di pubblicazione, un software wiki, da cui il nome, che consente a tutti di creare nuove voci e di editare quelle già pubblicate, e le sue licenze virali – la Gnu Free Documentation License e la Creative Commons – che consentono di fare qualiasi uso del sapere in essa incorporato, a patto di attribuirne la paternità a Wikipedia stessa e di non cambiare la licenza con cui quel sapere è stato reso accessibile.
Considerata la migliore del mondo nel settore scientifico, soprattutto nei settori del copyright, telecomunicazioni e crittografia, Wikipedia è detta superiore alla Enciclopedia Britannica grazie al carattere partecipativo di un sistema di revisione basato su versione successive sempre online dello stesso lemma.
Una delle critiche di cui é oggetto è che continua a chiedere delle donazioni, pur avendo un esercizio finanziario in positivo. Le donazioni, fatte dai capitoli locali della Wikimedia Foundation, accusata di non essere in questo trasparente, sono discusse nell’Assemblea Generale che pubblica il budget e i conti annuali. Perciò la trasparenza è la regola e le donazioni servono a pagare l’hardware, la banda e lo staff tecnico.
La domanda da farsi é un’altra: un “servizio pubblico” come Wikipedia che rende accessibile a tutti e gratuitamente, il tesoro della conoscenza, ha diritto o no a finanziamenti diretti da parte delle istituzioni? C’é crisi, dicono. Ma allora non sarebbe il caso di rivedere i finanziamenti pubblici a enti culturali, quotidiani e fondazioni che sono meno noti, usati e citati di Wikipedia? www.wikipedia.org

Emergency: Facebook contro tutti

logo_emergencyFacebook vs. World Wide web. Il famoso sito sociale si rinnova e sfida l’open web
Arturo Di Corinto
per Emergency – il mensile, novembre 2011

Facebook, Facebok, Facebook. Un tormentone, sulla stampa e nei tiggì. D’ora in avanti sarà possibile condividere con i propri amici su FB non solo testi, video, foto, ma musica, film, giornali, programmi tivvù, dall’interno della sua piattaforma, senza navigare altrove. Uno strumento che facilita la condivisione di contenuti e le relazioni fra le persone è sicuramente utile, ma con Facebook questo avviene a patto di un un compromesso rilevante: la superficialità delle relazioni, la perdita della privacy e il sovraccarico informativo. La facilità di aggiungere persone al proprio network di relazioni con un colpo di click, ha scatenato la gara a chi aggiunge più amici al proprio carnet. Il risultato è un numero di contatti ingestibile psicologicamente, ma accettabile nella logica di Facebook, fast-food dell’informazione e piedistallo da cui parlare al “mondo”. La banalizzazione dei rapporti umani che scambia la qualità con la quantità é la spia di due fenomeni della “modernità liquida”, il precariato e la solitudine, dove esibizionismo e voyeurismo si mescolano in una logica televisiva che non lascia scampo: se non stai nel network non esisti. Ma quando non é così- ci sono molti gruppi che lo usano per campagne sociali – c’è qualcosa di ambiguo nel successo di Facebook che non ha a che fare né con gli investitori né con la (troppa) stampa a favore. E’ la presa emotiva che ha avuto su tutti noi che cerchiamo conferme, affetto, legami e cose da fare con gli altri. Il rischio di Facebook è l’omofilia, quella brutta abitudine di cercare solo i nostri simili, di parlare con chi ci somiglia, di interessarci solo a chi ci è vicino. L’omofilia minaccia di impoverire la biodiversità che ha reso Internet la più grande agorà pubblica della storia umana e per questo un grande strumento di pace e di sviluppo. Scoraggiando il web-surfing, Facebook fa di tutto per tenerti dentro e sostituirsi al world wide web, il primo, vero e persistente social network digitale della storia umana che ha compiuto vent’anni il 6 agosto del 2011. Durerà?

Emergency: Il web 2.0 controlla tutti

logo_emergencyPrivacy per finta. Il web 2.0 controlla tutti
Arturo Di Corinto
per Emergency – il mensile, settembre 2011

Abbiamo creduto a lungo che sul web fosse tutto gratis, invece lo paghiamo coi nostri dati personali. E non stiamo parlando dei dati ottenuti in maniera fraudolenta attraverso il phishing o il furto di identità online – al mercato nero questi dati valgono fino a un centesimo di euro per un indirizzo email, 2 euro per i dati anagrafici completi, e 750 per la carta di credito con data di scadenza e pin – ma delle informazioni che generosamente e volontariamente cediamo durante le nostre interazioni in rete per avere in cambio dei servizi.
Il commercio di dati personali è il senso profondo del Web 2.0, l’evoluzione in senso partecipativo del web che si fonda su un modello di business che unisce gratuità e pubblicità. Le aziende offrono gratuitamente email, spazio web, piattaforme di blogging, servizi di traduzione e motori di ricerca e in cambio veicolano pubblicità. Più esattamente vendono spazi pubblicitari, tanto più costosi per gli inserzionisti quanto più sono mirati, cioè ritagliati sulla conoscenza di chi li vedrà. Non è diverso da quello che fa l’Auditel per la televisione tradizionale. Ma con Internet cambia tutto. Ogni volta che visitiamo un sito, che inviamo una email, che compriamo un biglietto del treno o dell’aereo, i nostri dati vengono registrati e collegati a potenti database da cui una manciata di aziende ricostruisce i gusti, i desideri, le inclinazioni personali e la nostra capacità di spesa.
Si chiama data-mining il processo per cui i nostri dati vengono trasformati in informazioni commerciali. La maggior parte dei siti che visitiamo infila dei tracking files, file di tracciamento, nel nostro browser. Ma per farci cosa? Per ritagliare su questi profili delle offerte commerciali da visualizzare sullo schermo del pc. E allora? Che c’è di sbagliato? Beh, pensate che è come quando in seguito a un acquisto il commesso di un centro commerciale comincia a seguirci e ad annotare quello che compriamo negli altri negozi per aspettarci all’uscita e farci un’offerta che proprio non possiamo rifiutare. Inquietante, no? Quindi attenzione alla privacy e a non cedere troppo facilmente i propri dati personali. Intanto per sapere chi ci segue online si può installare il software offerto da ghostery.com, almeno saprai sempre chi ti insegue online.

Emergency: L’internazionale Hacker

logo_emergencyL’internazionale Hacker
Arturo Di Corinto
per Emergency – il mensile, agosto 2011

Hacker di tutto il mondo, unitevi!
Arturo Di Corinto per Emergency – il mensile

Il Chaos Computer Club è il circolo di hacker più antico del vecchio continente. Fondato nel 1981, ha compiuto 30 anni quest’anno e un ulteriore occasione per festeggiarli è data dal “Chaos Communication Camp”, un evento internazionale, lungo 5 giorni, all’aria aperta, per hacker e affini, che anche questa volta si tiene vicino a Berlino dove il gruppo é nato. L’incontro, che dura dal 10 al 14 agosto e si ripete ogni quattro anni, é un momento di condivisione in stile hacker di metodi, strumenti e conoscenze su informatica, hardware e telecomunicazioni. Se siete saltati sulla sedia a leggere di un campeggio di hacker vicino alla capitale della fortezza Europa, rilassatevi. Non è l’unico e non sarà l’ultimo, e ricordate che gli hacker non sono quelli che vi raccontano al telegiornale. Continua a leggere Emergency: L’internazionale Hacker

Emergency: Cittadino digitale

logo_emergencyLa diaspora africana e Internet
Arturo Di Corinto
per Emergency – il mensile, Maggio 2011

Le rivolte africane hanno portato alla ribalta il protagonismo delle giovani generazioni che grazie al web hanno individuato nuove modalità di azione politica. Discutere dell’operato del governo, criticarlo, fare proposte e chiedere sostegno a specifiche iniziative di protesta su Internet è però qualcosa che esisteva da tempo. Come appare da un bel documentario di Carolina Popolani è il caso dei blogger egiziani, che da diversi anni sono impegnati a raccontare e raccontarsi desideri, bisogni e voglia di futuro. Perseguitati a casa hanno creato reti transanazionali con altri blogger e attivisti in diversi paesi con gli africani della “diaspora” stimolando nuove forme di partecipazione e mobilitazione nello spazio pubblico online e offline. A dimostrazione di questo una ricerca del Forum Europeo sull’Immigrazione (fieri.it) trova che i giovani italiani di origine immigrata (e i nativi digitali) assumono sempre più un ruolo di netizens, ossia cittadini digitali che, esclusi dai canali tradizionali di partecipazione trovano nel web uno spazio pubblico, un luogo di cittadinanza e di partecipazione politica non convenzionale, da esercitare singolarmente o in forme associative. Se dalla sponda sud del Mediterraneo emerge la voglia di superare gli spazi angusti del proprio paese di residenza, dall’altra cova la voglia di riscatto di chi è coinvolto suo malgrado in un difficile processo di cittadinizzazione. Una simile contaminazione non poteva non produrre idee e rivendicazioni di libertà e dignità da un lato, di diritti e opportunità dall’altro. I network sociali hanno offerto un’occasione di “riscatto” anche agli immigrati di seconda generazione. Facebook e Youtube da soli non fanno la democrazia ma di certo hanno stimolato una consapevolezza politica i cui esiti futuri non sono per niente scontati.

Emergency: Il declino del copyright

logo_emergencyUn diritto d’autore per tutti?
Arturo Di Corinto
per Emergency – il mensile, aprile 2011

L’impalcatura a difesa del diritto d’autore non regge più. Il motivo è questo: le stesse tecnologie che consentono alle industrie di trovare nuovi talenti (i social network), l’ubiquità di una rete che consente di vendere file commerciali anche dove i negozi non ci sono, la digitalizzazione delle opere che permette di ridurne i costi di duplicazione e distribuzione, sono tutti fattori che consentono di scambiarsi in rete ciò che è digitale anche aggirando le leggi. C’è un’intera industria del falso che prospera su questo business e sono tanti, giovani e meno giovani, attratti da ciò che si può ottenere senza pagare, un po’ per necessità un po’ per ideologia. Per questo motivo con la delibera AgCom 668 del 2010 in Italia si è pensato di trovare una soluzione al dilemma chiudendo d’autorità i siti web segnalati per presunta violazione del copyright, disattendendo però sia la Costituzione che il diritto comunitario che lo permettono solo dietro disposizione della magistratura e con l’intervento del Ministero dell’Interno. L’iniziativa ha trovato la fiera opposizione dei consumatori e dei provider che hanno lanciato l’iniziativa sitononraggiungibile.it per denunciare la logica e l’impianto di una proposta troppo simile a una legge presentata nel settembre 2010 al Congresso americano. Forse non ci voleva Wikileaks per dimostrarci che major e governo americano brigano da tempo per influenzare il quadro regolatorio italiano ed europeo, bastava fare due più due. In attesa che l’industria individui nuovi modelli di business capaci di garantire i ritorni necessari a pagare il lavoro degli addetti del settore, le major potrebbero però valutare l’adozione di licenze flessibili come le creative commons e una ripartizione dei proventi della connettività con gli operatori di telecomunicazione. Oppure abbassare i prezzi.