Assange può essere estradato negli Usa. L’hacker-giornalista ingiustamente accusato rischia 200 anni di prigione e di finire a Guantanamo
di ARTURO DI CORINTO per Articolo21 del 10 Dicembre 2021
Alla fine è successo. La notizia che non avremmo mai voluto dare è che L’Alta corte di Londra ha ribaltato la decisione contro l’estradizione di Julian Assange. Lo ha fatto perché secondo i giudici il governo degli Stati Uniti offrirebbe garanzie sufficienti che Assange riceverà cure adeguate e quindi il co-fondatore di Wikileaks può essere estradato.
Ma a parte i giudici di Londra, che con la Svezia hanno attivamente collaborato per incastrare il giornalista australiano sulla base di accuse sconfessate anche dalle querelanti, non ci crede nessuno.
La fidanzata di Julian, Stella Moris, ha fatto sapere che i legali di Assange presenteranno al più presto ricorso contro la decisione all’Alta Corte di Londra di stravolgere la sentenza di primo grado che a gennaio aveva negato la sua estradizione negli Usa per timore che si suicidasse. Così il caso passa ora al tribunale di Westminster che si occupa di decidere sulle richieste di estradizione. Ed è singolare che accada proprio nel giorno in cui il mondo celebra l’anniversario del 10 dicembre 1948, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione universale dei diritti umani.
Gli stati Uniti hanno infatti costantemente ignorato i diritti umani e civili di Assange che, obbligato a rifugiarsi per ben 7 anni nei 20 metri quadrati dell’ambasciata ecuadoriana a Londra è stato quotidianamente spiato dai suoi apparati di polizia prima di essere “venduto” all’amministrazione Trump dal discusso presidente peruviano Lenin Moreno quando appena eletto decise di ritirargli la protezione diplomatica facendolo arrestare dalla polizia inglese dentro l’ambasciata nell’aprile del 2019.
La verità è che Assange è scomodo un po’ per tutti, e su di lui si consuma la vendetta di chi ha cospirato per tenere l’opinione pubblica all’oscuro dei crimini di guerra commessi dall’esercito americano e dai suoi alleati in Iraq e Afghanistan destabilizzando l’intera regione per un decennio con effetti che ancora tutti paghiamo in termini di insicurezza politica e sociale ai nostri confini e perfino nelle nostre città.
È però l’isolamento del giornalista, hacker, whistleblower che è alla base della scelta dei giudici e della forza della richiesta di estradizione.
Ce lo ha dimostrato la miopia del dibattito alla nostra Camera dei Deputati sulla mozione presentata dall’onorevole Pino Cabras per concedergli lo status di rifugiato politico. Un dibattito misto di ignoranza, inerzia, disinformazione e vigliaccheria manifestate da una sinistra rintronata, ma anche da quelle forze, i Cinquestelle, che ne avevano fatto una star per la sua incessante denuncia di malgoverno e corruzione dalle pagine di Wikileaks, il sito pro-trasparenza da lui fondato e attraverso il quale aveva pubblicato documenti contenenti i registri delle guerre d’aggressione in Afghanistan e Iraq e le comunicazioni diplomatiche del 2010, anche sollecitandole da alcuni informatori. come fanno tutti i giornalisti.
Isolato ma non solo. Julian Assange rimane un simbolo fragile e potente per tutte le persone sensibili e informate, per i pacifisti, per gli avvocati dei diritti umani, per i patrioti che non devono per forza essere d’accordo col loro governo, per tutti quelli che aspirano alla verità.
Per questo come Associazione Articolo 21 abbiamo deciso di donargli la tessera associativa consegnandola nelle mani della giornalista Stefania Maurizi che ne ha seguito e ricostruito la storia in tredici lunghi anni d’inchiesta sulla base degli elementi fattuali della sua vicenda umana, pubblica e processuale.
Lo abbiamo fatto perché Assange è un eroe del nostro tempo a cui ci accomuna una costante ricerca di verità e di giustizia e per questo il suo destino continuerà ad interessarci tutti, alla pari dei giornalisti del New York Times, del Guardian, dello Spiegel, del Pais, dell’Espresso e de La Repubblica che hanno lavorato con lui alla divulgazione di quelle prove condividendone le responsabilità. E ci auguriamo che saranno con noi a combattere la battaglia per la trasparenza e la libertà d’informazione facendolo liberare, in attesa che gli altri nostri colleghi si sveglino dal torpore del disinteresse e capiscano che ognuno di noi può finire come Assange, in galera per avere esercitato il diritto e il dovere di informare il pubblico.