La Repubblica

Wikipedia: compie 20 anni il sogno della biblioteca universale

La stessa Internet, infatti, nasce dall’idea di James Robbnett Licklider, psicologo e informatico statunitense, che da capo dell’ufficio che sviluppò il progetto di Arpanet, poi divenuta Internet, aveva teorizzato l’Intergalactic Computer Network come una biblioteca elettronica facilmente accessibile a tutti i ricercatori. A dispetto della vulgata che parla di Internet come progetto militare. Non lo fu mai, anche se i militari finanziarono il progetto e ci lavorarono con hacker, accademici e imprenditori.

Lo stesso vale per il web. Il World Wide Web, la “Ragnatela grande come il mondo”, pensata per facilitare l’accesso ai documenti della ricerca scientifica prodotta al Cern di Ginevra, nella mente del suo creatore, l’hacker inglese Tim Berners Lee, a questo doveva servire: permettere a tutti i ricercatori di trovare facilmente i “volumi digitali” attraverso delle parole chiave che ne mettessero in relazione i contenuti attraverso delle parole chiave strutturandoli come ipertesti. Leggenda vuole che l’idea di collegarli tramite un “link” gli fosse stata suggerita dal peculiare modo degli italiani del Cern di relazionarsi fra di loro. In realtà se l’idea di ipertesto è attribuita al visionario Ted Nelson, filosofo americano, già nel 1500 un ingegnere svizzero italiano aveva progettato un leggio a ruota per consultare pagine di libri diversi senza muoversi.

Ma questa è storia. L’attualità è che grazie alla sua intuizione, favorita da esperimenti precedenti come Nupedia e Gnupedia, Jim “Jimbo” Wales, farà di Wikipedia uno dei siti più visitati al mondo. E Wikipedia è ancora oggi il sogno della conoscenza libera e gratuita a portata di clic realizzata dai suoi utenti, l’utopia realizzata del Web 2.0, il web dinamico, dove il fruitore di un contenuto digitale può anche modificarlo diventando un prosumer (“producer plus consumer”), produttore e consumatore degli UGC (User Generated Contents), i contenuti generati dagli utenti. Per questo è ancora oggi considerato il più grande esperimento di scrittura collettiva al mondo, un grande progetto di collaborazione declinato in 300 lingue con più di 55 milioni di voci.

Il sapere di tutti. Il nome stesso dalle origini rimanda però all’idea di una conoscenza immediatamente fruibile: Il nome Wikipedia è il risultato della crasi tra la parola “Wiki” che in hawaiano vuol dire “veloce” e “Pedia”, dal greco “paideia”, cioè formazione. Wikipedia vuol dire “formazione veloce”. L’enciclopedia come base della conoscenza universale nella cultura illuministica di Diderot e D’Alambert, “fondatori” anch’essi, ma della cultura europea.

L’enciclopedia per tutti. Wikipedia viene scritta con un software che ha lo stesso nome, il “software Wiki”, che ha rivoluzionato il web publishing e consentito a chiunque di diventare editore di se stesso rivolgendosi a una platea virtualmente illimitata. Grazie a questo software gli utilizzatori di Wikipedia costruiscono ogni giorno un pezzo di web, cioè pagine modificabili all’infinito e liberamente consultabili da quasi chiunque. E diciamo quasi, perché il progetto è costantemente ostacolato da poteri commerciali e governi autoritari. Ma non è una lavagna bianca. Ognuno può proporre nuove voci di questa enciclopedia, o migliorarla, ma i suoi molti volontari sono sempre all’erta per evitare vandalismi – come spesso accade alle pagine dei personaggi storici o della politica – e per nascondere voci celebrative di starlette e aziende che di enciclopedico non hanno niente, adottando il primo comandamento di Wikipedia, il “nPoV”, un “punto di vista neutrale” nello scrivere le voci. Fino a cassare lemmi e modifiche che i patroller ritengono inappropriati e non derivanti da fonti terze come deve essere per ogni enciclopedia. Ma chi sono i patroller? Vengono così chiamati coloro che vigilano sulla qualità dell’enciclopedia. E che con passione, spesso incompresi, si azzuffano pacificamente per far capire le regole di scrittura di un’enciclopedia letta e copiata da tutti il più delle volte senza riconoscergli credito.

Il problema dei diritti d’autore. Ma per far funzionare un progetto così gigantesco non bastano i volontari e un’organizzazione amatoriale, per questo Jim Wales, che si dichiara co-fondatore dell’enciclopedia pur essendone in realtà il creatore principale, ha voluto la realizzazione di Wikimedia, una fondazione internazionale no-profit che è l’interfaccia tenico-legale di Wikipedia. La fondazione si occupa di gestire e promuovere tanti altri progetti che stimolano la diffusione di contenuti liberi collaborando con musei, università, archivi storici, anche per facilitare la pubblicazione di foto, video, documenti, opere protette dal copyright. E proprio su questo terreno che la scelta di Wales si è rivelata vincente fin dagli inizi di Wikipedia.

Il software libero. Per rispettare i diritti di autori e collaboratori sin dalla nascita i suoi contenuti sono stati distribuiti con una licenza di libero utilizzo inventata da Eben Moglen e Richard Stallman, la Gnu Free Documentation Licence (Gfdl), che ne permetteva la redistribuzione e modifica come fosse un software libero impedendo che qualcuno ci mettesse il proprio copyright sopra; in seguito Wikipedia adotterà la Creative Commons License, la licenza di utilizzo e modifica dei contenuti creata dal giurista ed ex candidato alla presidenza americana il professore Lawrence Lessig, per riconoscere la paternità delle opere creative dell’enciclopedia ma al contempo favorirne fruizione e diffusione cosa che il copyright di “Tutti i diritti riservati” non consentiva.

Un giardino aperto. Fu proprio lui, il professore di Harvard, incontrato in una biblioteca a dirci: “Wikipedia è come un giardino pubblico e aperto a chiunque, ben tenuto da quelli che lo visitano”. Un bene pubblico senza pubblicità invasiva e trucchi psicologici per trasformarti in un consumatore infelice. Ma Wikipedia è anche qualcosa di più, un vero esempio di economia circolare, l’economia della conoscenza. La conoscenza infatti più circola, più si valorizza. Tutto il contrario di quello che fanno Google, Facebook e simili coi loro “giardini recintati”.