di STEFANO RODOTÀ
CHI stabilisce le regole della democrazia planetaria? Quali poteri si
dividono il governo del mondo? Queste domande possono sembrare
eccessive. In realtà riflettono problemi concreti e inquietudini sul
futuro di cui si discute intensamente nelle più diverse sedi
internazionali, e sarebbe opportuno che qualche eco giungesse anche
nel povero cortile italiano. Stanno cambiando volto i diritti delle
persone e il rapporto tra tecnologia e democrazia, si fa più acuto il
conflitto tra eguaglianza e esclusione, libertà antiche e nuove sono
sfidate da mille prepotenze.
Per la prima volta nell’Internet Governance Forum dell’Onu, svoltosi
nel dicembre scorso a Hyderabad, la maggioranza delle sessioni è stata
dedicata al tema dei diritti, monopolizzando quasi l’attenzione degli
intervenuti. è il segno d’una maturità raggiunta o d’una crescente
preoccupazione? Forse la vera ragione di questo mutato atteggiamento
va cercata nella consapevolezza ormai diffusa dell’insostenibilità di
un “ordine privato del mondo”, affidato alla sola logica del mercato,
accompagnato dal rafforzarsi di un ordine “securitario” e da
inquietanti presenze della sovranità nazionale. Tutti fenomeni
unificati da un dichiarato disprezzo per ogni controllo, da una
deliberata eclisse dei diritti.
La forza delle cose, con gli effetti devastanti della crisi economica
e finanziaria, ha messo in discussione una ideologia, ha posto fine ad
un’epoca in cui l’unica parola d’ordine era “deregolazione”. E’
crollata un’intera architettura planetaria, s’invocano regole dove
prima si pretendeva che i privati avessero le mani completamente
libere. Stiamo così assistendo ad un singolare ritorno del diritto,
come spesso accade nei tempi di transizione. Era avvenuto all’indomani
della caduta del Muro di Berlino, quando si pensava appunto che un
condiviso sistema di regole dovesse prendere il posto dell'”equilibrio
del terrore” (e si è detto, poi, che il disordine della Russia
post-sovietica, e il suo esito autoritario, sono derivati proprio
dall’aver affidato tutto alle pure dinamiche di mercato, senza
preoccuparsi di una adeguata costruzione istituzionale). Oggi la
questione è di nuovo all’ordine del giorno. Ma che cosa dev’essere
regolato, e come?
Se il mondo dell’economia e della finanza è stato pervertito dal fatto
che non si negoziava più “all’ombra della legge”, pesantissimo invece
è stato l’intervento degli Stati con norme repressive delle libertà
individuali e collettive, giustificate con l’argomento, o il pretesto,
della lotta al terrorismo e alla criminalità. Identico, però, il
risultato. Sacrificio dei diritti, poteri fuori controllo, uso
spregiudicato della dimensione globale. Se le operazioni speculative
percorrevano il mondo e si delocalizzavano selvaggiamente le imprese,
la stessa tecnica è stata utilizzata per il ricorso alla tortura, con
la “delocalizzazione” delle persone da Stati che si proclamavano
esportatori di democrazia a Stati che accettavano il ruolo di
torturatori, i veri “Stati canaglia” del nostro tempo. Se l’ordine
interno e internazionale dev’essere riportato alla regola della
democrazia, del rispetto dei diritti e del controllo d’ogni forma di
potere, questo deve avvenire in ogni caso. I diritti non sono
divisibili, non possiamo vivere in un mondo in cui si ripristina un
po’ di legalità nell’ordine economico e si continua ad accettare la
compressione delle libertà civili, anche perché vi sono intrecci che
non possono essere sciolti se non si agisce su tutti e due i versanti.
Leggiamo le conclusioni di un recentissimo rapporto commissionato dal
Consiglio d’Europa. Dopo aver sottolineato che spesso il riferimento
al terrorismo è solo una “giaculatoria” di comodo, si rileva che “in
troppi casi le leggi e le azioni politiche adottate sono
sproporzionate e sono state usate in maniera abusiva, non per tutelare
la sicurezza pubblica, ma piuttosto gli interessi politici dei
governi. Gli organismi internazionali hanno messo a punto strumenti
non equilibrati e che non garantiscono adeguatamente i diritti
fondamentali. E ciò è dovuto, almeno in parte, al fatto che i peggiori
governi sono stati i più convinti sostenitori di una espansione di
questi strumenti internazionali per giustificare i loro abusi
interni”. Il rapporto è in buona parte dedicato alle limitazioni della
libertà di espressione, e consente di cogliere bene gli intrecci tra
compressione di diritti fondamentali e interessi di mercato.
(La Repubblica 15 gennaio 2009)