LIbera rete in libero stato
per Peace Reporter di Ottobre
Arturo Di Corinto
Il pluralismo e la libertà d’informazione non abitano in Italia. E questo accade non solo per l’abnorme conflitto d’interessi che riguarda il suo premier, ma perché da sempre i mezzi d’informazione italiani sono soggetti alla pesante influenza dei propri editori, alle dinamiche perverse della raccolta pubblicitaria e alla scarsa cultura democratica dei legislatori. Le redazioni giornalistiche del servizio pubblico radiotelevisivo sono lottizzate dai partiti mentre quelle di radio e tv private sono selezionate in base a criteri familistici e clientelari. Nelle redazioni regnano indiscussi la censura e il conformismo preventivo, e le schiene dritte sono sempre di meno. C’è un’alternativa all’informazione blindata che si chiama Internet. Grazie alla rete ognuno può diventare editore di se stesso e anche piccole testate giornalistiche possono competere con i grandi gruppi quando riescono a trovare la strada verso il proprio pubblico di “prosumer”, produttori e consumatori d’informazione. Proprio per questo Internet disturba, e i legislatori sono sempre al lavoro per limitarne uso e portata. Come se già non bastasse il digital divide a creare gli “information rich” e gli “information poor”.
Negli ultimi mesi il Parlamento e il Governo italiani si sono distinti in una campagna strisciante per limitare la libertà della comunicazione in rete. Proposte come quella di chiudere interi siti contenenti una sola frase ingiuriosa, o quelle volte a impedire l’anonimato in rete, a trasformare i provider in sceriffi digitali per individuare i potenziali criminali del peer to peer, hanno trovato il proprio corollario nel “Ddl intercettazioni”. Ripescando una norma fascista, nella proposta del ministro Alfano c’è infatti un articolo volto a obbligare ogni sito informatico a rettificare entro 48 ore le proprie informazioni, pena una multa fino a 12.500 €, come accade per le testate giornalistiche registrate, ma senza che i siti ne abbiano le tutele e i finanziamenti, mettendo una pesante ipoteca al diritto, dovere, piacere, di produrre informazioni amatoriale. Il 14 settembre inoltre è stata depositata una proposta di legge a firma degli onorevoli Pecorella e Costa nel quale si manifesta l’intenzione di rendere integralmente applicabile a tutti i “siti internet aventi natura editoriale” l’attuale disciplina sulla stampa, assoggettandoli ai criteri di responsabilità previsti per le ipotesi di diffamazione a mezzo stampa o radiotelevisione. Tradotto potrebbe significare che la causa da 20 milioni di euro intentata da Angelucci contro Wikimedia Italia per “lesione dell’onore”, la farebbe chiudere. In aggiunta a tutto questo, è ricominciata in Europa la battaglia sul famigerato Pacchetto Telecom, che ha l’obiettivo palese di ridisegnare il quadro comunitario delle telecomunicazioni favorendo ancora una volta le grandi compagnie e ridisegnando l’accesso ai servizi in rete su base censitaria. Attaccando uno dei pilastri su sui si è sempre fondata la democrazia di Internet, la net neutrality, cioè l’uguaglianza di accesso ai suoi contenuti, i grandi carrier di telecomunicazioni puntano a creare una rete a due velocità in base alla capacità di spesa di ognuno: solo se paghi vai veloce e scarichi tutto. Alla faccia della libertà.
Anche per questo alla prossima manifestazione per la libertà d’informazione non potrà mancare un chiaro riferimento alla libertà di Internet: organo d’informazione universale.