Democrazia elettronica in panne? Perché le consultazioni online non vanno più
I media civici e la pertecipazione online che dovevano ravvivare la democrazia segnano il passo. Molte le iniziative, poca la partecipazione, opachi i risultati e con il rischio di un “effetto boomerang”. Intanto il 28 febbraio si chiude la consultazione sulla “Costituzione di Internet”. Andata quasi deserta
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 27 Gennaio 2015
Il 28 FEBBRAIO, fra un mese esatto, scade il termine per dare il proprio contributo alla Consultazione pubblica sui diritti in Internet. Iniziata il 27 ottobre, la consultazione non sembra però avere riscosso grande successo in termini di partecipazione. Pochi sono i cittadini che hanno espresso il proprio punto di vista su un tema di rilevanza assoluta per impedire che siano i più forti – le grandi corporation – a fare (e ad aggirare) le leggi di Internet. Le due ultime consultazioni dell’Agenzia per l’Italia Digitale, invece (una sulla Crescita digitale, l’altra sulla banda larga e la sua importanza per un paese arretrato tecnologicamente e digitaldiviso come il nostro), sono andate quasi deserte.
Eppure in Italia è stata fatta una riflessione importante sui media civici, siti web e software per la raccolta di idee, l’espressione e la consultazioni delle opinioni dei cittadini su temi di interesse pubblico, al punto che il Senato della Repubblica ne aveva commissionato uno studio con l’intento di favorire il riavvicinamento degli elettori ai luoghi decisionali. Ma allora perché la partecipazione online attraverso queste piattaforme – Ideascale, Partecipa, OpenDcn, Liquidfeedback – diminuisce, anziché aumentare col numero di utenti connessi alla rete? I motivi potrebbero essere diversi: la scarsa pubblicizzazione delle iniziative, la poca fiducia che la propria opinione conti, il fatto che ce ne siano troppe e non si sappia mai che effetti producano.
Alcune consultazioni tuttavia pare abbiano funzionato. Ad esempio, quella sulla Buona scuola avviata dal Governo Renzi potrebbe essere considerata un caso di successo, visto che ha raccolto migliaia di commenti e opinioni. Secondo Fiorella De Cindio, docente dell’Università di Milano ed esperta di reti partecipative, per poterlo affermare “Bisognerebbe definire cosa si intende per successo”. E si domanda: “Contano quanti hanno partecipato, rispondendo alla consultazione e inviando dei contributi, o conta il fatto che questi contributi abbiano avuto un impatto nel policy-making in accordo con quanto promesso nel patto partecipativo?” La risposta è facile ma non banale. Ovviamente contanto entrambi, ma come ci dice il giornalista e storico Luca De Biase: “Conta molto la qualità delle proposte raccolte”.
La consultazione per i diritti di Internet. Fiorella De Cindio però spiega così i pochi numeri della consultazione per i diritti di Internet: “Penso che non sia molto stimolante partecipare ad una seconda raccolta di idee sullo stesso tema di quella svolta nell’autunno di due anni fa, affidata al MIUR e nata per contribuire a mettere a punto la posizione del governo Italiano presieduto da Mario Monti sui principi della rete“. Ora come allora “si promette che dopo la consultazione tutti i contributi pervenuti verranno valutati dalla Commissione di studio che poi pubblicherà su questo sito un documento di sintesi. Vedremo”. Allora vennero inviate 159 idee, furono scritti 490 commenti ed espressi 3496 voti per 770 utenti, una discreta partecipazione, tenendo conto che la consultazione rimase aperta solo 45 giorni. La nuova consultazione voluta dalla Commissione per i Diritti di Internet, invece conta 8 proposte inserite dagli utenti e 241 opinioni espresse. Secondo Vittorio Alvino di OpenPolis, il motivo principale è “la scarsa conoscenza dei temi della consultazione, cioè dei problemi legati alla sorveglianza e ai diritti delle persone quando usano i social network, la posta elettronica, il cellulare. Non basta aprire una consultazione online perché magicamente migliaia di persone si affollino a partecipare. Occorre coinvolgere, promuovere e sfruttare queste occasioni per creare una sensibilità diffusa”.
Se poi le consultazioni online servono, si tratta di una questione da analizzare più in profondità. “A titolo di esempio – sostiene De Cindio – nonostante le 130 mila risposte al questionario relativo alla consultazione sulle Riforme Istituzionali lanciata dal ministro Quagliariello durante il governo Letta, quello sforzo non si è tradotto in un risultato concreto”. La consultazione era stata progettata con buon rigore metodologico, pubblicizzata fortemente almeno nell’ultimo periodo e “sollecitando” la partecipazione di funzionari pubblici. Ma qualcuno ricorda il ministro Quagliariello o il premier Letta far riferimento nella accesa discussione sulle Riforme Istituzionali all’opinione espressa dai cittadini?” E questo anche se, dice De Biase “in quella consultazione l’opinione dei cittadini ha imposto alla discussione un tema non previsto, quello del referendum propositivo, che è finito nel report finale della commissione”.
Il patto partecipativo. Un problema potrebbe essere quello delle modalità di partecipazione. Sicuramente è più facile rispondere con un sì o con un no a domande predefinite. “Ma quello è un sondaggio”, annota De Biase. Ciò che conta secondo gli osservatori è il “patto partecipativo”, cioè le regole di partecipazione, autenticazione, identificazione degli utenti, la distinzione dei ruoli e dei permessi, come pure le tempistiche, l’usabilità e l’affidabilità del software, e soprattutto la visibilità dell’output, del risultato finale, e dell’uso che se ne farà. Secondo Carlo Von Lynx, tra gli ispiratori del Partito Pirata tedesco, tra le prime organizzazioni a usare piattaforme partecipative orientate al voto come LiquidFeddback, la scarsa partecipazione di oggi dipende dai contenuti: “Queste consultazioni online non si occupano dei veri problemi che la digitalizzazione genera. L’agenda digitale europea tende ad aggiungere problemi piuttosto che a risolverli e la banda larga non contribuisce molto al mantenimento della democrazia. Nelle consultazioni si percepiscono gli interessi terzi sulle quali sono fondate e la mancanza di feedback crea la sensazione che i politici faranno comunque il loro comodo senza discutere i problemi veri che sono la sorveglianza generalizzata e la commistione di potere tra stato e mercato”.
Per Luca De Biase, autore del libro I Media Civici (Feltrinelli, 2013) “Siamo ancora in una fase di passaggio. Le consultazioni non sono la stessa cosa dei media civici. E se ci preoccupa un eventuale calo di partecipazione alle consultazioni dobbiamo distinguere se l’inizativa origina dai cittadini o dalle istituzioni, se i temi sono accessibili oppure no, quali sono gli obiettivi. Ad esempio, nel caso dei Diritti in Internet può essere più importante avere 100 contributi articolati che 1000 consensi. Dipende dal metro che vogiamo usare.”
Magari seguendo le indicazioni di cui la De Cindio è prodiga: “Per avere una buona partecipazione ad una consultazione ci vuole un patto partecipativo convincente, il processo di consultazione va progettato (il che significa anche fornire buona documentazione a disposizione che aiutare a formarsi una opinione), possibilmente si devono usare piattaforme aperte che garantiscano chi partecipa della ownership dei dati e delle idee e, last but not least, una comunicazione ripetuta nel tempo che convinca che chi ha lanciato la consultazione ci creda davvero, cioè pensi di utilizzarne l’esito nella propria attività politica e di governo. E l’impegno deve essere mantenuto se no alla lunga si ha l’effetto boomerang”