Uno stato open source

copertina Nova - 9 aprile 2009Lo stato open source. Le Regioni puntano sul software libero per risparmiare e per guadagnare in trasparenza
Arturo Di Corinto
per Il Sole 24 Ore del 9 aprile 2009

All’interno del portale dell’Economia partecipata (economiapartecipata.it) è possibile consultare i documenti sul Bilancio, sulla programmazione economico-finanziaria e sulla partecipazione democratica nel Lazio. DoQui è invece un sistema di gestione documentale che permette di organizzare, archiviare e condividere documenti in formato digitale (doqui.it). ArcheoTRAc è un progetto rivolto alla gestione dei beni archeologici e l’obiettivo del sistema è quello del recupero e della valorizzazione del patrimonio informativo che essi generano.
Cosa hanno in comune i tre progetti? Sono nati su iniziativa di alcune Regioni, rispettivamente il Lazio, il Piemonte e la Valle D’aosta, e sono tutti basati su tecnologie open source. I motivi di questa scelta tecnologica sono simili: trasferire investimenti dall’acquisto di licenze alla formazione di utenti e operatori; promuovere la diffusione e l’evoluzione della metodologia impiegata attraverso il riuso della soluzione, favorire la concorrenza e la partecipazione. Vuol dire che la Pubblica Amministrazione italiana ha deciso di investire nel software libero? In parte sì. Da una recente ricerca della Venice International UniversityTedis emergerebbe la volontà della PA di dotarsi di software libero per risparmiare, affrancarsi dal legame con un fornitore unico, sviluppare le competenze interne.
Ma non si tratta di solo risparmio, anche se in una fase di recessione economica il software libero potrebbe avere una funzione “anticiclica” e la Pubblica Amministrazione svolgere in questo un ruolo guida. Come è stato evidenziato nel convegno OSPA09 tenutosi a Roma la settimana scorsa, bisognerebbe però attivare lo Strategic procurement per i servizi OS, attraverso meccanismi che semplifichino l’accesso da parte delle PA ai servizi delle Pmi, immaginando un mercato elettronico dell’OS e sviluppando i centri di competenze regionali per favorire l’abbattimento dei costi e la standardizzazione delle customizzazioni. Le Pmi sono infatti da tutti considerate il fattore abilitante per favorire la diffusione di un sistema a livello locale. Se a questa riflessione aggiungiamo che per l’ISTAT, l’adozione di sistemi operativi liberi o Open Source nelle imprese italiane nell’anno 2007 è stata pari al 12,2% del totale, con punte del 39,7% tra le aziende con oltre 250 dipendenti, il gioco è fatto. Ma allora perchè la PA italiana è così lenta ad interagire con il mondo open? parte i limiti, e i vincoli, della macchina pubblica, per Tedis uno dei motivi principali è che l’“offerta Open Source” è composta da aziende non omogenee, e dal fatto che nonostante l’alto numero di programmatori italiani attivi nel settore, risulta defilato il ruolo delle università italiane nella contribuzione di codice aperto: nessuna di esse compare tra le prime dieci università al mondo per codice sviluppato e condiviso nell’area dell’Open Source. Ma “in realtà”, ci dice Leonardo Bertini, animatore di OSPA09, “quello che manca è una visione strategica”. “Rendere disponibile il patrimonio di conoscenza delle community professionali e dei database pubblici anche per le imprese italiane sarebbe un modo per spostare verso l’alto la frontiera delle capacità produttive del Paese, come spinta complementare alla crescita degli investimenti pubblici in infrastrutture”. Open source, open standard e open framework, insieme al concetto delle opere creative commons, possono essere motore di innovazione del concetto più profondo di Pubblica Amministrazione: essere produttori di conoscenza condivisa a favore del cittadino. Insomma, da una PA che produce servizi, ad una PA che produce conoscenza e contenuti condivisi e riusabili. Per l’appunto, proprio l’idea da cui muove la proposta di legge sulla società dell’informazione che l’on. Vincenzo Vita illustrerà il 16 aprile in un convengo a Palazzo Marini.

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