Promuovitalia, quando lo Stato non paga i suoi creditori
A 40 giorni dall’inizio dell’Expo, Promuovitalia, la società veicolo controllata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, è alla bancarotta. Per non pagare i suoi creditori ha richiesto un “concordato preventivo” e se la manovra avrà successo il Ministero non dovrà sborsare nulla
di Arturo Di Corinto per Wired del 8 Giugno 2015
È sotto sfratto e tra due giorni gli tagliano la luce per morosità. Dovrà risarcire centinaia di migliaia di euro agli ex dipendenti e fronteggiare la folla imbufalita dei creditori. O almeno dovrebbe. Il condizionale è d’obbligo visto che Promuovitalia, società veicolo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Mibact), è alla bancarotta. Bancarotta ormai conclamata da uno scarno comunicato aziendale che avverte i creditori di aver richiesto un concordato preventivo in forza del quale “i creditori per titolo o causa anteriore al 20 maggio 2015 non possono iniziare o proseguire azioni cautelari sul patrimonio del debitore, sotto la pena della nullità delle medesime” e, cigliegina sulla torta, chiede a chi vanta crediti di rifare e reinviare i conteggi relativi ai crediti attesi “entro e non oltre il 10 giugno.” Con una coda comica: negli stessi giorni sul sito di Promuovitalia campeggiava l’avviso di “telefonare per ogni esigenza” visto che in epoca di fatturazione digitale, i servizi di posta elettronica erano guasti.
Una fine piuttosto ingloriosa per una società che dal 2005 (epoca Brambilla) al 2012 (epoca Monti), macinava contratti con un portafoglio commesse fino a 81 milioni di euro ed era arrivata ad impiegare 380 persone. Una società che a fine 2013 aveva quasi 8 milioni di liquidità (10 a febbraio 2014), e oltre 25 milioni di euro di commesse acquisite, e che oggi è in fallimento.
Quello che è successo dal 2013 in poi, e che ha portato a questa situazione, lo sta indagando a pezzi la magistratura per ristabilire un quadro chiaro di tutta la vicenda, che è appena passata sotto la lente d’ingrandimento di una commissione d’inchiesta interna nominata ad hoc dal Ministro Dario Franceschini, ma di cui non sono ancora noti i risultati.
UN DISASTRO ANNUNCIATO
La società Promuovitalia Spa, con socio unico l’Enit, l’Agenzia nazionale del turismo, sotto il controllo del Mibact a cui di fatto appartiene, negli ultimi tre anni è infatti andata incontro a una serie di trasformazioni che da assopigliatutto degli appalti europei della formazione dedicata agli inoccupati nel settore del turismo, l’ha vista trasformarsi in uno stipendificio dove anche le professionalità più spiccate sarebbero state mortificate da una gestione aziendale che il delegato del ministro dell’epoca, Nicola Favia, nel novembre del 2013, non aveva esitato a definire disastrosa, una denuncia che gli è costata l’allontanamento dal consiglio di amministrazione, una querela poi archiviata e opposta, e una serie di minacce. Più o meno la stessa sorte dei vecchi dirigenti che sono stati via via licenziati per giustificato motivo o per giusta causa, come nel caso dell’ex direttore generale Francesco Montera, cacciato su due piedi per una missiva di lamentele riservata e indirizzata nell’estate del 2012 al ministro Massimo Bray in cui denunciava il progressivo degrado della società, e poi oggetto di una serie di articoli di stampa che l’accusavano del reato di peculato, ma che i giudici del lavoro stanno oggi smontando pezzo per pezzo, a cominciare dal riconoscimento del suo intero Tfr (67 mila euro), a dimostrazione che i grandi giornali si erano sbagliati quando avevano creduto a chi diceva che si era alzato lo stipendio in maniera irregolare.
CAUSE E PIGNORAMENTI
Stessa sorte è capitata ai vice di Montera, Stefano Orsini e Olindo Ceccarelli, che hanno chiesto e ottenuto il pignoramento delle somme spettanti da Promuovitalia e che, come anticipato da vari articoli avevano preannunciato come l’elevato conflitto e contenzioso giuslavoristico dentro la società avrebbe portato a contenziosi legali pari ad almeno 2 milioni e mezzo di euro. Male è andata invece all’ex dipendente Luigi Tiberia, anche lui con la sua famiglia oggetto di minacce, puntualmente riferite ai carabinieri di Campagnano (Rm), che però si è visto rifiutare dal giudice il reintegro sul posto di lavoro. A queste somme dovute ai creditori dovranno poi essere aggiunte quelle delle borse lavoro non pagate ai disoccupati del progetto Lavoro e Sviluppo, per importi a sei zeri contestati dal Ministero dello sviluppo economico, committente del progetto. A questi soldi, che oggi non ci sono, si sommano inoltre i costi di spese dovute a uno stesso stesso studio legale nei primi due mesi del 2015, sempre per un importo di 4.049 euro, più le spese di altre gare e appalti indetti dalla società che era già debitrice a chi aveva lavorato e maturato dei compensi, mentre ai dipendenti rimasti, circa 70, non venivano pagati gli stipendi. Dipendenti che adesso bussano alla porta con la terza lettera di messa in mora per gli arretrati non pagati.
Spese queste ultime approvate nel periodo di sua competenza, dal liquidatore della società, Antonio Venturini di Ravenna, nominato il luglio scorso e che dopo un anno ha pubblicato il bilancio 2013 con tutti gli zeri in rosso: meno 17 milioni di euro. Il bilancio, prima pubblicato, poi scomparso dal sito della società, è tutto da leggere, visto che per la maggior parte ricostruisce la storia di questo bilancio fallimentare ma che non dice mai come sono andati a finire i fatti narrati per capitoli.
LA MOSSA DEL CONCORDATO
Quindi la domanda è: chi garantirà quel debito? Pagherà Pantalone come al solito?
La mossa del concordato, dicono gli esperti, è astuta. Se la società viene dichiarata fallibile, vuol dire che non è pubblica, e dunque il Ministero potrà sottrarsi dall’obbligo di ripianare i debiti, lasciando ai creditori, dipendenti inclusi, solo gli spiccioli.
Ma se alla società venisse negata la possibilità di accedere al concordato, perché ente pubblico, ma soprattutto perché già in liquidazione, Pantalone dovrà metterci i soldi.
L’incognita a questo punto è che il Mibact potrebbe sostenere di non avere il controllo (analogo) di Promuovitalia ma solo la sua vigilanza per sottrarsi a queste responsabilità, se non fosse che esiste una direttiva del Consigliere Caterina Cittadino, ex Capo del Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che invece conferma il controllo analogo in quanto “Promuovi Italia è società in house providing la cui attività è regolata in primis dalla Direttiva Tecnica Generale DSCT 0004361 P del 16 marzo 2011.”
In tutto questo i lavoratori che fine faranno? Giovedì 4 giugno è stato firmato un pre-accordo affinchè venga bloccato il licenziamento collettivo dei lavoratori di Promuovitalia non pagati da cinque mesi, da ricollocare presso vari enti tra cui l’Enit, che però per assumerli aspetta di avere un nuovo cda essendo anch’esso commissariato e con a capo Cristiano Radaelli che, come Antonio Venturini, non ha finora ricevuto un euro per il difficile compito assegnatogli. Per fare il nuovo cda dell’Enit ci vuole lo statuto, firmato, che però, dopo essere rimbalzato per sei mesi tra Presidenza del consiglio dei ministri e Corte dei Conti non si sa che fine abbia fatto.