Machina Sapiens, l’algoritmo che ci ha rubato il segreto della conoscenza (Il Mulino 2024) è il secondo libro della futura trilogia di Nello Cristianini sull’Intelligenza artificiale ed è un piccolo capolavoro di chiarezza. Il professore italiano, che insegna Intelligenza Artificiale all’Università di Bath, in Inghilterra, prende la mosse dalle visionarie tesi di Alan Turing, il padre dell’informatica moderna, per discettare se, come e quando le macchine artificiali possano pensare. E il risultato delle sua analisi è che, come diceva Turing, la domanda è sbagliata. La vera domanda è se le macchine che abbiamo costruito possano comprendere il mondo e parlarne con noi. La risposta è che oggi ci siamo riusciti, come aveva predetto Turing, che non solo contribuì a decifrare la macchina cifrante nazista Enigma, ma che pose le basi della teoria della computazione generale.
Oggi, dice Cristianini, assistiamo alla straordinaria evoluzione di idee vecchie di 70 anni – l’età dell’IA – perché abbiamo a disposizione qualcosa che prima non avevamo: potenza computazionale, algoritmi di machine learning efficaci e tanti dati. Più dati forniamo alla macchina, più quest’ultima può metterli in relazione, a velocità mai viste prima, sviluppando una sua “visione del mondo”. La logica è facile da comprendere se pensiamo che macchine come ChatGPT sono state pensate proprio per un compito specifico, quello di conversare con noi dandoci risposte plausibili e non di sapere tutto, o di simulare ogni forma di comportamento cognitivo umano. E tuttavia, questo non ci autorizza a pensare che non accadrà nel tempo a venire.
Alcune artificiali hanno già manifestato capacità emergenti sulla base di un mero apprendimento associativo, mostrato di essere capaci di generalizzare concetti, e trasferire conoscenze da un dominio all’altro, dalla linguistica alla matematica. E allora, senza fare fughe in avanti, per adesso basta mettersi d’accordo su cosa intendiamo per intelligenza, pensare, ragionare, tre concetti che ancora dividono filosofi e psicologi e che magari sono utilizzati in maniera impropria, sia per le macchine che per gli umani, diciamo noi. Dunque, restiamo coi piedi per terra: le GenAI, le intelligenze artificiali generative, fanno già meglio di noi in molti campi. Queste macchine sono in grado di superare test di lingua necessari a ottenere un visto o passare di grado a scuola; sono in grado di superare gli esami per l’avvocatura in America; sono in grado di analizzare sterminate quantità di dati e riscrivere sé stesse. Ma non sanno ancora prendere decisioni autonome e, in aggiunta, ogni tanto si sbagliano (“confabulano” e “allucinano”). Basta questo a definirle pappagalli stocastici? La risposta di Cristianini è no.
Poi, certo se vogliamo continuare a pensare di essere l’apice dell’evoluzione e i signori del Creato, possiamo anche farlo. D’altronde prima di Copernico si credeva che il Sole girasse intorno alla Terra, e che l’Uomo fosse al centro dell’Universo; prima di Darwin si credeva che l’Uomo non appartenesse al mondo animale; e prima di Freud si credeva che l’Io fosse padrone a casa propria. Tre ferite narcisistiche che potrebbero farci risparmiare la quarta.
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