Rodotà: ”Forte il rischio della gogna elettronica. Non eravamo catastrofisti”
Arturo Di Corinto
www.AprileOnLine.Info n.197 del 10/02/2005.
La vita non deve diventare prigioniera della tecnica e la dignità della persona va tutelata per creare le condizioni di una società veramente inclusiva. Si potrebbe sintetizzare così la relazione che il Garante per la Privacy, Stefano Rodotà, ha pronunciato ieri di fronte alle massime cariche dello Stato presentando il bilancio dell’attività del suo ufficio durante tutto il 2004.
Un bilancio speciale, però, data l’occasione. Il 17 marzo termina infatti il mandato del collegio dell’Autorithy da lui presieduta, e il professore ha colto l’occasione per rifare la storia di quella giovane istituzione governata per 7 anni e nel secondo mandato insieme a Gaetano Rasi, Mauro Paissan, Giuseppe Santaniello e Mauro Buttarelli.
Rodotà ha aperto la sua relazione parlando della privacy come di una ”rivoluzione pacifica”, cominciata il giorno dell’entrata in vigore del decreto 675 del 1996, decreto che per la prima volta ha attibuito a ciascuno il potere di governo delle informazioni che lo riguardano – la cosiddetta ”mamma della privacy” – che, attraverso successive integrazioni si è trasforamta nel nuovo Codice della privacy, entrato in vigore il primo gennaio dell’anno scorso. Una ”rivoluzione incompiuta”, però, nel senso di un ”cantiere sempre aperto” come ha dichiarato il professore, non fosse altro perché la nozione stessa di privacy è destinata a mutare con il mutare della società e sotto l’impatto delle nuove tecnologie che per la loro ubiquità possono determinare nuovi rischi per la dignità e l’integrità delle persona. Lo scopo insomma è stato in tutti questi anni quello di tutelare il diritto all’autodeterminazione informativa, un concetto certo più articolato di quel ”diritto a essere lasciato solo” elaborato sul finire dell’800 da Steve Warren e Luis Brandeis, due avvocati preoccupati dalle trasformazioni che la tecnologia fotografica andava determiando con il timore per gli individui di non essere più ”proprietario” della propria immagine, pubblica e privata. Da questa nozione di diritto all’autodeterminazione il Garante ha sviluppato il contesto di riferimento della legge situandolo nell’alveo delle esigenze di una società dell’uguaglianza, affinché nessuno sia escluso dai processi democratici per via del proprio credo politico o religioso; una società della partecipazione dove nessuno sia discriminato per le stimmate fisiche o sociali che porta; una società della libertà dove i comportamenti non siano condizionati dal ricatto di chi può conoscere gli aspetti più intimi e personali che informano la vita altrui; per approdare a una società della dignità dove non siano solo i più forti ad essere in grado di tutelare la propria privacy.
Da qui lo sforzo del garante per includere la privacy nel quadro dei diritti e delle libertà fondamentali, secondo una linea di azione che non solo ha motivato l’intensa attività di coordinamento con le omologhe istituzioni europee, ma anche con associazioni, enti e istituzioni – l’Ordine dei Giornalisti, quello dei Medici – ma anche a definire le regole necessarie al buon funzionamento delle Centrali rischi per il credito o per il disciplinamento delle attività di videosorveglianza, spesso vetrina politica più che necessità reale di enti e amministrazioni, fino alle regole per la pubblicità personalizzata, con un provvedimento che ha generato una grande consultazione pubblica fra i cittadini che d’ora in avanti possono comunicare ai gestori di telefonia come essere presentati sugli elenchi telefonici che le società di marketing usano come “database” per le loro proposte commerciali, non sempre gradite, occasione anche per capire come i cittadini percepiscono se stessi nella società della comunicazione totale.
Insieme all’attività di regolazione il Garante ha anche insistito sull’attività giustiziale e di sorveglianza della tutela della privacy sottolineando come il suo ufficio ha risposto a circa 8 mila segnalazioni, ha deciso su 731 ricorsi e risposto a 23 mila richieste di informazioni via telefono o via email.
Una relazione intensa e corroborata da dati, rovinata forse solo dalla caduta di stile con cui il presidente del senato Pera ha commentato le lamentele del Garante sui ministeri che evadono l’obbligo di consultarlo. Pera ha infatti ironizzato sul prossimo cambio al vertice dell’autorithy dicendo “ci mancherà, diremo una prece”.
Tuttavia questo non scalfisce né l’esito della relazione né il significato dell’opera del Garante che senza timore di smentite possiamo definire come una vera e propria rivoluzione liberale, quella che solo i veri democratici con un alto profilo umano e professionale hanno saputo fare per il nostro paese. Come Stefano rodotà, appunto.