Ma andiamo con ordine. Qualcuno ricorderà la campagna “Niente sangue nel mio GSM”. Negli anni scorsi infatti, diverse organizzazioni umanitarie con questo slogan avevano voluto mettere in risalto il fatto che la maggior parte delle componenti preziose dei telefonini – oro, stagno, tungsteno – venissero da zone di guerra. In particolare Repubblica aveva raccontato delle “guerre del coltan”, un composto, la columbite-tantalite, da cui si ricavano il tantalio e il niobio, fondamentali per dare certe caratteristiche di conduzione e resistenza ai telefonini. Estratti prevalentemente nella regione del Congo in Africa, e commerciati da organizzazioni criminali e paramilitari per finanziarsi, il loro contrabbando è stato alla base di molti conflitti bellici e secondo le Nazioni Unite, della guerra civile nel paese.
Ecco, Fairphone pretende di usare “conflict-free minerals”, ovvero minerali la cui raccolta non produca conflitti e guerre né nella zona del Congo né altrove. Per fare questo i giovani imprenditori di Fairphone avviato da due anni una ricognizione sul posto del modo di operare dei loro fornitori e hanno deciso di rifornirsi solo da quelli che davano adeguate garanzie di rispettare l’ambiente, i diritti dei lavoratori, la libera concorrenza e le leggi statuali. Ogni volta che questi principi non erano rispettati, facevano due cose: cambiare fornitore spostandosi perfino dall’Africa in America Latina, oppure, dove era possibile, avviare delle partnership scientifiche ed educative coi produttori. E scegliendo spesso la seconda opzione per non deprimere ulteriormente l’economia di quei paesi e facendo accordi perché ne fosse garantita una produzione legale.
Visto che gran parte dei componenti in oro che rendono resistenti ed efficienti i nostri telefoni veniva realizzata in Cina hanno poi deciso di andare a vedere se la loro materia prima provenisse da miniere regolari. Scoperto che quell’oro non poteva sempre essere certificato, hanno deciso di risalirne la catena produttiva chiedendo aiuto a FairTrade international, la fondazione che in tutto il mondo garantisce se caffè, zucchero, cacao, giocattoli e artigianato sono prodotti secondo i principi dell’altromercato, cioè del mercato equo e solidale. E oggi ne hanno realizzato una prima mappatura pronti a certificare i proprio telefonini come “puliti” e “senza sangue”.
Il primo Fairphone ha visto la luce nel 2013: usava solo stagno e tantalio congolesi certificati. Ma prima Fairphone aveva stretto un accordo etico e commerciale coi suoi produttori in Cina (a Guohong e poi a Suzhou), ottenendo migliori condizioni di lavoro per gli operai. Poi ne hanno studiato l’impronta ecologica, e in base all’analisi del ciclo di vita hanno organizzato sia le modalità produttive che l’esportazione e il riciclo (aprile 2014) del telefono per arrivare a un design che fosse in grado di supportare delle modifiche al telefono stesso. Dal Ghana hanno cominciato a importare telefonini buttati per recuperarne i materiali da usare nel Fairphone e hanno cominciato a vendere attraverso il proprio sito i ricambi per il telefonino offrendo insieme ad iFixit dei tutorial per imparare a sostituirne le parti usurate. Adesso sono arrivati a fornire le istruzioni per stampare in 3D la cover dei telefonini e sono pronti al rilascio del codice sorgente del software che fa funzionare i telefonini. Hanno già prevenduto oltre ottomila Fairphone2 dal loro sito. “È bello, funziona bene e – spiega Valentina, volontaria di una Onlus che si occupa di migranti che si trova in in Puglia – mi fa sentire meglio sapere che è garantito da giovani come noi che mettono il valore delle vita umana davanti al profitto”. In questo momento nel mondo ci sono 60.000 Fairphone. E un po’ di bontà in più.