PER LA LIBERTÀ D’INFORMAZIONE, PER LE LIBERTÀ COSTITUZIONALI, PER UNA BLOGOSFERA LIBERA
Un appello per il web
Arturo Di Corinto
per l’Espresso del 11 maggio 2010
Le intenzioni del governo e della maggioranza parlamentare sul disegno di legge sulle intercettazioni sono chiare: approvare il testo così com’è in tempi brevi, prima e invece del più necessario Ddl anticorruzione.
Il governo ha imposto una nuova vistosissima accelerata, avviando per ben 3 giorni a settimana sedute mattutine e pomeridiane dedicate esclusivamente al DDL in questione, e presentando nuovi emendamenti in grado di accrescerne drasticamente l’impianto proibizionista e punitivo.
Quello che cambia rispetto al passato e qualifica i punti più controversi del provvedimento sono la rimozione di un giudice che rilascia pubbliche dichiarazioni sul procedimento, il divieto di diffusione e pubblicazione di documenti e intercettazioni anche non segreti a pena di ammende e reclusioni che arrivano fino a 6 anni, l’introduzione del limite inderogabile dell’ascolto a 60 giorni, la distruzione automatica di documenti e nastri utilizzati in processi passati in giudicato, il limite massimo di spesa per ciascuna procura e il divieto di riutilizzo delle intercettazioni. Tutti punti che la stampa libera e una vastissima opinione pubblica contestano, inascoltate.
Con un proprio emendamento poi, il relatore del Ddl, vuole punire con la reclusione fino a 4 anni chiunque registri di nascosto una conversazione ambientale a cui egli stesso partecipi, cosa che adesso è consentita dalla legge e permette a un cittadino di tutelarsi da un criminale, come ad esempio per provare un tentativo di estorsione.
In aggiunta a tutto questo, anche il famigerato articolo 28 che impone l’obbligo di rettifica a tutti i siti informatici pena una dura sanzione pecuniaria, non pare essere stato modificato, nonostante la mobilitazione dei blogger che continua da un anno a questa parte dopo lo sciopero del 14 luglio 2009 e la manifestazione di Piazza Navona.
Evidentemente l’autonomia del web 2.0, esaltato dalla stampa italiana come baluardo della libera informazione nei regimi autoritari, quando riguarda l’Iran o la Cina, non vale in Italia. Eppure dopo che nel Giugno 2009 il governo aveva posto la fiducia sul tanto discusso DDL sulle intercettazioni – che aveva generato perplessità anche a parte di Napolitano -, c’era stata un’ampia mobilitazione contro la norma, che rispolvera la vecchia disciplina sulla stampa del 1947, nello specifico il diritto di rettifica a mezzo stampa. Il disegno di legge infatti prevede che tale obbligo sia imposto anche ai gestori di siti informatici che dovranno procedere, entro 48 ore dalla richiesta, alla rettifica di post, commenti, informazioni ed ogni altra forma di contenuto pubblicato sui propri spazi digitali, pena una multa tra i 7.500 e i 12.500 euro.
Se il disegno di legge venisse approvato, a pagarne le conseguenze saranno prima di tutto la blogosfera e i bloggers che, per la prima volta nella storia della rete, verrebbero equiparati ai giornalisti della carta stampata, con tutto ciò che ne consegue. E dopo di essi sarà la volta dei maggiori social media, dei gestori di forum e newsgroup, bacheche elettroniche e qualunque altro mezzo di discussione via internet, professionale o amatoriale. Una situazione contestata anche nella manifestazione di piazza della FNSI dell’ottobre scorso.
Infatti, numerose proposte e disegni di legge, fra cui quello Pecorella-Costa in materia di diffamazione,
avevano generato molte opposizioni rispetto alla possibilità o meno di applicare alla rete gli stessi principi che regolano la carta stampata. L’approvazione del Ddl ne rappresenterebbe la triste conclusione, portando allo svilimento l’attività informativa in rete e riducendola ad un compito oneroso, sterile e privo di diritti.
Quindi il provvedimento non solo rende l’uso delle intercettazioni un’arma spuntata, ma introduce delle limitazioni importanti anche al diritto-dovere-piacere di produrre informazione, sia professionale che amatoriale, creando un pericoloso clima di conformismo e censura preventiva.
E’ per questo che circa 15.000 persone hanno aderito all’appello lanciato pochi giorni fa in rete da Stefano Rodotà e altri, che chiede attraverso Facebook di scrivere ai senatori della Commissione Giustizia affinché desistano dalla sua approvazione desistere e per questo 10.000 persone hanno firmato l’appello sul sito www.nobavaglio.it.
L’appello, cui hanno aderito esimi costituzionalisti come Alessandro Pace e Valerio Onida, associazioni e gruppi come Wikimedia, l’Unione degli Studenti e l’USIGRAI, continua a girare in rete. Se neanche questo basterà a fermare il Ddl intercettazioni, l’unica cosa da fare sarà chiedere al Capo dello Stato di intervenire per tutelare la sicurezza dei cittadini e rispettare l’articolo 21 della Costituzione e il principio per cui la Stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni né censure.