Le fake news sono più resistenti dei virus
Hacker’s dictionary. Un nuovo software dimostra che le persone utilizzano le fake news per affermare il proprio punto di vista, imitare gli amici e ottenere un vantaggio nel gruppo di appartenenza
di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 12 Dicembre 2019
Che si tratti di disinformazione o propaganda, la manipolazione delle informazioni è destinata a continuare per tutto il 2020, sopratutto in concomitanza delle elezioni. Ne è convinta l’azienda europea di cybersecurity Eset che annovera tra i pericoli maggiori del prossimo anno l’ascesa di fake news e deep fake per danneggiare la reputazione di personaggi popolari e influenzare l’opinione pubblica. Il rischio dei deep fake sarebbe anche maggiore. La tecnica consente di usare l’intelligenza artificiale per sovrapporre in un video un volto diverso dal viso reale di una persona creando così uno scambio di identità o mettergli in bocca falsità e danneggiare la reputazione di vip e aziende, interferire nelle politiche nazionali e internazionali e fornire un nuovo strumento di propagazione delle fake news.
Siccome le brutte notizie non viaggiano da sole, una ricerca dell’Università statale di Milano pubblicata sulla rivista Plos One a nome di Marco Cremonini, Nahid Maleki-Jirsarae e Samira Maghool, conferma come le fake news non possono essere battute per il semplice motivo che le persone usano le fake news per ottenerne un vantaggio. La prova scientifica viene dall’uso di un nuovo software per la simulazione di fenomeni di propagazione nelle reti sociali, che ha dimostrato come fake news e odio online si diffondono con meccanismi molto più complessi rispetto a quelli che determinano il contagio dei virus veri e propri perché la loro propagazione dipende anche da altri fattori umani come la volontà di imitare i propri simili e di diffondere una certa idea.
«Quando si diffonde una malattia – spiega Cremonini – le persone prendono consapevolezza e reagiscono per proteggersi, limitando il contagio. Nel caso di una notizia falsa online la probabilità che venga diffusa, non dipende solo dal fatto che io ci creda e dalla voglia imitare i miei amici, ma anche dalla volontà di diffondere l’idea stessa. Per questo – conclude – è importante affinare sempre più i nostri modelli, in modo da capire meglio le dinamiche e sviluppare strategie più efficaci per contrastare l’informazione negativa favorendo quella positiva».
Ma per arginare le fake news potrebbe non bastare la sola informazione. Si tratta di una battaglia culturale da fare tutti insieme, come è emerso chiaramente dal convegno a Palazzo Madama a Roma su La minaccia del deep fake in cui la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, ha detto che «rischia di trasformare l’ecosistema digitale in un mondo in cui distinguere il vero dal falso sarà sempre più arduo. Le possibili conseguenze di un suo uso illegittimo sono angosciose: si possono ad esempio creare falsi video in cui politici e personaggi pubblici fanno dichiarazioni di un certo peso», promettendo che «Su questo argomento il Senato farà la sua parte», auspicando un intervento normativo.
Ma attenti, come hanno scritto Carola Frediani e Guido Scorza, a non ritrovarci dietro l’angolo un nuovo Orwell. Il timore di uno stato poliziesco è adombrato dalla giornalista e dall’avvocato proprio dalla legge di Singapore contro le fake news. Nella città-stato le fake news sono disciplinate dalla «Legge sulla Protezione dalle falsità e manipolazioni online» in vigore da due mesi e già applicata a un politico di opposizione, Brad Bowyer, che su Facebook dubitava dell’indipendenza di due aziende statali, e a un blogger critico verso il governo, Alex Tan Zhi Xiang, richiesti di modificare i loro post. Chi non si adegua rischia fino a 10 anni di prigione e una multa di 10 milioni di dollari di Singapore.