Azioni virtuose e vecchi progetti
Agenda digitale, conto alla rovescia
Il 14 settembre dovrebbe essere presentato in Consiglio dei Ministri il piano di riforma per la promozione e lo sviluppo dell’economia e della cultura digitali. I propositi sembrano buoni, il quadro legislativo abbastanza ben definito, le idee non nuove ma necessarie. Tuttavia i nodi da sciogliere rimangono quelli dei poteri e del ruolo del direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale la cui nomina continua a slittare di ARTURO DI CORINTO per la Repubblica – 11 settembre 2012
ALLA STRETTA FINALE. Almeno così sembra. Come anticipato sul sito del governo, i lavori dell'”agenda digitale per l’Europa” dovrebbero concludersi con la presentazione in Consiglio dei Ministri del Decreto “Digitalia”. Dopo una lunga gestazione dentro la famosa cabina di regia, il decreto riassembla tutte le idee che negli ultimi 15 anni avrebbero dovuto garantire il decollo del nostro paese grazie all’uso intelligente e diffuso delle nuove tecnologie. E infatti, a scorrere l’ultima versione del decreto che Repubblica ha potuto leggere nella sua nuova formulazione, tutti i temi relativi alla Digital agenda for Europe sono presenti nel decreto con minore o maggiore enfasi.
Al primo punto c’è il riconoscimento dell’importanza dell’economia e della cultura digitali, quindi la proposta di una legge annuale per l’incentivazione e lo sviluppo dei servizi digitali attraverso la semplificazione normativa, l’inossidabile Carta d’identità elettronica, la “novità” del domicilio digitale con la posta elettronica certificata e l’anagrafe nazionale della popolazione residente.
Di seguito l’e-procurement e il riuso, i trasporti intelligenti, i dati aperti, l’inclusione digitale e l’accessibilità. E poi misure specifiche per migliorare il rapporto fra cittadini e PA ed evitare gli sprechi, come il vecchio fascicolo sanitario e quello (nuovo) dello studente universitario, i libri elettronici e l’istituzione di centri scolastici per l’apprendimento a distanza. Tutto senza oneri per la finanza pubblica.
Le voci di spesa per il pubblico riguardano l’anagrafe delle infrastrutture del sottosuolo, i mancati introiti invece le agevolazioni per le Tlc. Gli operatori di Tlc non dovranno più pagare l’occupazione di suolo pubblico per i loro apparati, potranno sostituire alle autorizzazioni tradizionali una singola autocertificazione e installare apparati di telecomunicazioni senza il consenso dei cittadini anche dentro i condomini. In cambio dovranno dimezzare i tempi di posa dei cavi e dei tubi per fibra ottica, banda larga e ultralarga.
Nel decreto si incentivano i pagamenti elettronici e sono previste agevolazioni fiscali nell’ecommerce, un credito d’imposta per la realizzazione di nuove infrastrutture e gli appalti precommerciali per favorire l’innovazione. Infine 150 milioni dal Mise per l’azzeramento del digital divide.
Fra le altre disposizioni del decreto, il “Desk italia” – che con personale di Mise, Ice e Invitalia dovrebbe attrarre investimenti nel Belpaese – e la sezione sulla creazione delle comunità intelligenti che ripete le funzioni storiche di DigitPa. Funzioni queste coordinate dall’Agenzia per l’Italia digitale, che svuotata delle competenze su pareri e grandi progetti come l’SPC rischia però di restare una scatola vuota.
Infine, nei due articoli in cui si parla Innovazione e ricerca si inaugurano modalità programmatorie e negoziali per i grandi progetti – un ritorno a industria 2015 – e nella parte ricerca si prova a superare il problema dei finanziamenti pubblici con la “risk sharing facility”, cioè con l’intervento di capitali misti pubblico privato. Considerata l’importanza del dossier salute, nella cabina di regia entra anche il ministro competente.
Fin qui tutto bene, ci siamo arrivati. Bisogna vedere se e come il governo sarà capace di far camminare queste idee visto che ciascuno degli attuali 41 articoli del decreto (manca la parte sulle start up innovative), rimanda ad altri decreti attuativi e al perenne ineludibile coordinamento fra tutti i ministeri interessati.
Adesso è il ministro dell’economia Grilli che deve decidere sulla copertura finanziaria. Il decreto potrebbe arrivare in Consiglio Dei Ministri venerdì e i soliti bene informati sono convinti che verrà corretto con la penna rossa soprattutto per la parte riconducibile agli interessi delle telecomunicazioni.
Nonostante lo sforzo di mettere a sistema tante leve per far ripartire l’Italia col digitale, sembra che il decreto manchi di una vision complessiva e risente della dissonanza fra il metodo usato nell’individuazione delle tematiche nei tavoli della cabina di regia e la sua stesura finale. Manca di una sintesi politica. Non si capisce bene infatti che modello di paese si vuole disegnare con questa agenda digitale che difetta dell’individuazione di una figura con specifiche prerogative e poteri in materia di innovazione. Una figura capace di superare il problema della governance debole di un’Agenzia (per l’Italia digitale), incaricata per legge di attualizzare l’agenda italiana e che però ha solo funzioni di promozione e coordinamento e continua a dipendere dalle decisioni dei singoli dicasteri interessati.
E poi c’è la partita del direttore dell’Agenzia che dovrebbe avere le caratteristiche definite nel sartoriale bando pubblico alla firma di Monti. Per ricoprire questa posizione di grande potere, ci vuole un manager, pagato “solo” 250 mila euro e senza legami con consortierie varie, come chiedono l’Europa e i cittadini. Ma se consideriamo che i sindacati sono pronti a scendere sul piede di guerra a causa dei 200 esuberi provenienti dagli enti accorpati nell’Agenzia, si capisce che non è l’unico ostacolo verso la conversione del decreto e la piena operatività dell’Agenzia digitale.
(11 settembre 2012)