Attenti, il Web non è un alibi
di Arturo Di Corinto
per L’Espresso del 17 giugno 2011
Dopo i referendum è un luogo comune dire che ‘ha vinto la rete’. Ma gli spettatori del Tg1 sono dieci volte tanto rispetto a quelli si informano sui social network. E il rischio è che Internet diventi una scusa per non affrontare il conflitto di interessi
Siamo in molti a voler credere che il web abbia vinto sulla tv offrendosi come medium privilegiato per l’informazione legata alle amministrative e ai referendum, ma non ne abbiamo le prove.
E cercarle non è irrilevante per due motivi opposti eppure complementari. Il primo è che il conflitto d’interessi che coinvolge il Presidente del consiglio e il suo entourage non è acqua passata, e quindi dobbiamo continuare a occuparci della qualità e del pluralismo dell’informazione radiotelevisiva. Il secondo motivo è che se crediamo nel potenziale democratico della rete è ora di smettere di farci il tiro al bersaglio con leggi e leggine che puntano a imbrigliarla e a consegnarla al mercato.
Il rapporto fra Internet e informazione è un rapporto complesso. Nell’ultima indagine sull’evoluzione dell’informazione online in Italia realizzata da Human Highway e commissionata da Liquida, emerge che la fonte d’informazione primaria per gli italiani rimangono i media tradizionali.
Per il 58 per cento dei 25 milioni di italiani che usano Internet almeno una volta alla settimana, la tv, le radio e i quotidiani restano la prima fonte d’informazione. Motori di ricerca e siti di attualità soddisfano questa esigenza per il 26 per cento dei fruitori d’informazione onl ine, mentre l’8 per cento si affida al passaparola e solo il 5 per cento usa i social network come Facebook e Twitter. Ripetiamolo: il cinque per cento di metà della popolazione italiana, quindi circa mezzo milione di persone, pari a un decimo degli spettatori medi che fanno ogni sera il Tg1 o del Tg5.
Le cose cambiano un po’ solo quando si tratta invece di approfondire le notizie. Per farlo, il 53 per cento degli italiani si affida ancora a radio e tv, l’11 per cento si rivolge ai social network, il 12 per cento chiede agli amici e, questo è il cambiamento vero, il 63 per cento si affida ai motori di ricerca e a siti e blog d’informazione.
Ora, il punto da mettere in luce è che i media ‘mainstream’ stanno su Internet e fra questi i giornali online la fanno da padrone (sono aumentati di un milione di visitatori nel 2011) e spiegano gran parte del successo di Internet come canale d’informazione alternativo alla tv. Gli utenti abituali di informazioni online (cioè quelli che lo fanno 4 giorni a settimana) sono infatti 13.7 milioni, e 11 milioni i lettori abituali di quotidiani online.
Di sicuro Internet, i quotidiani online, i social network, i social media e i social broadcast media, i forum e le mailing list sono entrati – chi prima, chi dopo – nella dieta mediale degli italiani, ma stabilire un effetto diretto tra l’esposizione a una notizia, a un parere, a una dichiarazione di voto con una scelta politico-elettorale necessita di un’analisi più articolata delle variabili intervenienti. A cominciare dalla tipologia dell’informazione online e del soggetto che la elabora.
Il valore dell’interazione connaturato all’uso dei media digitali, l’elaborazione della notizia a un livello non superficiale e l’ambient awareness, cioè l’atmosfera che si respira in un luogo virtuale come un social network, produce degli effetti difficili da quantificare. E questo è tanto più vero quanto più la dieta mediale è diversificata. Ricordiamoci che la tendenza oggi è il multitasking e l’attention splitting: le persone che usano la rete e si informano online, soprattutto i più giovani, hanno la tv accesa mentre parlano al telefono, aggiornano Facebook e leggono riviste o ebook.
Secondo la ricerca citata, i fruitori di informazioni testuali online usano molteplici fonti informative, il 43 per cento legge i quotidiani online, e di questo gruppo, il 27 per cento dichiara di informarsi solo da giornali online; i lettori di quotidiani cartacei sono il 21, 7 per cento e meno di un terzo, l’8,7 per cento, legge solo carta; il 6,1per cento segue blog di attualità ma solo quelli per l’1,6 per cento. Il 20,4 per cento non usa nessuna di queste fonti.
Di certo Internet, e i Social Network Sites, influenzano la formazione dell’opinione pubblica, ma non abbiamo alcuna teoria esplicativa che ci permetta di collegare il tempo passato su Facebook con una scelta elettorale o referendaria. In aggiunta a questo, il rapporto di Human Highway ci dice che Facebook conta molto poco come fonte d’informazione e che mentre Twitter serve di più a informare, Facebook aiuta a strutturare relazioni. I social network facilitano il passaparola delle notizie apprese, approfondite e già discusse. E infatti poiché il 17 per cento condivide in rete le notizie più importanti, Facebook gli fa da cassa di risonanza (12,6 per cento), mentre blog (3,6per cento), email (2,7 per cento ), e Twitter (1,8 per cento ) un po’ di meno.
Ma allora vuol dire che Internet non conta niente? No, non è neppure così. Un’altra ricerca, stavolta del Forum Europeo sull’Immigrazione (fieri.it) trova che i giovani italiani di origine immigrata (e i nativi digitali) assumono sempre più un ruolo di netizens, ossia cittadini digitali che, esclusi dai canali tradizionali di partecipazione trovano nel web uno spazio pubblico, un luogo di cittadinanza e di partecipazione politica non convenzionale, da esercitare da soli o in gruppo. E questo forse è l’aspetto più importante che non riguarda solo gli immigrati ma tutti coloro che hanno ansia di futuro. Se c’é una cosa che sia il Popolo Viola che gli attivisti digitali nordafricani e quelli della beffa di “Sucate” ci hanno mostrato, é che Internet contribuisce a creare un immaginario positivo di cambiamento e facilita la mobilitazione e l’attivismo intorno a temi molto sentiti che la creatività individuale riesce a far esondare dalla rete nel mondo reale.
Per finire, esagerare il ruolo di Internet nell’esito referendario, significa non considerare altre modalità di formazione dell’opinione pubblica che sono di grande rilevanza sia dal punto di vista politico che della comunicazione.
Queste modalità vengono filtrare cognitivamente dalla cultura e dal contesto, ma soprattutto dai bisogni e dai desideri delle persone. Il passaparola, le chiacchiere da bar, gli spettacoli dal vivo, i comizi, gli interventi nello spazio e nell’arredo urbani come performance dal vivo, cartellonistica, bandiere, adesivi, feste, concerti o flash mob sono spesso espressioni di movimenti sociali strutturati, organizzazioni della società civile che pure hanno potuto trovare in Internet un mezzo di aggregazione e moltiplicazione, ma che ad essa sono parallele e preesistenti. Non c’é un sistema di comunicazione più vecchio del passaparola e delle discussioni in piazza. Giusto i graffiti di Lascaux in Francia. Ma stavolta pure i graffiti sono stati usati per portare la gente a votare nel 2011.
Per tanto tempo abbiamo detto che la televisione influenza l’opinione pubblica sul versante dell’infotainment (information + entertainment) più che su quello dell’informazione e basta. Perciò bisognerebbe anche chiedersi l’effetto che le altre forme di comunicazione, soprattutto quelle visuali e interattive, hanno sugli stili di vita e le scelte che le persone fanno. Per capirci, se sono “i nani e le ballerine” che influenzano stili e scelte di vita, e non tanto i mezzobusti del tg, allora una riflessione sulle potenzialità persuasive di videogame, spot virali e comunicazione guerriglia prima o poi andrà fatta.
Vorremmo poter dire che è merito del web se abbiamo vinto, anche perché sono circa quindici anni che cerchiamo di difendere la rete dai suoi nemici. Però dobbiamo portare le prove di quel che si dice.
Nel periodo di rilevazione della ricerca, effettuata fra il 12 e il 18 maggio scorsi, emerge che del 40 per cento di chi si informava on line su temi politici solo l’1 per cento cercava informazioni sul referendum. E infatti la fonte primaria, la tv, quasi non ne parlava. Perciò per capire l’esito dei referendum un mediologo non può non considerare il ruolo svolto dalle radio e dai giornali locali, un sociologo enfatizzerebbe cortei e sit in di semplici cittadini che da anni protestano contro la privatizzazione dell’acqua, un politico accorto il fatto che il movimento antinucleare di 24 anni fa ha lasciato una traccia profonda nella società.
Come la televisione interviene a rafforzare opinioni precostituite, anche il web è servito molto a questo. Nella competizione referendaria c’é stato di sicuro un effetto di trascinamento il cui drive è stato il clima instauratosi in rete unito all’insoddisfazione verso l’informazione televisiva. Ma comunque la si veda, non riusciamo ancora a spiegare i 25 milioni e passa di votanti con le scelte informative e i comportamenti del popolo della rete.
E questo significa che c’é ancora molto spazio per lavorare sull’informazione online di qualità e per rinnovare, attraverso Internet, quel circuito di scambio, dialogo e ascolto che é alla base della buona politica.