Oggi la presentazione di «Disinformation Technology», una guida di Stefano Porro e Walter Molino per Apogeo
ARTURO DI CORINTO
il manifesto – 21 Febbraio 2004
Siamo così convinti che il giornalismo sia un Quarto Potere che lo diamo per scontato, forse perché situandosi alla sottile frontiera fra ciò che è pubblico e ciò che non lo è certifica l’universalità di frammenti di vita e pezzi di mondo, investendoli di un carattere di esemplarità. Parafrasando Guy Debord, «cio che è buono va pubblicato, cio che è pubblicato è buono». Sull’autorevolezza del giornalismo vorace, multimediale, real-time, nell’era dell’informazione globale, si interroga il libro di Stefano Porro e Walter Molino intitolato Disinformation technology. Dai falsi di Internet alla Bufale di Bush. Come si manipola l’informazione per divertirsi, fare soldi e magari provocare una guerra (Apogeo, 10 euro), che verrà presentato questa mattina a mezzogiorno, alla libreria Feltrinelli di Via Vittorio Emanuele Orlando, a Roma. A una lettura superficiale il pamphlet appare come un piccolo e utile manuale antifrode, un vademecum per difendersi dalle bufale travestite da notizia al tempo della rete, quando invece propone una sintetica analisi della grammatica dell’informazione per scoprirne i trucchi e le debolezze. Proprio perché il giornalismo è una «tecnica del racconto», andrebbe più correttamente inteso come un modo per selezionare e plasmare aspetti particolari della realtà, al fine di renderli intellegibili a chi non ne ha avuto esperienza, soprattutto oggi che le inchieste, la «testimonianza dal luogo del delitto», soccombono a logiche commerciali, alla competizione, al conformismo. Ma per Molino e Porro, entrambi giornalisti e collaboratori di numerose testate editoriali, è proprio la tecnica narrativa applicata alla «notizia» a rappresentare la leva che trasforma in verità una bieca menzogna: lo provano con una serie di esempi, estrapolati dalla rete, e relativi al modo in cui tramite una generica abilità a sfruttare le auree regole del giornalismo, è possibile confezionare delle gigantesche bufale in grado di «bucare» la prima pagina dei giornali. I due autori, raccontando il caso della finta morte di Bill Gates, l’approssimativa falsificazione delle prove nucleari di Saddam, il caso dei finti gatti bonsai cresciuti deformi in barattoli di vetro, spiegano che la capacità di penetrazione delle bufale dipende da una serie di fattori che attengono proprio ai meccanismi produttivi della notizia: dall’uso sapiente di certi marcatori linguistici, alla credibilita delle fonti, alla capacità di modellare contenuti verosimili, descrivendo una vera e propria grammatica della notiziabilità.
Procedimenti noti, che oggi hanno un alleato in più: la tecnologie digitali, con le loro inedite possibilità di manipolazione della verità, tramite la costruzione di prove «oggettive», soprattutto visive, e che, unite al carattere virale di Sms e e-mail, irrobustite dai rimandi ipertestuali fra siti che si certificano a vicenda, trasformano ciò che è appena plausibile in qualcosa di concreto e reale. Il libro, che si conclude con un provocatorio bignami della «disinformazione per tutti» ci lascia questa domanda: se impariamo a decodificare la grammatica della notiziabilità, diventeremo capaci di difenderci dalle balle spaziali del presidente del consiglio o piuttosto vorremo partecipare tutti insieme al gran gioco della simulazione?