Basta col software chiuso: lettera alla ministra Azzolina
Hacker’s Dictionary. Con una lettera appello del professor Angelo Raffaele Meo le associazioni del software libero chiedono al governo di sostenere l’industria informatica italiana nel rispetto delle leggi esistenti. Una questione di privacy e libertà, ma anche di sovranità tecnologica e sicurezza nazionale
di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 25 Giugno 2020
Le grandi aziende tecnologiche d’oltreoceano hanno costruito strumenti che permettono a tutti di comunicare a distanza in cambio dei nostri dati personali.
Per questo ogni servizio gratuito non lo è per davvero: lo paghiamo con la profilazione dei gusti e delle preferenze che ci qualificano come persone. La conoscenza di quei dati, è noto, permette a governi e Big Tech di orientare desideri e comportamenti, come dimostrato da numerosi scandali, dal Datagate a Cambridge Analytica.
Perciò, vista la diffusione dell’uso di sistemi di videoconferenza proprietari nel periodo di lockdown, le associazioni del software libero hanno deciso di scrivere alla Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. In realtà la lettera è stata scritta da uno dei decani dell’informatica italiana, il professore Angelo Raffaele Meo, che le chiede di preferire e valorizzare il software con il codice sorgente aperto, e di farsi promotrice di una serie di iniziative legislative in favore della privacy, della sicurezza dei dati e dell’industria italiana del software.
L’iniziativa è supportata da molte associazioni per il software libero e le libertà digitali: i Linux User Group di Bolzano, Mantova, Fabriano (quelli di iorestoacasa.work), Assoli, Hermes, LibreItalia e altri, che chiedono ai consimili di aderire al loro appello.
Nella lettera, Meo ricorda che negli anni abbiamo scoperto che molte tecnologie hanno un funzionamento distorto: «Per questa ragione noi riteniamo che nelle applicazioni della Pubblica Amministrazione che implichino il trattamento di dati personali, e in particolare nelle applicazioni per la scuola, si dovrebbe vietare per legge l’uso di prodotti dei quali non sia conosciuto il codice sorgente».
E aggiunge: «Con questo messaggio mi permetto di farLe notare l’inopportunità delle pagine di suggerimento dedicate sul portale del suo Ministero a importanti piattaforme didattiche proprietarie che sono ospitate su infrastrutture controllate dai giganti del web (come Google, Microsoft e Amazon) dove quindi confluiscono i dati e i metadati dei nostri studenti».
E poi parte l’affondo: «Ricordo anche che le scuole sono tenute a scegliere le soluzioni da acquisire solo dopo aver realizzato la valutazione comparativa prevista dall’art. 68 del D. Lgs. 82/2005, che impone di preferire software libero: sarebbe importante che il Ministero supportasse le scuole nell’adempiere a quest’obbligo».
Pertanto: «Le chiedo il favore di adoperarsi per la promulgazione di una legge che:
- proibisca l’uso di software proprietario nelle applicazioni della Pubblica amministrazione che implicano il trattamento di dati personali;
- obblighi ad usare formati di file standard e aperti;
- consenta l’uso di infrastrutture IT in Cloud soltanto se queste sono nel controllo della pubblica amministrazione Italiana».
«Tenga presente che in Rete sono disponibili piattaforme libere caratterizzate da funzioni e prestazioni paragonabili o superiori a quelle delle più note piattaforme proprietarie».
«Diversi siti specializzati nell’ospitalità e distribuzione di software libero annoverano milioni di progettisti e programmatori operanti su oltre 150 mila progetti; da questi siti sono scaricati milioni di programmi ogni giorno. Si apre così un’importante opportunità per l’economia del nostro paese. Per questa ragione ci permettiamo di chiederLe di adoperarsi, nell’ambito del Consiglio dei Ministri, per cogliere questa opportunità destinando gli investimenti che verranno a breve realizzati nel digitale esclusivamente a tecnologie in software libero».
Impossibile non essere d’accordo.
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