Mobile Justice, un app per denunciare le brutalità della polizia Usa
Ennesimo omicidio di un giovane afroamericano disarmato. La polizia dice che aveva una pistola, ma lui era in carrozzella, paralizzato dall’età di 18 anni. Un video mostra la dinamica dell’accaduto e l’associazione americana per i diritti civili invita a usare la sua app per denunciare fatti simili
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 25 Settembre 2015
C’E’ un’app che si chiama Mobile Justice e fa una cosa semplice: ti consente di filmare quando ci si trova davanti a soprusi o violenze della polizia e allerta il network degli altri utenti che possiedono la stessa app per accorrere in aiuto come testimoni. Insomma, oltre YouTube, il luogo dove da tempo finiscono i filmati che denunciano le violenze. Come l’ultima avvenuta in Delaware, negli Stati Uniti, dove un afroamericano è stato ucciso a sangue freddo dalla polizia. Si chiamava Andrew Mc Dole, 28 anni ed era costretto su una sedia a rotelle da 10. È morto in seguito a sette colpi sparati dagli agenti accorsi – secondo la polizia di Wilmington – “per impedirgli di suicidarsi”. I familiari della vittima contestano questa versione, ma il risultato non cambia: un altro giovane afroamericano è stato ucciso. Il filmato su YouTube l’ha postato un passante. Del resto è dai giorni del pestaggio Rodney King nel 1991 da parte di alcuni agenti di Los Angeles che telecamere e videofonini mostrano tutta la loro forza nello smascherare abusi e prepotenze della polizia, da Travyon Martin a Eric Garner fino a Mc Dole.
Adesso l’Associazione per i diritti civili degli americani, l’ACLU, fondata nel 1920 e con quasi mezzo milione di associati, ha deciso di trasformare la pratica delle denunce videoregistrate in un metodo e uno strumento software, creando questa app per Android ed Apple iOS. Il software dell’ACLU incorpora un vademecum per imparare a conoscere ed esercitare i propri diritti in caso d’arresto, ma soprattutto ha una caratteristica particolare: nel momento in cui qualcuno che vuole bloccare le riprese, se tocca il telefonino o cerca di spegnerlo, l’app invia la registrazione effettuata fino a quel momento agli avvocati dell’ACLU affinché se ne possano servire per inoltrare querela o portarla come prova in un eventuale processo. Non solo: l’invio può inoltre essere corredato dai propri dati personali e da una sintetica ricostruzione dell’accaduto nel caso in cui ci si voglia proporre come testimoni.
Questa app risponde a una necessità, spiega un portavoce dell’ACLU: “Il diritto dei cittadini di registrare gli interventi di polizia è un diritto costituzionale, un fatto di check and balances. L’app crea un registrazione indipendente di quello che accade, una registrazione scevra da accuse di manipolazione, falsa testimonianza o perdita di memoria”. E sulla speciale funzione di spedire la registrazione al primo tentativo di bloccarla? “La polizia ordina costantemente di smettere di filmare in questi casi. E noi abbiamo affrontato così il problema”. Una preoccupazione giustificata dal fatto che spesso coloro che hanno realizzato i filmati di denuncia sono stati successivamente minacciati dalla polizia e accusati di incitare alla violenza e all’odio razziale.
L’idea dell’app era venuta agli attivisti dell’ACLU e del coordinamento #BlackLivesMatter dopo l’uccisione di Michael Brown, il giovane afroamericano ucciso disarmato senza motivo dalla polizia di Ferguson, Missouri, che aveva originato anche l’#OpKKK di Anonymous contro i razzisti del luogo. Brown appartenendo a una lunga lista di giovani afroaericani uccisi come Travyon Martin, “il ragazzo col cappuccio”, il dodicenne Tamir Rice, edEric Garner, il gigante nero soffocato mentre, immobilizzato dagli agenti,urlava “I can’t breathe” (non posso riespirare), che è diventato un altro famoso refrain delle marce di protesta degli americani contro le prepotenze della polizia. L’ultima al grido di #BlackLivesMatter, appena dispersa dalla polizia di Austin, in Texas.