Stallman, hacker e indignati
“Società digitale, quanti rischi”
A Firenze il 14esimo Hackmeeting italiano. Con il filosofo del software libero, i contestatori informatici e gli animatori della protesta spagnola. A parlare delle incognite del cloud, di mondo del lavoro digitale, di primato del business sulla persona e di politica di ARTURO DI CORINTO
La Repubblica del 25 giugno 2011
Quando entra scatta l’ovazione. Richard Stallman, instancabile e ombroso portavoce della libertà del software è arrivato all’hackmeeting di Firenze. L’occasione è il quattordicesimo incontro degli hacker italiani. Lui, il “nonno” del movimento riunito al centro sociale Next Emerson, parte subito all’attacco contro cloud computing, software chiuso e intercettazioni. Non vuole le sue foto su Facebook, “non è nostro amico” dice, “e se fate riprese non usate tecnologie proprietarie”. Il suo intervento è sulla libertà nella società digitale. “La tecnologia digitale può essere uno strumento oppressivo e le multinazionali lavorano per ridurre i diritti delle persone”. “Ma sono stupide. Si può fare business anche senza togliere a nessuno la libertà di parola”. Il suo intervento riassume bene la maggior parte degli incontri del convegno: privacy, sicurezza, copyright, Gnu/Linux. Per Stallman “il primo pericolo è la sorveglianza digitale fatta coi nostri computer quando hanno software che non controlliamo. Ma accade soprattutto con Internet e la violazione sistematica della nostra privacy”. “Questa è tirannia”, dice.
Il secondo pericolo per il vate del free software è la censura. “Credevamo che Internet potesse sconfiggere la censura, ma questo era prima che i governi investissero tante energie nel suo controllo. La censura non riguarda più solo l’Iran e la Cina. Pensate alla Turchia oppure alla Danimarca che ha fatto una blacklist dei siti Internet per controllare il dissenso, una lista che poi é comparsa su wikileaks”. “La nuova legge bavaglio (la delibera Agcom sul copyright, ndr) in Italia dovrebbe essere cancellata subito. É contro i diritti umani.” E sarcastico aggiunge: “Potremmo chiedere a degli amici cinesi di prestarci un proxy server per aggirare la censura in italia”. Il terzo problema secondo il guru è quello dei formati e dei DRM (le chiavi crittografiche per controllare i contenuti digitali), “manette elettroniche” le chiama. “Certi formati sono pericolosi (malicious). Chi riceve fondi pubblici non dovrebbe poter usare formati non interoperabili (che richiedono specifici software commerciali per essere letti). In più, per giunta, sono pure brevettati”. La differenza, per Stallman e gli hacker riuniti a convegno, è tra il software libero e il “software soggiogante”. Tra il software controllato dall’utente e l’utente controllato dal software. E qui parte l’affondo contro il cloud computing. “Se usi i network service devi chiederti come loro usano te”. “Il software come servizio (“la nuvola”), significa che qualcun altro sta gestendo il tuo computer e i tuoi dati. Rifiutalo. Possono perdere i tuoi dati, modificarli, cederli ad altri senza che lo sappiate. Pensateci.”
Ma il meeting non si esaurisce con le sue invettive. Nei primi due giorni fiorentini del’hackmeeting la precarietà, il capitalismo digitale e la presunta fine del lavoro sono temi molto gettonati. Carlo Formenti che ha presentato il suo ultimo lavoro “Felici e sfruttati”, (Egea 2011) ha chiarito che “quando non paghi qualcosa, non sei un cliente, ma sei il prodotto che viene venduto a qualcun altro, cioé ai pubblicitari”, “La pubblicità é l’unica vera fonte di business dei moloch dell’informazione sopravvissuti alla crisi della new economy”. come Google, Facebook, Amazon ed Apple.”Sanno tutto di te”.
Samuele è uno sviluppatore web presente al meeting. Intorno a lui un gruppo di persone: “Me ne sono andato a Londra per sfuggire alla morsa del precariato. Lì mi pagano uno stipendio di 2000 sterline al mese come salario d’ingresso. In Italia venivo pagato 1000 euro al mese con un contratto di tre mesi senza garanzia di rinnovo”. E lui non è il solo. Molti dei presenti lavorano a Berlino, Copenhaghen e Londra, e sono venuti apposta per l’hackmeeting, ma la pattuglia più consistente degli hacker migranti sta a Dublino. Lavorano nella Silicon Valley d’Irlanda.
Sono in tanti a condividere le opinioni di Formenti secondo cui il vero modello di business dell’industria culturale è il lavoro gratuito. Il web 2.0 é sfruttamento, “le informazioni e le conoscenze che vengono scambiate nei social network e irradiate dai social media sono merci e producono profitto per tutti tranne che per quelli che le condividono in rete”, dice. A distanza gli fa eco Stallman che propone di finanziare direttamente la cultura e il lavoro degli artisti secondo meccanismi di redistribuzione orizzontali. Per uscire dal paradosso secondo cui le megacorporations da un lato chiedono leggi sempre più restrittive per il copyright e dall’altro non riconoscono il lavoro di milioni di persone che producono e fanno circolare i contenuti che valorizzano le piattaforme usate per pubblicarli.
Al meeting c’é anche anonymous. Ogni computer collegato alla rete locale ha un unico nome e un’unica password: anonymous. Gli hacker italiani hanno opinioni molto diverse circa la strategia di contestazione del gruppo che negli ultimi giorni ha attaccato sia i siti della Pdl che del Presidente del consiglio, ma molti li seguono. Ci sono anche gli indignados. Direttamente dalla Spagna, raccontano come hanno creato e usato un social network alternativo (n-1 y Lorea), per organizzare le proteste e il lavoro successivo delle commissioni del movimento. Ci sono le cyberfemministe che usano la tecnologia per creare reti di solidarietà fra donne e per discutere sui temi del precariato. Ci sono i romani del Bugslab che sviluppano progetti di cooperazione informatica in Palestina. Ci sono gli hacker storici, che hanno raccontato il loro passato per trovare fonte di ispirazione negli esperimenti iniziali della cultura hacker e rimettere in discussione i valori dominanti della società: beni comuni contro profitti privati. Mentre Stallman dice che “dobbiamo stabilire cosa è un diritto in internet e cosa no. Non è possibile rimanere in balia dell’arbitrario di una multinazionale o di un governo”, “anche l’Onu ha detto che Internet è un diritto umano”, gli hacker di Firenze sono pronti a rivendicarlo, anche senza dirlo. Con ogni mezzo necessario.
Il sito degli hackmeeting
http://hackmeeting.org
Il sito di Richard Stallman
http://www.stallman.org
Il sito del Centro Sociale nEXt Emerson
http://www.csaexemerson.it
Il sito del social network degli indignati (n-1 y Lorea)
https://n-1.cc