Il ritmo dell’innovazione
Arturo Di Corinto
per il Corriere delle comunicazioni
Il 24 e 25 maggio si terrà a Parigi il “G8 di Internet”, iniziativa voluta dal presidente francese Sarkozy “per promuovere l’economia digitale”. Anche l’Italia partecipa con una sua delegazione e gli sherpa digitali sono a lavoro da circa un mese per portare in quella sede la posizione dell’Italia. Allora forse è utile fare una riflessione sulle questioni che lì verranno affrontate.
Cominciamo col delimitare il campo di ragionamento. Il ritmo accellerato dell’ innovazione tecnologica sta ridisegnando i mercati intervenendo potentemente sia sul versante della domanda che su quello dell’offerta di beni, merci e servizi. La smaterializzazione e la dislocazione geografica e atemporale di molte attività e prodotti ha favorito processi di disintermediazione obbligando i produttori tradizionali a modificare i propri modelli di business. In aggiunta, i consumatori non sono più tali e ad inverare le precognizioni di Alvin Toffler e Marshall McLuan sono diventati prosumer. E allora? Non lo sapevamo? Certo. Ma questo scenario ha delle implicazioni profonde per l’economia – che nel frattempo si è globalizzata e finanziarizzata all’estremo proprio grazie alle tecnologie di comunicazione – e per l’industria, obbligata a investire nei processi mediati dalla tecnologia ed a creare nuovi asset basati sulla gestione oculata dei diritti di proprietà intellettuale piuttosto che sulla produzione di oggetti fisici.
La controprova di questi processi sono le nuove guerre commerciali fra i detentori di tali diritti e fra questi e gli utenti/consumatori, tanto che la competizione fra le aziende non avviene più intorno alla bontà e qualità dei prodotti ma nelle aule di tribunale.
Per tutto questo, nel ripensare le attività strategiche del mercato italiano delle piccole, medie e grandi imprese diventa cruciale investire nella ricerca e analisi dei nuovi mercati dell’ICT. “Nuovi” perché costantemente riconfigurati, “mercati” al plurale, perchè l’ICT li attraversa tutti in maniera trasversale. E poiché tali mercati sono fatti di conversazioni, come dice David Weinberger (Cluetrain Manifesto), diventa cruciale interpretare le tendenze e le modalità di prosumption che vanno oltre le logiche della proprietà e sono incentrate sulla cooperazione spinta (la Wikinomics di Dan Tapscott). E’ ovvio qui il riferimento al mondo del Free, Open Source Software, e alle opere distribuite secondo le modalità dell’Open Licensing, oltre che alle piattaforme di peering per lo scambio dei file e alla Darknet dove tutto succede di nascosto.
L’industria del software e quella dei servizi è molto attenta infatti a quello che viene da singoli programmatori che, cooperando ai quattro angoli del pianeta sono stati capaci di creare prodotti e servizi in diretta competizione con le più importanti software house, mentre l’Open Licensing e il movimento dei Creative Commons rappresentano oggi la magnifica l’ossessione di tutta l’industria editoriale (audiovisiva, discografica e cinematografica) che – se non cerca di uccidere il bambino nella culla – cerca di cavarne modelli di business di valore pari all’intuizione di iTunes. Il mondo delle telecomunicazioni, invece, cerca l’integrazione tra contenuti e servizi in un’ottica di convergenza basata su nuovo hardware, software e servizi ma in un’ottica di walled garden piuttosto che sul modello della freedom-box di Eben Moglen.
Perciò, pur nella semplificazione che abbiamo appena operata, ci sentiamo di dire che un’agenda digitale italiana non può non riguardare un progetto comune, articolato fra tutti gli stakeholder, che possa rispondere alle esigenze di un’industria che sempre di più deve essere in grado di anticipare le tendenze costruendole e che è possibile solo conoscendo e interpretando ciò che già esiste. I temi di questa agenda “già” ruotano intorno a quattro vettori che si intersecano fra di loro: privacy, IPRights, libertà d’espressione, converged communication e non è necessario cercare altrove.
Evitare iniziative lesive della privacy dei consumatori per restituire fiducia al segemento consumer; affrontare il tema degli IPR Rights oltre la logica di contrapposizione evidenziatasi nello scontro fra Mediaset Google, per proporre schemi virtuosi di cooperazione, incentivare la libertà d’espressione per la crescita sociale e culturale, investire nella ricerca e nella implementazione della Internet of Things, costituiscono degli spunti e forse non possono essere un programma, da far portare dai nostri sherpa digitali al G8 di Internet, ma siano almeno un terreno comune di riflessione per individuare percorsi di indagine e intervento, di analisi e ricerca attorno alle tematiche “calde” della “rivoluzione digitale”. Quello che servirà dopo sarà un lavoro di “scouting”, di “business intelligence”, di “political proposal” con cui innervare le istituzioni chiamate al difficile compito di ripensare il mondo in una società che da Internet in poi non è più la stessa.
Arturo Di Corinto è autore del libro I nemici della rete. Rizzoli, 2010.
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