Arturo Di Corinto – TUNISI
16/11/2005 Il Manifesto
Il summit di Tunisi doveva essere il summit delle soluzioni. L’aveva ribattezzato cosi’ Yoshio Itzumi – segretario generale dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, coorganizzatore e presidente del WSIS – ma allo stato delle cose e’ rimasto solo un auspicio.
Gia’ nella conferenza stampa d’apertura Itzumi aveva detto che si erano fatti molti progressi sul tema del digital divide ma che non c’era accordo sulla vexata quaestio della Internet governance. Nell’assemblea plenaria e’ stato lo stesso Kofi Annan a ribadirlo.
Pur dichiarando che le Nazioni Unite non smetterano di occuparsi della rete e di operare affinche’ continui ad essere un strumento di dignita’ e di pace, il segretario ONU ha ringraziato gli Stati Uniti per aver sviluppato Internet e averla mantenuta a disposizione di tutti. Nel linguaggio diplomatico del segretario significa che per ora non sono state accolte le richieste di spostare dagli USA ai singoli governi il controllo dei nomi di dominio – cioe’ gli indirizzi internet.
D’altronde, di fronte alla rigidita’ degli USA che piu’ volte avevano chiarito di non volere nemmeno prendere in considerazione tali richieste, non era possibile fare molto, nonostante il tentativo di mediazione della UE che contemplava la possibilita’, remota, di affidare a un consorzio europeo, il CENTR, la futura gestione dei nomi a dominio.
Percio’ dopo due anni di incontri il risultato simbolico raggiunto al WSIS sulla Internet governance e’ stato di istituire un forum che nei prossimi anni dovra’ ridiscutere la gestione dei domini e le regole condivise per la stabilita’ e la sicurezza della rete. Un forum di governi, aziende, societa’ civile, ‘multistakeholder’ – come si dice qui – dovra’ occuparsene e cercare soluzioni eventualmente alternative alla gestione ICANN dei domini. Nel documento redatto dalla commissione presieduta dal Finlandese Janis Kaklins, il forum prende il nome di Internet Governance Forum (IGF) e viene fissata una data per la sua prima convocazione: il secondo trimestre del 2006.
Puo’ sembrare una questione tecnica ma non lo e’. Abbiamo spesso detto che la rete e’ anarchica, multicentrica e incontrollabile come spazio libero d’espressione. E’ vero fino a un certo punto. La rete funziona su un protocollo di comunicazione aperto, il famoso internet protocol (TCP/IP) che riesce a far dialogare tutti i computer connessi in rete, ma questo dialogo dipende dall’individuazione del computer con cui si vuole comunicare. Perche’ si trovi il pc con cui parlare bisogna attribuirgli un indirizzo numerico e trasformarlo da una sequenza di numeri in un nome, come ilmanifesto.it. Questo e’ quello che fa ICANN, entita’ privata che dipende dal dipartimento del commercio USA, non senza contestazioni. Per capirci, ricordiamo che la Libia e’ stata esclusa dalla rete Internet per cinque giorni l’anno scorso. Chiunque digitava un indirizzo web (o di posta) col suffisso trovava immancabilmente un messaggio di errore: ‘page not found’. Questo e’ quello che puo’ succedere se ICANN decide di chiudere un indirizzo: taglia fuori un’intera area geografica dall’utilizzo della rete.
Dietro questo braccio di ferro sugli indirizzi di Internet c’e’ pero’ un’altra questione che nessuno racconta. I produttori di contenuti online vorrebbero un unico indirizzo per ogni video, canzone o libro sulla rete, per poterlo rintracciare facilmente e magari vedere se e’ stato pagato oppure no. Altri vogliono il codice a barra elettronico (RFID) sui prodotti materiali per inventariarli e facilitarne il commercio usando la rete e chiedono un indirizzo internet unico per ogni oggetto. Si capisce ora perche’ l’Internet Governance e’ importante?