Il Secolo Autoritario. Perché i buoni non vincono mai (Rizzoli, 2023), non è un libro, ma un metalibro, un libro di libri, un libro che va oltre il libro stesso. Ogni capitolo, ogni argomento rimanda infatti ad altri libri, annunciando un ipertesto che àncora la ricerca storiografica di cui è frutto. Il suo autore, Paolo Mieli, storico, giornalista, conduttore televisivo, affronta nel saggio temi millenari come la violenza del potere, l’eterogenesi dei fini e le ambiguità del governare per tratteggiare una storia sociale dell’autoritarismo.
Partendo dai regimi che nel Novecento hanno causato guerre e deportazioni, il Patto Molotov-Ribbentropp, l’agonia della Repubblica italiana prefascista e i massacri della Seconda guerra mondiale, lo storico si muove, diciamo con una certa agilità, a ritroso, fino alla congiura di Catilina passando per Gregorio VII l’innovatore populista e le teste tagliate di Murat. Infine, arriva all’antisemitismo endemico delle culture religiose e affronta il tema attualissimo della Cancel culture.
Pregevoli le pagine sull’invenzione di San Simonino che i frati francescani vollero santo per essere stato ammazzato, ma non era vero, dagli ebrei per impastare il pane dello shabbat col suo sangue di fanciullo. Interessante la riflessione sulla Cancel culture, autoritaria anch’essa, che si esprime sulla cosa più ignorata fra tutte: i monumenti che nelle nostre città nessuno guarda più. Belle le pagine sulla normalità del male dei carnefici che riattualizza il monumentale lavoro di Hannah Arendt.
Insomma, un’analisi dell’autoritarismo di pontefici, principi e dittatori che rintraccia nel presente i semi del nuovo autoritarismo. Una conclusione amara che sconta l’illusione, svanita, di un futuro di democrazia spinto da liberismo e liberalismo, che ha condizionato a lungo anche le istituzioni europee a dispetto della Guerra Fredda combattuta sul suo suolo. Illusione crollata davanti all’aggressività di Putin, con la Cina che si riprende Hong King, il ritiro ignominioso degli Usa dall’Afghanistan, fino a tutte le guerre combattute dall’Occidente per procura e che sono finite male: finalmente qualcuno ha il coraggio di dirlo.
L’autore, quindi, conclude con un’affermazione posta in forma di domanda: “Qualsiasi forma di incoraggiamento alle battaglie nel mondo a favore della libertà ha dato frutti avvelenati. Talché è doveroso chiederci se come autentico “secolo autoritario” non vada più considerato il ‘900 ma piuttosto quello attuale, il primo del terzo millennio. Il secolo in cui stiamo vivendo”.