Chiude tra le polemiche il summit della società dell’informazione organizzato dall’Onu a Tunisi. Dura la protesta della società civile per le aggressioni verso delegati e giornalisti, per l’oscuramento di siti web e le continue censure
ARTURO DI CORINTO – TUNISI
il manifesto – 19 Novembre 2005
«Ci sono alcuni stati che vogliono mantenere i loro cittadini in uno stato di ignoranza in modo da dominarli meglio. Ci sono dei paesi che non hanno interesse ad aiutare gli altri a superare il digital divide perché vogliono rimanere padroni della società dell’informazione». A parlare così è Shirin Ebadi, iraniana, premio Nobel per la pace 2003, nella conferenza stampa finale su sviluppo e diritti umani.
Il suo intervento giunge appena dopo un durissimo comunicato letto nella stessa sala dai rappresentanti del Caucus on Human rights, Amarc e il Tunisian Monitoring Group che – in accordo con alcune centinaia di media comunitari e organizzazioni non governative – hanno chiesto con forza un’indagine ufficiale delle Nazioni unite sulla violazione dei diritti umani in Tunisia e, allo stesso tempo, hanno ribadito: mai più un summit dell’Onu in un paese che non li rispetta (http://campaigns.ifex.org). La testimonianza diretta e molteplice di aggressioni verso delegati e giornalisti, l’oscuramento di siti web, la censura di documenti e relazioni, l’impedimento e la sospensione di meeting programmati dentro e fuori il summit, hanno aggiunto fermezza alla protesta. Tutto questo accadeva appena dopo la pubblicazione dei documenti finali del vertice che riaffermano la volontà dell’assemblea di costruire una società dell’informazione «centrata sulle persone, inclusiva, e orientata allo sviluppo umano secondo i principi della carta delle Nazioni Unite, delle leggi internazionali e del multilateralismo, in modo che chiunque, dovunque, possa creare, accedere, utilizzare, e condividere informazione e conoscenza, per realizzare il proprio pieno potenziale umano e raggiungere gli obiettivi stabiliti a livello internazionale, inclusi gli obiettivi del Millennio» (www.onu.org/milleniumgoals).
Nella conferenza stampa di chiusura del summit, Yoshio Utsumi, presidente del Wsis, ha detto che l’obiettivo più importante raggiunto dal summit è stato quello di innalzare la consapevolezza del ruolo che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono svolgere nello sviluppo umano, per poi aggiungere che il digital divide, piuttosto che l’Internet governance, sono stato il tema più rilevanti della tre giorni tunisina. Yoshio Utsumi ha proseguito esprimendo soddisfazione per un evento che a suo dire è riuscito a realizzare un percorso condiviso e ha poi promesso che il processo attivato sette anni fa continuerà nei prossimi anni quando anche quando la configurazione di Internet cambierà le sue forme. Non la pensano così i rappresentanti della società civile che, se da un lato esprimono soddisfazione per aver avuto un ruolo nella decisione di predisporre l’Internet governance forum che dovrà ridiscutere le regole della rete, dall’altro chiedono azioni concrete, invece di impegni di principio, su sviluppo e diritti umani, ad esempio individuando nuovi meccanismi di finanziamento allo sviluppo mirati alla riduzione del knowledge gap e del digital divide fra nord e sud, fra città e campagna, fra ricchi e poveri. Come? Riducendo le spese per gli armamenti e destinandole all’istruzione e alla formazione, supportando una richiesta mossa dalla stessa Shirin Ebadi. La portavoce della società civile, Nora Bloer, ha anche sottolineato che è necessario creare dei meccanismi di monitoraggio del rispetto dei diritti umani che coinvolgano i media (http://worldsummit2005.org). Insomma, nonostante i temi principali del summit, l’Internet governance, i meccanismi finanziari e il digital divide avessero decisamente preso forma nelle ultime discussioni, la questione dei diritti umani è entrata prepotentemente nel summit suscitando tensioni palpabili e talvolta esplicite.
Un giornalista tunisino di La Presse ha accusato Ebadi di essere involontariamente uno strumento in mano di forze oscure, Steve Buckley (presidente dell’associazione mondiale delle radio comunitarie) di raccontare fantasie, perché le violazioni che loro hanno denunciato «succedono dovunque nel mondo, anche nei paesi occidentali». Doveva essere un summit a Tunisi è diventato un summit su Tunisi. Ma non poteva essere altrimenti, considerato che nonostante il forte controllo governativo esercitato su molti media presenti, la Tunisia è finita nell’occhio della bufera a partire dall’aggressione ai giornalisti francesi. E questo è bene ribadirlo, perché brutte notizie e fallimenti diplomatici sono stati taciuti proprio per non scontentare ministri e governi con al seguito giornalisti «embedded».
Dunque il summit volge al termine, nel pomeriggio viene annunciata la fine, dopo 30 giorni, dello sciopero degli «affamati di libertà» di via Muktara (www.grevedelafaim.org), e adesso? Dopo aver richiamato l’attenzione dei media e della società civile internazionale sul tema dei diritti in Tunisia, cosa accadrà alla partenza dei delegati? Amnesty ha convocato per stamattina un incontro fra la stampa e il suo delegato locale, Javier Zuniga, per fare il punto sul rispetto dei diritti umani durante il summit mondiale della società dell’informazione.