Teatro Quirino
“Il compleanno”
di Harold Pinter
Regia di Fausto Paravidino
Scene di Laura Benzi
Costumi di Sandra Cardini
Luci di Laura Benzi
Con: Giuseppe Battiston, Fausto Paravidino, Ariella Reggio
Produzione: Teatro Stabile di Firenze
Interno claustrofobico e dialoghi ritmati e soffocanti. Comincia così la rappresentazione del Compleanno di Pinter allestita al Teatro Quirino di Roma dal giovane regista Stefano Paradivino per raccontare la storia di un pianista fallito e del suo smarrimento di fronte all’imprevisto che irrompe nel nulla quotidiano. Un’imprevisto rappresentato dall’arrivo di due gangster stranamente interessati a lui (e fino alla fine non si capirà perchè) che chiedono alloggio nel bed&breakfast degli anziani coniugi Bowles dove il pianista Stanley vive nascosto da se stesso – in compagnia della sua depressione e degli infantili approcci seduttivi della padrona di casa – un’esistenza solo a tratti rischiarata dalla radiosa Lulù. Obbligato a festeggiare il suo proprio compleanno, in un crescendo di battute e di ricatti, di tristezze e di violenze, questa commedia dell’assurdo inverata già nel ribaltamento comico fra i personaggi e il fisico di ruolo degli attori – il perseguitato Stanley, è un massiccio Giuseppe Battiston con fattezze, mimica e voce di Michael Moore, il sadico persecutore Goldberg, è interpretato dal Paravidino attore, minuto ma prepotente, persuasivo oratore – ha la sua essenza in una materia che violando anche i principi classici del teatro, illustra tensioni che non sfociano né in un’apologia né in un’abreazione collettiva, e così comunica tutta l’angoscia dell’ipocrisia del domestico quotidiano. E infatti la vicenda di Stanley è una vicenda contorta che non ha un’inizio né una fine, e dove, come spesso nelle commedie di Pinter, vengono messe in scena l’incomunicabilità, l’isolamento, l’insicurezza, la sottomissione al potere. Non è certo un caso che nel nel 2005 Harold Pinter ricevette il Premio Nobel per Letteratura con la seguente motivazione: “A colui che nelle sue commedie discopre il precipizio sotto le chiacchiere quotidiane e costringe a entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione“. Unica nota stonata dell’allestimento sono forse le luci e il mancato ancoraggio della storia a quegli “oggetti simbolo” della scena (il tamburo) che invece di anticipare i momenti topici del testo diventano corredo alla scenografia. Ma anche questo in fondo potrebbe essere un virtuosismo da parte della brava Laura Benzi che nella cura minuziosa dell’interno teatrale oggettiva l’oppressione denunciata dall’autore.
Arturo Di Corinto