Arturo Di Corinto
per Ilsole24ore-Nova del 06/12/2007
L’Italia ha deciso di riformare la legge sul diritto d’autore. In un paese di santi, navigatori, eroi, e di poeti, cantanti, scrittori, musicisti, cineasti, era ora. Il compito di studiare come dovrà essere riformata è affidato al professore Alberto Maria Gambino che per questo ha nominato due commissioni speciali all’interno del Comitato consultivo permanente sul diritto d’autore istituito dalla stessa legge che lo regola, quella del lontano 1941. Non che la legge si sia finora rivelata inefficace. La sua prima formulazione e le successive modifiche hanno contribuito a creare in Italia una cultura che afferma un principio sacrosanto: il riconoscimento dei diritti economici e morali del lavoro degli artisti.
Tuttavia la legge mostra la corda a causa dei profondi mutamenti portati dalla rivoluzione informatica. Oggi con Internet e il digitale si sono infatti drasticamente abbattuti i costi di produzione, distribuzione ed esecuzione delle opere che è possibile riprodurre all’infinito in una versione identica all’originale con costi prossimi allo zero e questo fatto, oltre a determinare la perdita dell’aura dell’opera d’arte ha determinato due grandi conseguenze: la possibilità di appropriarsene con facilità, e quella di fare a meno dei tradizionali intermediari del lavoro creativo. Oggi grazie alla rete, l’industria dei contenuti, ottiene che le opere diventino pù accessibili e raggiungano una diffusione globale, ma al contempo aumenta la possibilita di utilizzo illecito di questi contenuti, mentre i fruitori hanno trovato nel web un’alternativa per la fruizione, la produzione, il miglioramento e la diffusione dei contenuti creativi. Il risultato è stato che interessi economici consolidati sono andati a scontrarsi col potenziale creativo della rete, e con i produttori delle tecnologie che mettono nelle mani di un qualsiasi quindicenne uno studio musicale o cinematografico in un piccolo computer.
Se non bastasse, anche l’industria parallela della pirateria digitale ha visto aumentare esponenzialmente le proprie opportunità di “business” grazie all’innovazione tecnologica. Per questo l’industria dei contenuti ha effettuato pressioni su enti, istituzioni e governi per limitare comportamenti lesivi della tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi alle opere protette. Sanzioni pecuniarie e detentive mirano a limitare, con scarso successo, la possibilità di copiare e condividere film, musica e libri. Il DMCA e l’EUCD sono leggi emanate proprio in risposta ai timori manifestati dai titolari del copyright nei confronti del cyberspace. Ma la tecnologia ha contribuito all’evoluzione del concetto di opera, autore e creatività, come pure alle modalità di remunerazione o di notorietà priva di profitto attraverso cui è possibile gratificare il lavoro degli autori. Oggi si afferma con forza la figura dell’autore collettivo e del remix della cultura, la pratica di realizzare opere sempre nuove grazie alla riuso del patrimonio culturale comune. Tuttavia la stessa tecnologia ha consentito di individuare strumenti per tutelare gli interessi economici in gioco, sono i DRM e il trusted computing, ma a discapito del fair use o dell’equo utilizzo, come pure strumenti di monitoraggio e profilazione dei comportamenti in rete che hanno però la grave contropartita di minacciare la privacy degli utenti.
Perciò è giunto il tempo che a livello legislativo si individui un nuovo equilibrio fra tutela delle opere e l’accesso al sapere, all’arte, alla conoscenza che la loro diffusione offre, considerato che mai come oggi tale accesso significa accesso alla cultura, al lavoro e al reddito soprattutto per i più giovani, garanzia di democrazia che si alimenta nella trasparenza dell’informazione, ad esempio dei dati pubblici, e della libertà d’espressione che la rigidità delle tutele impedisce. Per questo diventa cruciale il ruolo degli stati di farsi garanti di diritti contrapposti, quelli della tutela degli autori e dei fruitori, dei produttori e dei consumatori.
La commissione Gambino sembra aver recepito tale messaggio e ha deciso di rappresentare in seno alle commissioni non solo gli interessi economici costituiti ma anche quelli dei consumatori e degli utenti che condividendo tale obiettivo hanno portato una serie richieste di riforma all’attenzione di tutti.
La prima è la riduzione del tempo di vita del diritto d’autore di un’opera la cui esigibilità va assoggettata a un miniticket per il suo rinnovo e in caso contrario la fa ricadere nel pubblico dominio. L’obiettivo è disincentivare la pratica diffusa di bloccare la diffusione di un’opera protetta senza utilizzarla a fini economici sottraendola alla società. La riforma della Siae, per garantire il rispetto e la tutela dei piccoli autori e dei consumatori inserendo loro rappresentanze negli organismi dirigenti e fissando trattamenti economici minimi nei contratti tra autori ed editori e produttori, al fine di bilanciare il minor potere contrattuale degli autori. Insieme a questo chiedono d pubblicare online l’elenco gratuito degli iscritti alla Siae e alle altre collecting society, per sapere quando un’opera può essere liberamente utilizzata perchè soggetta a una tutela attenuata come nelle licenze Creative Commons. Per farlo basta una marcatura temporale e la firma digitale. Sul versante tecnologico chiedono di stabilire che i provider non possono intervenire sull’uso che i cittadini fanno della rete, di bandire l’uso di sistemi di watermarking che sono utilizzabili a fini di sorveglianza, di non discriminare o perseguire il P2P tramite cui si può condividere materiale libero. E poi c’è il capitolo delle Libere Utilizzazioni. Se posso conservare, prestare o rivendere un libro legalmente acquistato perchè non posso avere il diritto di fare copie illimitate dei miei film e della mia musica su qualunque supporto e in qualsiasi formato e dimensione, per il mio uso personale? E perchè non dovrei poterle prestare a un amico? Consumatori e utenti ritengono illegale limitare tali facoltà. E non dovrebbe valere lo stesso per il prestito bibliotecario data la funzione di “archivi della conoscenza e della cultura nazionale”? Inoltre ritengono di chiarire che i tipi di riutilizzo delle opere per fini di informazione, satira, didattica, dovrebbero essere esplicitamente liberalizzati quando non intaccano il prodotto originale ed il suo specifico mercato, soprattutto se sono scuole e università a farlo. Ma l’uovo di colombo riguarda forse la proposta di modelli di business che consentano la diffusione di opere su Internet e intranet, via IPTV, IP Radio, P2P, pagando una cifra equa alla SIAE come accade per radio e tv. L’idea delle ADSL dotate di “diritto di download incluso nel canone” permetterebbe di costruire finalmente il jukebox universale della cultura e renderebbe meno attraente il fascino perverso della Darknet.
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