Sotto la rete in cui navighiamo esiste un mondo sconosciuto. E’ cinquecento volte più grande e dentro c’è davvero di tutto
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 20 aprile
“QUESTO MESSAGGIO è un avviso ai proprietari e ai frequentatori di Lolita City, Hidden Wiki e Freedom Hosting. È venuto alla nostra attenzione che voi vi sentite sicuri nel Dark Web. Che vi credete liberi di creare, distribuire e consumare pornografia infantile. Voi siete convinti che questo comportamento sia libertà di pensiero. Vi sbagliate. Voi approfittate di bambini innocenti e se continuerete a farlo riveleremo in Rete quante più possibili informazioni personali riusciremo ad avere di ognuno di voi. Noi siamo Anonymous. Noi siamo Legione. Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo”. Detto fatto: nel 2011 gli hacker di Anonymous assaltano una serie di siti pedofili nel Dark Web e divulgano informazioni sensibili sui 1589 utenti di Lolita City, luogo infame considerato una sorta di “paradiso dei pedofili”.
Il cosiddetto Deep Web, l’Internet nascosto considerato il luogo di ogni orrore, però non è solo questo. Sono sempre di più infatti le Ong, i dissidenti e i blogger che hanno individuato proprio nel Deep Web un nuovo luogo dove incontrarsi, scambiarsi dati e informazioni, o sostenere una “giusta causa” usando il Bitcoin come moneta. Nel Deep Web sono stati clonati i documenti di Wikileaks sulle atrocità della guerra in Iraq e Afghanistan, e sempre qui i whistleblowers, le “talpe” che denunciano governi e funzionari corrotti, proteggono le loro rivelazioni.
E dunque, che cos’è il Deep Web? Detto anche Invisible Web, è la parte non indicizzata dai motori di ricerca. Una parte fatta di pagine web dinamiche, non linkate, generate su richiesta e ad accesso riservato, dove si entra solo con un login e una password: come la webmail. Questo accade perché i motori di ricerca funzionano con i crawler, i raccoglitori di link. Li categorizzano, li indicizzano, e li restituiscono in pagine ordinate quando digitiamo una parola sul motore preferito. Ma se i link non ci sono, non possono farlo. Un altro motivo per cui non riescono a trovarle potrebbe essere perché quelle pagine sono inibite ai motori di ricerca con il comando norobots. txt .
Ma il Deep Web non è solo questo. È anche il mondo dei database scientifici e dei siti che cambiano continuamente indirizzo, delle Vpn, le reti private virtuali che connettono direttamente il tuo computer a un altro: se usi un software di anonimizzazione che cifra i contenuti dei tuoi scambi con la crittografia, nessuno (o quasi) ti può trovare lì dentro.
Per enfatizzarne il carattere rischioso e illegale in passato il Deep Web è stato spesso confuso col Dark Web, ovvero con l’insieme di pagine e servizi web intenzionalmente nascosti a cui si accede con indirizzi impossibili da ricordare o con software di anonimizzazione come Tor, che consente l’accesso ai siti . onion e altri hidden services. In sostanza è esso stesso una porzione del Deep Web. Arturo Filastò, venticinquenne ideatore di Ooni, uno strumento nato all’interno del progetto Tor per misurare la censura nel mondo, spiega con due esempi italiani perché il Deep può non essere Dark: “Globaleaks, (la piattaforma italiana di whistleblowing, lontana parente di Wikileaks, ndr) non esisterebbe senza Tor. E anche Mafialeaks, una piattaforma di denuncia sulla mafia, non sarebbe mai nata”.
Non si conoscono le esatte dimensioni del Deep Web. Secondo la società di analisi dati Bright Planet sarebbe circa 500 volte più grande del web di superficie, ma per il direttore dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr di Pisa, Domenico Laforenza, “non esistono attualmente metriche e tecnologie per misurarlo “. Per immaginare come è fatto pensiamo a un iceberg. Sopra la superficie del mare c’è la parte più piccola, il web accessibile a tutti, quello che cerchiamo con Bing e Google. E sotto la superficie c’è il Deep Web, molto più esteso, a cui non si arriva coi motori di ricerca. Non è veramente invisibile, è solo difficile da vedere. In realtà, come ci ricorda Igor Wolfango Schiaroli nel libro Dark Web & Bitcoin (Lantana editore, 2013), sarebbe più corretto paragonarlo al pianeta Solaris descritto da Stanislaw Lem, “un oceano in continuo mutamento”.
Nel Deep Web ci sono siti che offrono file illegali, ma anche pagine di istituzioni scientifiche, database di organizzazioni internazionali e biblioteche universitarie. Come ci si arriva? Con un link mandato via email o con motori di ricerca a pagamento. Leo Reitano, giornalista esperto di investigazioni digitali, spiega: “Motori di ricerca specializzati come Silobreaker o il portale CompletePlanet ci conducono all’esplorazione di enormi database del Deep Web e con specifiche parole chiave ci consentono di fare ricerche su materiali selezionati e provenienti da fonti attendibili e qualificate. Tutto perfettamente legale”. Esempi? Deepwebtech. com consente di fare ricerca su business, medicina e scienza; theeuropeanlibrary. org su ingegneria, matematica e informatica.
In molti paesi dove la censura e l’autoritarismo imbavagliano le aspirazioni della democrazia fra pari, il Deep Web sta diventando sempre più una risorsa e una speranza. La nuova frontiera della cultura, dell’arte, della creatività e della religione, quando salire in superficie può portare al carcere, alle torture, alla morte. È nel Deep Web che i fan dell’artista cinese Ai Wei Wei organizzano i loro incontri. È attraverso il Deep Web (e Tor) che gli oppositori siriani del regime di Assad comunicano al mondo e Amnesty International ha potuto raccogliere le fotografie delle torture e dei maltrattamenti della guerra in corso. Frank La Rue, inviato speciale dell’Onu per la libertà d’espressione, ha chiarito davanti all’assemblea delle Nazioni Unite che “l’anonimato e la comunicazione sicura sono cruciali per una società aperta e democratica”. Il confine tra il legale e l’illegale, tra la paura e la speranza, non è mai stato così sottile.