Sabato a Roma la festa dei pirati

espresso_piratiLa lotta dei pirati per una società aperta
di Arturo Di Corinto
Per L’Espresso del 15 marzo 2010

Il 20 marzo nella Capitale pirati italiani, europei e americani si danno convegno per affrontare i temi caldi del dibattito sulla libertà di cultura, il monopolio delle multinazionali e le leggi repressive dei governi

“Go Create” esorta la Sony. It’s all around you, dice la Vodafone. Think Different, è lo storico slogan della Apple. Un invito a emanciparsi acquistando consolle, telefoni e computer. E poi ci si lamenta se questi aggeggi vengono usati in una maniera diversa dalle intenzioni di manager e progettisti. Che è quello che poi fanno i pirati. Ma chi sono i pirati? Quelli che vendono dvd copiati sui marciapiedi, pendagli da forca di navi corsare o difensori della libertà di parola? Tutti e tre dicono Lawrence Lessig (Free Culture, 2005) e Matt Mason (The Pirate’s Dilemma, 2009). Con una differenza. Alcune forme di appropriazione di prodotti tecnologici e culturali sono furti belli e buoni, altre sono forme di innovazione proprie della cultura digitale di massa.
Più banda, hardware potente e software gratuito hanno creato una generazione di utenti per i quali i confini fra produzione e consumo scompaiono (i prosumer) ma quando remixano contenuti, duplicano opere e modificano consolle adattando la tecnologia alle proprie necessità diventano yankee, cioè pirati, l’epiteto spregiativo con cui gli europei indicavano gli americani imitatori senza scrupoli. E pirati lo furono gli iniziatori della cultura hollywodiana – per non pagare le tasse dell’invenzione di Edison si spostarono a ovest – come lo sono stati gli artefici delle prime radio commerciali, o gli inventori del DivX. I pirati innovano industrie e consolidano brand e oggetti diventando talvolta veicoli pubblicitari di prodotti di largo consumo come il software facendo dire a Bill Gates: “fintanto che continueranno a rubare [software], è meglio che rubino il nostro. Finiranno per assuefarsi e poi copriremo come fare per riscuotere il dovuto”.
Certo rubare idee è una cosa sbagliata e difendere il proprio lavoro una cosa giusta, ma quello che per qualcuno è un terrorista del copyright, per altri è un combattente per la libertà di creare. Che spesso non rovina i mercati ma ne crea di paralleli innovando prodotti e processi, obbligando l’industria tradizionale a escogitare nuovi business e nuove strategie di vendita. “I pirati competono proprio come noi su qualità, prezzo, disponibilità” ebbe a dire Anne Sweeney della Walt Disney nel 2006.
Come altrimenti affrontare un fenomeno ormai globale che trasforma un teenager giapponese in un imprenditore di successo che vende in rete Nike ridisegnate o l’hip hopper che, campionando brani musicali altrui, diventa una macchina da soldi con tanto di logica del marchio, merchandinsing e talk show televisivi?
E allora con questi pirati bisogna farci i conti. Un’occasione potrebbe essere la festa dei Pirati a Roma, il 20 marzo, al cinema Capranica, due passi da Montecitorio, dove pirati italiani, europei e americani si sono dati convegno per affrontare i temi caldi del dibattito sulla libertà di cultura, il monopolio delle multinazionali e le leggi repressive dei governi. A partire da alcune domande: come si fa a compensare gli autori delle opere creative diffuse in rete? E’ giusto tassare Internet per chi non scarica file? E’ possibile proteggere il diritto d’autore senza violare la privacy di tutti? Un amante del perr to peer deve andare in galera?
Per i pirati che caleranno a Roma e che hanno invitato anche la politica a partecipare al dibattito, parlare di diritto d’autore significa discutere di cosa si intende per cultura, di cosa identifica un atto come creativo, del ruolo che avranno artisti, intermediari e avvocati nel mercato digitale. Perché una cosa è certa, l’industria che pensa di competere sul mercato ricorrendo agli avvocati ha già perso.

http://festadeipirati.net/

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