Il fiasco delle nuove regole di internet,
comincia la “guerra fredda” digitale
La conferenza mondiale delle telecomunicazioni si è conclusa con un insuccesso diplomatico in cui perdono tutti tranne gli Usa. I problemi dell’efficienza delle reti tlc rimandati e sullo sfondo lo spettro di una Internet frammentata e controllata dai governi autoritari. Mentre i big player di Internet fanno affari, i paesi in via di sviluppo non riescono a dotarsi delle infrastrutturare necessarie ad abbattere il digital divide. E Cina e Iran minacciano un’internet parallela di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 19 dicembre 2012
IL NULLA di fatto è solo apparente, visto che quanto emerso alla Conferenza mondiale sulle telecomunicazioni (WCIT che) si è appena conclusa a Dubai potrebbe avere pesanti strascichi per il futuro della internet diplomacy. Il Wcit 2012 voleva riscrivere le regole globali delle telecomunicazioni – chi paga le reti, chi le gestisce, come si connettono – ma è finito con una profonda spaccatura tra i paesi convenuti e l’indebolimento dell’Itu che l’aveva organizzata.
“I Big player paghino la rete”. A sparigliare le carte di un summit con 155 paesi e 600 negoziatori accreditati sono state due proposte su cui era noto il disaccordo: far pagare l’ammodernamento delle reti agli Over The Top (Google, FB, Netflix e gli altri), e trasferire all’Onu la governance di Internet. Risultato? Solo 89 paesi hanno firmato gli accordi e gli altri potranno decidere se farlo in seguito. Nel frattempo diversi Stati minacciano in maniera più o meno esplicita di farsi le loro regole e di non sentirsi obbligati a rispettare quelle vecchie, decisi a negoziarle nuovamente a livello bilaterale con i paesi che non hanno sottoscritto il trattato.
La minaccia dei regimi. Una guerra fredda digitale che potremmo pagare tutti, visto che il compromesso fortemente voluto dagli Usa di non nominare Internet nel trattato – che comunque entrerà in vigore tra un anno – permetterà a diversi paesi, che considerano artificiosa la distinzione tra Internet e telecomunicazioni, di scrivere le proprie regole per la rete e giustificare la creazione di una Internet parallela e autarchica come da tempo minacciano Iran e Cina.
Si temeva alla vigilia che alcune risoluzioni mettessero in forse la neutralità della rete e la privacy degli utenti. Una di queste era la richiesta delle telecom europee – riunite nell’associazione Etno – di creare corsie preferenziali per gli utenti disposti a pagare un servizio più efficiente e di addossare ai big player di Internet i costi del traffico che appesantisce le reti di telecomunicazione. In realtà questa proposta ha determinato solo il boicottaggio del trattato da parte degli Stati Uniti, paese dove risiedono le net companies più importanti e passa la maggior parte del traffico Internet. L’assenza di ogni riferimento a Internet nel documento finale è sembrato un successo della diplomazia dei Paesi che non volevano trasformare il summit in un luogo dove decidere delle regole di Internet, anche se il trattato stesso dice che “Tali regole non si applicano ai contenuti delle telecomunicazioni”.
Gli Usa difendono i loro campioni. E’ stato anche detto che gli Usa, il Canada, la Gran Bretagna e gli altri abbiano boicottato il trattato per “difendere Internet” da tentazioni autoritarie. Ma l’argomentazione è debole, come hanno dimostrato i blackout governativi della rete in Siria ed Egitto e il pugno di ferro della censura cinese. Il vero paradosso è però che alcune proposizioni del trattato avrebbero reso più difficile giustificare la censura nei paesi non democratici. Nel suo preambolo si legge infatti che “la sua adozione impegna i firmatari ad adottarne le regole nel rispetto dei diritti umani.” In realtà gli Usa si opponevano alla “proposta Etno” per tutelare i propri campioni digitali che nel paese di Obama creano lavoro, profitti e tasse – le stesse che spesso non pagano in Europa -, e custodiscono un enorme un patrimonio di dati personali e commerciali degli utenti che giornalmente interagiscono coi “loro” social network e motori di ricerca.
Paghino tutti, non solo i Big ma anche governi e tv. La proposta di Etno e la sua capacità di mobilitare un ampio consenso fra i paesi arabi e africani, insieme alla difesa americana dei propri interessi commerciali e geopolitici ha avuto così l’effetto di rimandare ancora una volta le decisioni necessarie a contrastare il digital divide individuando nuove modalità di finanziamento delle infrastrutture facendo pagare il giusto utilizzo della rete a tutti i soggetti interessati: governi, istituzioni, televisioni e non solo agli over the top.
Il modello dell’Onu. Il modello di riferimento c’è già ed è stato proposto da ITU e Unesco nella Broadband commission dell’Onu: il finanziamento pubblico e in project financing delle nuove reti per consentire a tutti l’accesso alla banda larga. La riflessione della commissione è di una semplicità disarmante: “Il libero mercato è una chiave ma gli investimenti strategici devono essere fatti dalla Banca Mondiale o dalle banche di sviluppo o altri organismi internazionali”. L’obiettivo essendo quello di “recuperare gli investimenti necessari a una rete efficiente con una ripartizione dei costi fra tutti quelli che la usano”. Anche facendo pagare di più i Big player di Internet.