La Repubblica: “Internet bene comune, migliora lo Stato” I principi del web secondo il governo

“Internet bene comune, migliora lo Stato”
I principi del web secondo il governo

Il ministro Profumo lancia la consultazione pubblica sui principi di Internet da portare all’Internet Governance Forum di Baku. Un testo asciutto e essenziale che sintetizza il meglio del dibattito italiano sui diritti e i doveri dell’agire sociale in rete dimostrando che il paese é spesso migliore di come lo si rappresenta di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 20 settembre 2012

UNA CONSULTAZIONE PUBBLICA sulla rete, l’ha lanciata martedì 18 settembre il Ministero per l’università e la ricerca con lo scopo di “arricchire e migliorare il documento che riassume la posizione italiana sui principi fondamentali di Internet”. Un documento che sarà portato all’Internet Governance Forum (IGF) di Baku, in Azerbaigian, e costituirà di certo la base della discussione al forum italiano sulla governance di Internet che si terrà quest’anno a Torino dopo essere passato per Trento, Pisa, Cagliari e Roma. Come consueto in tali consultazioni tutti i “portatori di interesse” (“stakeholder”) cioè i cittadini, singoli, in gruppo o associati – possono contribuire al dibattito fino al 1 novembre

Al netto della considerazione che ogni prodotto dell’inegno umano è passibile di miglioramento, le ventidue sezioni della posizione italiana sintetizzano forse il pensiero più alto prodotto dal nostro paese su quello che Internet è oggi e quello che può diventare domani. Cioè da quando a Tunisi, durante il World Summit on Information Society fu lanciata l’idea di un incontro annuale e itinerante per discutere della governance di Internet.

Un punto alto dicevamo, perché dopo il fallimento della identica consultazione sul codice Azuni (altro nome per la stessa cosa) voluto da Brunetta, e dopo la lettera che l’Igf trentino aveva inviato al senatore Monti chedendogli di affrontare “lo spread digitale”, tutto sembrava fermo. Anche nell’agenda digitale, dove alcuni temi della governance di Internet erano stati addirittura rimossi e segnatamente quelli sulla neutralità della rete, il principio per cui “tutti i bit sono creati uguali”.

IL DOCUMENTO (PDF)

Internet Bene Comune. Nel testo predisposto dai consulenti del Ministro con l’apporto degli sherpa digitali e noti esperti si va oltre. Intanto nei principi generali è scritto che Internet, “Favorendo l’accesso all’informazione, promuove la trasparenza e il buon governo”, che è “motore dell’economia globale, driver di innovazione, e infrastruttura per la partecipazione delle imprese, anche locali, all’economia mondiale.” Ma anche che essa è “in grado di abbattere barriere geografiche e di aprire nuovi canali tra istituzioni pubbliche e cittadini, promuovendo creatività, condivisione e partecipazione dal basso”. Internet come bene comune insomma, e strumento cruciale per lo sviluppo e l’esercizio dei diritti umani.

Inoltre viene ribadito a chiare lettere che La governance di Internet non può prescindere dall’apporto e dalla partecipazione attiva e paritaria dei netizens. Un principio rivoluzionario quando inteso “a migliorare l’efficienza e l’efficacia dei servizi pubblici essenziali nonché ad ampliare le possibilità e le modalità di partecipazione democratica.”

Accessibilità e censura. Si cita ovviamente “il diritto di accesso indipendentemente dal luogo di residenza” come pure quello al riutilizzo dei dati del settore pubblico con una frase che lascia poco spazio alle speculazioni: “I dati e le informazioni la cui produzione e gestione è finanziata tramite fondi pubblici, inclusi quelli derivanti dalla ricerca scientifica, sono condivisi con i cittadini per la massimizzazione del loro potenziale sociale ed economico.”

Centrale il passaggio sulla censura che tanti danni produce: “La censura arbitraria e indiscriminata, la sorveglianza generalizzata e ingiustificata dei contenuti e degli utenti e le pratiche di restrizione di accesso alla rete e ai suoi contenuti non sono tollerati.” Sembra un monito a chi denuncia i giovinetti in tribunale per essersi scambiati un file musicale o aver commentato una manifestazione di piazza in toni livorosi. Un paragrafo che sembra scritto da un governo nordeuropeo è quello relativo all’auto-organizzazione e autonomia degli individui in rete che recita: “La capacità dei cittadini di organizzarsi, promuovere azioni collettive e manifestare il proprio dissenso in rete è tutelato come forma ed espressione di partecipazione democratica dal basso”.

Le due chicche finali sono relative all’acquisizione e all’aggiornamento continuo delle competenze digitali e all’uso critico e consapevole di Internet” e per identificare competenze e professionalità.

Privacy e copyright. Se qualcosa manca riguarda il settore dell’dentità digitale che, pur nel rispetto delle regole della privacy, non esplicita il valore dell’anonimato in rete per denunciare truffe e malversazioni e cita un diritto all’oblio discusso e discutibile che spesso fa a cazzotti con la libertà d’espressione d’informazione.

Ma il pezzo forte riguarda la proprietà intellettuale nell’ambiente digitale dove, ferme restando le legittime protezioni a diritto d’autore, marchi, brevetti e segreto commerciale, per la prima volta si dice in maniera inequivoca che “si tutelano il diritto alla copia personale, alla citazione e al riuso della conoscenza in rete. Si incoraggia l’adozione di modelli compatibili con la circolazione online dei contenuti creativi.” Mentre “Gli operatori non sono obbligati ad agire da controllori della protezione delle proprietà intellettuale in ambiente digitale”.

Andrebbe letto a scuola. Si tratta di un esercizio che ha un solo e unico nome: democrazia.

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