La Repubblica: Anonymous ora va a caccia dell’hacker n.1 dell’Is

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Dopo aver oscurato la gran parte dei siti e degli account Facebook e Twitter degli jihadisti, gli hacktivisti puntano all’informatico tunisino di nome Majdi. “Non avremo pace finché non sarà in galera”

di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 9 Febbraio 2015

L’OPERAZIONE di Anonymous contro l’infrastruttura di reclutamento e comunicazione dello Stato Islamico non è ancora terminata ma gli hacker mascherati già aprono la caccia al capo degli hacker dell’Is. L’azione è stata finora così efficace che qualcuno ipotizza anche un ruolo dei servizi segreti in tutta la vicenda. Come che sia, l’attacco di Anonymous all’infrastruttura di comunicazione dello Stato Islamico continua. Dal 7 febbraio le crew di Anons continuano a falcidiare i siti jihadisti per indebolire il network terrorista e denunciare i reclutatori dell’Is che sui social network che fanno proseliti per la guerra in Medio oriente.

Piuttosto soddisfatti dei risultati delle due distinte operazioni, #OpIsis e #OpIceIsis  attraverso le quali sono stati bloccati account Twitter, Facebook ed email di presunti fiancheggiatori dell’integralismo islamico non hanno ancora chiuso la caccia. In particolare nei confronti dell’ultimo baluardo della  guerra santa cibernetica del Califfato: un informatico tunisino di nome Majdi. “Non avremo pace finché non sarà in galera”, hanno fatto sapere gli hacker di Anonymous in un comunicato. Majdi – i cui account, telefoni e indirizzi sono stati da loro individuati e comunicati all’Interpol -, nel frattempo, mentre scriviamo, sta cambiando foto e riferimenti delle sue identità su Internet. “Ma lo prenderemo”, ci confessa un operatore della webchat di Anonymous, dove si entra solo su invito. Infatti gli anonymous, insieme al gruppo Red Cult, ai traduttori arabi, agli attivisti italiani e a un paio di dotati hacker giapponesi come “AntiIs”, hanno da tempo “dossierato” le punte di diamante dell’agguerrita galassia dei cyberjihadisti.

Il modo di operare non è nuovo, era stato usato da Anonymous nelle operazioni contro il cyberbullismo in Canada, nell’operazione Nazileaks, contro il Ku Klux Klan della Louisiana e negli attacchi a Lolita City, il “paradiso dei pedofili”, quando in un sol colpo avevano divulgato le informazioni sensibili di 1589 utenti del darkweb pedo-satanista. Anche stavolta sono stati migliaia gli account dei presunti filo-jihadisti “dossierati” e con una accuratezza e un tempismo tali che qualcuno ha ipotizzato la manina dei servizi segreti di un paio di paesi arabi e occidentali. Sospetto fattosi più forte ad ascoltare il primo video dell’operazione “Voi siete il virus, noi siamo la cura”, in cui Anonymous rivendica il carattere “arcobaleno” dei militanti del computer: “Siamo ebrei, cattolici e musulmani, gay ed etero, spie e attivisti”.

“È possibile che all’operazione abbiano contribuito reparti di cyber-intelligence anche se non ce ne sono le prove”, ci dice il generale Umberto Rapetto, già comandante del GAT, Gruppo Anticrimine Tecnologico della GdF, ora in congedo. “In primo luogo si evita l’ingaggio formale delle “digital troops” e si mantiene un certo distacco diplomatico dalle baruffe telematiche. In secundis si garantisce una presunta verginità a chi non è ancora sceso in campo perché se la missione fallisce, l’esito sfavorevole delle operazioni non è da addebitare al Cyber Command di turno, in quanto ad aver mancato l’obiettivo è stato il solito pirata dalle sovrastimate capacità tecniche”.

La pensa così anche Alessandro Berni del Centro Ricerche Nato Cmre della Spezia. Ritiene possibile che dietro gli attacchi di Anonymous possano nascondersi strutture governative specializzate nella cyberwar? “Non si hanno elementi chiari per dire chi si nasconda dietro ad Anonymous. In passato il movimento si è distinto più per attacchi di tipo “Denial of Service”, volti a rendere indisponibili dei siti web, piuttosto che a causare danni permanenti attraverso la distruzione di risorse informatiche.” Come stavolta. “Certo è che attori diversi dai partecipanti ad Anonymous potrebbero compiere azioni sotto falso nome, approfittando del fatto che la natura decentralizzata e anonima del movimento non consente di pervenire a un’attribuzione certa.” Ci dice “Il capitano” (nome di fantasia) in chat: “Questo è un problema”. “È possibile che siano intervenuti i servizi e non conosciamo il gruppo The Red Cult che ha pubblicato online le prime liste dei siti abbattuti”. “E tuttavia Anonymous è uno pseudonimo collettivo. Chiunque può usarlo se si riconosce negli obiettivi dell’azione”.

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