Titolo 100 cose che ogni designer deve conoscere sulle persone
Autore Weinschenk Susan M.
Prezzo € 16,00
Anno 2011, 242 p., ill., brossura
Editore Pearson
Lo sapevate già?
Prefazione al libro Le 100 cose che ogni designer dovrebbe sapere sulla gente di Susan M. Weinshenk
Arturo Di Corinto
per Pearson-Longman
Un’automobile lavata e lucidata va più veloce. Le persone di bell’aspetto sono anche intelligenti, il detersivo presentato con un sorriso lava più bianco. Non si tratta solo di banali stereotipi, è la normale tendenza della specie umana ad associare le qualità positive fra di loro.
Il cervello funziona così e le sue associazioni sono modellate da un lungo apprendimento culturale.
A volte sembra che i progettisti di software e siti web non lo sappiano. Altrimenti perchè ci sarebbero dei siti così brutti e difficili da navigare? Sono passati più di 20 anni dal lancio del primo sito web, era il 6 agosto 1991, eppure la straordinaria creatività che ci ha portato ad avere più di cento miliardi di pagine web nella grande maggioranza dei casi non tiene in dovuto conto le banali regole della percezione umana che decretano il successo o il fallimento della comunicazione fatta via web. Sono ancora migliaia i siti che distraggono i loro utenti, in cerca di informazioni, usando colori sbagliati, suoni disturbanti, testi chilometrici o una grafica eccessiva, con il solo risultato di far scappare chi ci è arrivato sopra.
Un vecchio mantra del design, lo user centered design, ci dice di mettere l’utente di un oggetto, un applicativo software o un sito web, al centro del processo creativo. Vero e giusto. Per questo è importante sfruttare delle convenzioni, come il mapping naturale, e semplici principi di affordance (quello che possiamo fare con un oggetto), quando progettiamo qualcosa. Ma gli utenti non sono tutti uguali e quello che noi ci aspettiamo che colgano da ciò che gli offriamo non è sempre ciò che l’utente desidera o che sarà in grado di usare. Fra le persone esiste una grossa varietà interindividuale e culturale. Bisogna tenerne conto. Se sappiamo come funziona la percezione di base possiamo sfruttare le regole biologiche e culturali alla base del successo di un prodotto.
La visione umana ad esempio, il senso più importante nell’interazione con un oggetto che non si può toccare, come una pagina web, ha delle sue proprie regole e non possono essere disattese. Se veniamo da una cultura dove si legge da sinistra verso destra e dall’alto in basso è semplicemente sbagliato mettere le informazioni rilevanti sulla destra o nella porzione inferiore della pagina.
La visione inoltre raggruppa gli elementi che cadono sotto il suo fuoco secondo pattern e regole definite, per facilitare i processi di comprensione, memorizzazione e azione, perciò é utile organizzarli secondo quei modelli. E tenendo a mente un principio elementare: noi funzioniamo secondo principi di economia cognitiva e tendiamo a rifiutare le dissonanze per ridurre la fatica interpretativa. Un esempio? La corteccia visiva traduce nella terza dimensione le immagini piatte che colpiscono l’occhio e allora diventa inutile offrire in un sito web oggetti tridimensionali: il tempo di processamento sarà necessariamente più lungo. Viceversa accade con un oggetto stilizzato secondo convenzioni crossculturali: sarà riconosciuto prima.
Perchè la visione è così imporante? E’ un fatto evolutivo, vedere in tempo e da lontano un predatore o cogliere i dettagli di una situazione potenzialmente pericolosa equivale a salvarsi la vita. Oggi è ancora così. E’ una questione di tempi. Più si é veloci maggiori sono le possibilità di avere successo.
Insomma, mentre si fa attenzione alle regole generali, rosso e blu insieme sono disturbanti, bisogna considerare che esiste una discreta variabilità individuale nella percezione e non tutti elaborano i colori allo stesso modo, perciò se per differenziare le sezioni del vostro sito usate i colori meglio che lo facciate usando delle sfumature di giallo e di marrone: il 9% per cento degli uomini e l’1.5 delle donne sono affetti da diversi tipi di cecità ai colori.
La nostra capacità di cercare ed elaborare informazioni oltre il dato sensibile è però anche un fatto di cultura, abitudini, convenzioni. Ad esempio le persone sono abituate ad imparare dagli esempi e capiscono e ricordano meglio le informazioni presentate sotto forma di storia. Però è anche vero che la nostra memoria è limitata e non va sovraccaricata, perciò é utile sempre offrire un numero limitato di pezzi (chuncks) di informazione. Oppure, Se utilizziamo delle immagini di persona per comunicare emozioni e sentimenti, bisogna usare una delle sette emozioni fondamentali per rendere massima l’efficacia della comunicazione. Le espressioni facciali sono universali, i gesti non lo sono.
Questo libro che vi accingete a leggere spiega tutto questo e molto di più, insieme agli errori più comuni che si commettono quando si progetta un oggetto che dovrà essere usato da qualcun altro.
Ed ha il merito di sfatare alcuni miti su cui si basano molte scelte sbagliate.
Poiché siamo molto bravi a passare velocemente da un’attività all’altra, pensiamo di essere multitasking, ma in realtà non lo siamo. Parlare al cellulare mentre si guida fa diminuire
l’attenzione. Guidare mentre si parla al cellulare è come guidare sotto l’effetto dell’alcol. I giovani non sono più abili nel multitasking rispetto alle persone mature. Se chiedete alle persone di fare più cose insieme, aspettatevi che facciano molti errori e immaginate da subito i modi per correggerli. Lo sapevate già?
Bene, questo libro ci spiega anche quello che pochi sanno, ad esempio che le informazioni hanno un effetto simile alle droghe. Come? Le persone sono motivate a cercare continuamente informazioni. Quanto più facile sarà trovare le informazioni, tanto più le persone assumeranno un comportamento investigativo. Progettate i siti web per l’esplorazione, non per la lettura. Ciò che i visitatori fanno per la maggior parte del tempo è dare uno sguardo a ogni nuova pagina, leggere rapidamente una parte del testo e fare clic sul primo link che catturi il loro interesse o che vagamente assomigli a ciò che stanno cercando. Alle persone piace fare le cose da sé e sono motivate a farlo. Ma lo sapevate che questo dipende dai circuiti del desiderio regolati da un mediatore chimico che si chiama dopamina? Il sistema dopaminico è più efficacemente stimolato quando l’informazione arriva a piccole dosi, e non soddisfa completamente il desiderio di informazione. Un breve SMS o un tweet sono perfetti per mandare su di giri il sistema dopaminico. Perciò diventa sempre più difficile smettere di guardare le e-mail, inviare SMS e controllare il cellulare.
Ma il libro esplicita anche molte delle cose che sappiamo sulla motivazione umana. Le persone utilizzeranno qualunque cosa permetta loro di migliorare la propria socialità, compresa la tecnologia. Se il prodotto che state progettando permette alle persone di connettersi con altri, maggiore sarà la motivazione per il suo utilizzo.
Ma il libro di Susan Weinshenk non è solo per i progettisti. E’ per gli utenti consapevoli. E ha il merito di spiegarle in maniera semplice eppure scientificamente fondata. Leggendolo possiamo scoprire perché in fondo Facebook non aiuta poi molto le relazioni anche se ci mette in contatto con moltissime persone. Oppure possiamo scoprire perchè quell’uomo o quella donna che ci hanno fatto sognare nelle nostre conversazioni notturne in chat poi buca l’appuntamento. Nel primo caso la risposta è nel famoso numero di Dunbar che ci ha spiegato come sia praticamente impossibile mantenere relazioni significative con più di 150 individui, nel secondo sta nelle ricerche di Bandura e quelle di Naquin che ci spiegano i motivi del disimpegno morale dovuto alla distanza percepita di una relazione via email o via chat. Anche questo lo sapevate già?