Repubblica: Il mio amico hacker

Il mio amico hacker
Banditi virtuali, guerriglieri libertari, semplici giocherelloni: chi sono i pirati informatici che fanno tremare le istituzioni di tutto il mondo? Ecco le loro ragioni. Viste da molto vicino
di Arturo Di Corinto per
D La Repubblica delle donne gennaio 2001

Si parla di hacker come di pirati informatici o di ragazzini teppisti che s’intrufolano nei sistemi protetti delle banche, delle aziende e delle istituzioni per danneggiarli o trarne profitto. Con buona pace dei male informati e della guardia di finanza, le cose stanno diversamente.
I soggetti che compiono quelle azioni si chiamano, correttamente, cracker o lamer, mentre il termine hacker va riservato a quelli che manifestano un’attitudine all’uso creativo, cooperativo e ludico dei computer.
Non ci sono hacker buoni e hacker cattivi e non è possibile definire in maniera univoca che cosa sia un hacker. Hacking è un’attitudine e l’hacker viene definito dai suoi comportamenti. Se sei uno che crede nella libera circolazione dei saperi e non ti basta quello che dicono gli esperti, se vuoi mettere alla prova le tue capacità e condividere quello che impari su computer, cellulari e reti telematiche, sei sulla buona strada. A questo punto devi solo trovare il modo di superare le barriere che separano le persone dall’uso della conoscenza incorporata nelle macchine informatiche. Questo modo è l’hacking, uno stile di interazione, con macchine e con persone, capacità di scoprire e condividere. Divertendosi. È così che l’incontro fra le culture underground e lo sviluppo della telematica ha dato vita a forme peculiari di aggregazione.
Il ragionamento è semplice. Se l’informazione è potere e la tecnologia è il suo veicolo, ogni mezzo è legittimo per opporsi al suo monopolio e ridistribuire informazione e conoscenza. È il social hacking divulgato dal Chaos Computer Club di Amburgo (CCC: www.ccc.de). Mentre l’approccio degli hacker americani che si ritrovano alla conferenza HOPE (Hacker On Planet Earth) appare più orientato alla sfida tecnologica e al virtuosismo individuale, i gruppi europei fanno della lotta al copyright e ai brevetti una questione collettiva di libertà e democrazia. Il bersaglio più gettonato è ovviamente Bill Gates, che è diventato per gli hacker il modello di come si possa sottrarre alla comunità il sapere di tante generazioni di programmatori, mettendoci sopra un copyright. Il simbolo di uno storico meeting olandese di Hacker In Progress era una lapide funeraria intitolata a Bill Gates con la scritta “where do you want to go today?” (http://www.hip97.nl).

La critica radicale allo status quo da parte degli hacker utilizza anche forme estreme di protesta. Il gruppo che fa capo alla storica rivista 2600, per esempio, tiene un archivio dei defacements (sfregi) alle home page di istituzioni accusate dagli hacker di essere fasciste, illiberali e corrotte (www.2600.org). In Italia, una particolare forma di protesta inscenata con la collaborazione degli hacker è il Netstrike (www.netstrike.it). La tecnica è quella delle richieste reiterate a un server web, che ne determina un temporaneo collasso. Usata per attrarre l’attenzione su casi di censura e malgoverno, è servita a esprimere l’opposizione agli esperimenti nucleari di Mururoa, alla pena di morte, all’invasione del Chiapas da parte dell’esercito governativo.
La convinzione che i sistemi informatici possano contribuire al miglioramento della società, grazie alla capacità di diffondere le informazioni capillarmente e velocemente, ha contribuito a creare una scena italiana assolutamente particolare. L’incontro fra l’uso dei computer, la filosofia comunitaria dei primi “Bulletin Board System” e la pratica dei centri sociali ha dato vita a circa dieci hacklab sparsi per la penisola: nati dopo il secondo hackmeeting italiano (www.hackmeeting.org), gli hacklab sono i luoghi dove gli hacker fondono le proprie conoscenze, discutono e contestano l’appropriazione privata degli strumenti di comunicazione. Il Loa hacklab di Milano, per esempio, nato e cresciuto al centro sociale BULK, si distingue per l’opera di alfabetizzazione all’uso critico dei computer e alla diffusione di sistemi aperti e gratuiti. Discepoli di Linux e di tutti gli altri strumenti software progettati collettivamente e con libera licenza di distribuzione, al Loa hanno fatto propria la proposta dell’obiezione di coscienza rispetto all’utilizzo di software proprietario (e a pagamento) nelle università, e hanno avviato una campagna contro il diritto d’autore, sostenendo che esso “anziché proteggere il vino, protegge la bottiglia” facendo gli interessi della burocrazia che gestisce i diritti più che degli autori (www.ecn.org/loa). L’hacklab Firenze, invece, lavora alla costruzione di un sistema di calcolo parallelo (un cluster di computer in disuso), chiamato Ciclope, a dimostrazione che non è finita l’era in cui gli hacker assemblavano schede e processori allo scopo di trarne il miglior risultato possibile, senza rincorrere le innovazioni di una tecnologia sempre più costosa e dai risultati insoddisfacenti (http://firenze.hacklab.it).
Molte altre sono le iniziative che caratterizzano le comunità hacker italiane. Al Forte Prenestino di Roma, ribaltando la logica di attirare le persone verso i templi della tecnologia, la tecnologia è stata portata dove le persone c’erano già. È il progetto Forthnet, una infrastruttura di cavi e computer estesa su tutti i 13 ettari di uno dei centri sociali più vecchi d’Italia (www.forteprenestino.net). L’infrastruttura ha retto l’assalto di centinaia di smanettoni al terzo hackmeeting italiano, lo scorso giugno, ed è la base per la sperimentazione di una piattaforma per il lavoro cooperativo chiamata Brain Workers Network.
Al Forte in gennaio si terranno i Windows erasing days per insegnare a tutti come rimuovere MSWindows dal proprio computer e vivere felici usando sistemi operativi a prova di crash. Per saperne di più sul terreno dell’autodifesa digitale si può visitare www.ecn.org/crypto oppure www.strano.net/copydown, un portale di hack-tivisti che vanta anche una generosa presenza femminile. (Fotografie dell’ag. Rapho/G. Neri)