Turchia, Erdogan blocca servizi web per censurare i leak sul genero
Il gruppo hacker Redhack – famoso per aver cancellato le bollette della luce alle famiglie dei minatori morti a Soma – ha messo online un corposo database per smascherare gli affari della famiglia Erdogan al potere. Che risponde facendo spegnere i servizi dai quali questa mole di documenti può diffondersi
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 11 Ottobre 2016
L’hanno detto e l’hanno fatto. Redhack, gli hacker marxisti turchi hanno messo online un nutrito database (dump) di email relative alla corrispondenza privata e istituzionale del genero di Recep Tayyip Erdogan, presidente del paese della mezzaluna. Divenuti famosi per aver cancellato 650mila dollari di bollette della luce alle famiglie della zona di Soma, dove morirono 301 minatori, Redhack aveva ricattato il governo turco dicendosi pronto a diffondere le circa 57 mila email del Ministro dell’energia se il suocero non avesse rilasciato una cinquantina di attivisti di sinistra attualmente in carcere. Ma in tutta risposta il governo turco domenica scorsa ha intimato a diverse compagnie telefoniche turche e agli Internet provider di bloccare l’accesso a sistemi in grado di inoltrare e conservare i 17 giga di dati sottratti. La notizia è stata data da Turkey Blocks, una onlus che vigila sulla libertà di comunicare in Turchia.
Dopo il diniego del governo di trattare, mai espresso ufficialmente, il gruppo di hacker ha diffuso i leak provocando per rappresaglia il blocco di Microsoft OneDrive, Dropbox, Google Drive e perfino del repository di software Github. In aggiunta a questo molti utenti hanno riportato diversi errori SSL (il protocollo di comunicazione sicura su Internet che usano anche le banche) e l’impossibilità di usare i servizi online di alcune compagnie straniere. Al contrario di tutti gli altri, il servizio di storage di Google drive ha ricominciato subito a funzionare, pare dopo le prime proteste e la segnalazione che moltissimi turchi e diversi giornalisti di altri paesi, avevano cominciato a diffondere i dati relativi a 16 anni di email, attraverso delle VPN, le Virtual Private Networks, una sorta di “tunnel” sicuri per la comunicazione Internet.
La Turchia non è nuova a queste dimostrazioni di forza. Nel marzo scorso il governo aveva chiesto di impedire l’accesso a Facebook e Twitter per impedire la diffusione di notizie non controllate su un attentato dinamitardo ad Ankara e lo stesso aveva fatto nel 2014 con YouTube e Twitter per impedire la diffusione di una registrazione audio che poteva provare la corruzione dell’allora primo ministro Recep Tayyip Erdogan relativa alla messa a disposizione del figlio di una ingente massa di denaro per influenzare un’inchiesta della polizia.
Ma anche i Redhack, attivi dal 1997, non sono nuovi a queste iniziative. Il 4 aprile del 2016 gli hacker comunisti hanno messo online i dettagli privati di 50 milioni di cittadini turchi compresi quelli relativi ad Erdogan stesso. E adesso continuano a chiedere la liberazione di un parlamentare dell’HDP, il partito del popolo pro-curdo, Alp Antinörs, e del romanziere Asli Erdogan, in attesa di processo.
E tuttavia non si tratta di una semplice azione di hacking per mostrare la debolezza della sicurezza informatica di stato turca. Le email, verificate da Daily Dot, raccontano 16 anni di potere della famiglia di Erdogan, l’ascesa irresistibile del genero grazie ai rapporti con l’establishment e i media con i tentativi, notoriamente riusciti, della famiglia Erdogan e dei suoi supporters nel silenziare giornali e televisioni indipendenti. La Turchia infatti occupa gli ultimi posti nelle classifiche mondiali della libertà d’informazione realizzate da The Freedom house e Reporters senza frontiere e anche nell’indice della corruzione di Transparency International.
Nel frattempo sono almeno 125 gli agenti del dipartimento di polizia di Istanbul sono stati arrestati stamani, su richiesta della procura locale, con l’accusa di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen. La notizia è comparsa sui media locali, secondo cui tra loro ci sono 30 ufficiali, con il grado di vice-capo di polizia. Gli agenti sono finiti sotto accusa per l’utilizzo di ByLock, una app per smartphone che, secondo gli investigatori turchi, veniva utilizzata dai golpisti per scambiarsi messaggi criptati, insieme a un’altra chiamata Eagle. Il suo uso è ritenuto sufficiente dai magistrati per l’arresto.
In Italia la federazione nazionale della stampa e l’ordine dei giornalisti hanno manifestato a piu riprese sotto l’ambasciata turca a Roma per chiedere al governo turco il rispetto della libertà di stampa e d’opinione sui social network. Giovedì 13 ottobre ci riprovano: FNSI, Nobavaglio e i magistrati di Area hanno indetto un presidio silenzioso davanti al palazzo della Cassazione in piazza Cavour a Roma insieme agli avvocati per denunciare l’assordante silenzio seguito al grande clamore del fallito golpe del 15 luglio scorso.