La Camera certifica le difficoltà dell’Agenda digitale italiana. I motivi dei ritardi
Di 55 adempimenti considerati, solo 17 sono stati adottati e per quelli non adottati di ben 21 risultano già scaduti i termini. Le valutazioni in un rapporto del Servizio Studi del Dipartimento Trasporti di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 14 marzo 2014
ROMA – “Quest’agenda digitale è così vecchia che bisognerà ristamparla”. Gli addetti ai lavori ironizzano così sul forte ritardo nell’attuazione dell’agenda digitale italiana. Un ritardo che ora viene certificato da un rapporto del Servizio Studi del Dipartimento Trasporti della Camera dei Deputati che solo chi sa scandagliare attentamente il web può trovare nel sito della Camera, ma che esiste, e dimostra l’efficienza di alcuni servizi propri dell’istituzione parlamentare.
Nel rapporto si evidenzia come in materia di Agenda digitale italiana (decreti legge “Crescita” “Crescita 2.0”, “del Fare”), fra i 55 adempimenti considerati solo 17 sono stati adottati e per quelli non adottati di ben 21 risultano già scaduti i termini. I settori di intervento non ancora disciplinati sono molti, e vanno dal riordino del sistema statistico nazionale alla bigliettazione elettronica, dalla misurazione dei campi elettromagnetici alla trasparenza dell’attività parlamentare.
Tuttavia, già dalle prime pagine il Servizio segnala che “non si è mai fatto ricorso alla procedure di legge in base alle quali per l’adozione dei provvedimenti attuativi previsti si consente l’adozione su proposta del Presidente del consiglio dei ministri anche senza il concerto coi ministri competenti”. Tra questi il fascicolo sanitario elettronico e i pagamenti elettronici. Una “prateria digitale” per Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio, già tirato qua e là per la giacchetta, è chiamato adesso a raddrizzare la storia della sfortunata agenda digitale italiana. Ma le cose non sono affatto semplici.
L’Agenzia per l’Italia Digitale. Troppe le incertezze intorno all’Agenzia per l’Italia Digitale, vero snodo critico di tutta la vicenda che nel rapporto è citata per non aver trasmesso al Presidente del consiglio o ministro delegato, l’Agenda nazionale dei contenuti e degli obiettivi delle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, come pure risulta manchevole nell’individuazione delle risorse umane, finanziarie e strumentali dell’Agenzia. L’Agid, così si chiama l’evoluzione di Aipa, Cnipa e DigitPA, ha infatti il compito di implementare l’agenda digitale italiana e finalmente contribuire alla modernizzazione del paese mettendolo in grado di competere al giusto livello in uno scenario globale. L’Agid accorpa per legge DigitPa, Iscom (ma solo un pezzo), l’Agenzia per l’innovazione e il Dipartimento per l’innovazione e la digitalizzazione della presidenza del consiglio. L’agenzia, già sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio, deve attuare l’agenda digitale italiana coerentemente con i dettami dell’agenda digitale europea. Ma finora non avrebbe assolto i suoi compiti come sembra dalla lettura dei verbali dei Revisori dei Conti della stessa Agenzia inviati alla Procura Regionale della Corte dei Conti del Lazio. Inadempienze stigmatizzate dal sindacato UGL che ha chiesto l’intervento della Presidenza del Consiglio per accertamenti e ispezioni.
Decreti, interrogazioni e ispezioni. Perciò i motivi del ritardo, segnalati in numerose interrogazioni parlamentari (SEL, FI, M5S), non sarebbero imputabili solo alla mancata definizione dei decreti attuativi di cui sopra, ma anche alla governance dell’agenzia. Secondo alcuni infatti, in assenza di uno statuto che doveva definire i poteri e l’organizzazione dell’Agenzia – è arrivato solo da un mese – il direttore dall’agenzia non poteva fare molto, secondo la legge istitutiva dell’Agenzia, in qualità di commissario, avrebbe potuto fare molto di più. Di certo però ha assunto una serie di iniziative – affidamenti diretti di servizi senza gara – che non sono esattamente in linea con le leggi dello Stato. Come nel caso di una convenzione con Consip per “attività di supporto in tema di acquisizione di beni e servizi informatici e telematici” pari a un ammontare di un milione e mezzo di euro, che secondo i revisori dei conti Agid viola la normativa comunitaria in materia.
Che fare? La responsabilità dell’agenda “da ristampare” però non sarebbe solo del direttore Ragosa, perché anche Mr. Agenda Digitale, cioè Francesco Caio, nominato con un tweet da Letta per superare l’impasse dell’agenda digitale, non è riuscito altro che a mettere in pista due provvedimenti già pronti prima del suo insediamento, anagrafe e fatturazione elettronica – quest’ultima in vigore dal prossimo giugno – mentre quello sull’identità digitale è ancora ai nastri di partenza. Adesso che lui se ne è andato, chi avrà questo compito di catalizzatore? Certo occorrono più soldi, consapevolezza e investimenti per sfruttare quel 3% del PIL, (45 miliardi) derivante dall’economia digitale italiana, ma il tema rimane: se non ci sono i servizi, a che serve avere datacenter centralizzati e una infrastrutturazione avanzata del territorio? Tubi e fibre ottiche per portare quali vantaggi al cittadino? In assenza di una seria riforma della Pubblica Amministrazione, è il solito cane che si morde la coda.