Agcom può oscurare i siti pirata?
“Attacco ai diritti fondamentali”
Delibera, tutto da rifare. Secondo un parere chiesto all’ex presidente della Consulta Valerio Onida, un’autorità amministrativa può fare a meno dei giudici per chiudere un sito che viola il copyright e gli Internet Service Provider devono oscurarlo. Rodotà: “Non si può escludere la competenza dell’autorità giudiziaria” di ARTURO DI CORINTO
per La Repubblica del 14 marzo 2012
Il diritto d’autore non è più soltanto affare di avvocati perché incide sempre di più su come produciamo e consumiamo cultura. Eppure continuano a proliferare iniziative legislative tese a regolamentare per via amministrativa un aspetto tanto importante della nostra società senza che vi sia un adeguato dibattito pubblico e parlamentare. L’ultima in ordine di tempo è la delibera Agcom (688/2010) che il vertice dimissionario dell’Autorità italiana per le comunicazioni vuole licenziare prima della scadenza del mandato avvalendosi anche del parere di un rispettato giurista come Valerio Onida. La delibera, fotocopia di leggi americane e frutto di pressioni lobbistiche rivelate anche da Wikileaks, mette al centro la possibilità di oscurare per via amministrativa siti web che violano il diritto d’autore e chiama gli Internet Service Provider a svolgere azioni di contrasto alla pirateria.
L’estate scorsa il web e la politica si erano sollevate contro questa prospettiva paventando sia un rischio censura che un difetto costituzionale e si era fermato tutto. Ma ora, dopo le pressioni di Confindustria Cultura Italia che aveva tuonato contro l’esistenza di una presunta lobby propirateria in Italia che avrebbe indotto l’Agcom a insabbiare la delibera, diviene pubblico il parere di Onida. Il giurista nel suo scritto del 27 ottobre 2011, prima delle clamorose proteste contro Sopa, Pipa e Acta, sostiene che sarebbe legittimo, per un’Autorità amministrativa, oscurare siti internet responsabili di violazione sistematica del diritto d’autore potendo anche affidare ai suoi dipendenti funzioni ispettive preliminari a questa azione. Non solo. Secondo l’emerito professore e avvocato, gli Isp devono impedire ai propri clienti di accedere a tali siti, anche se si trovano all’estero.
L’associazione di categoria, l’AIIP, ha reagito alla notizia argomentando che una tale attribuzione di responsabilità è in contrasto con le più recenti tendenze della giurisprudenza europea e italiana in quanto gli Isp per esercitare il ruolo che il giurista gli attribuisce dovrebbero ispezionare, filtrare e bloccare il traffico dei propri utenti, trasformandoli in poliziotti, e perchè la misura non assicura “un giusto equilibrio tra la tutela del diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la tutela della libertà d’impresa degli internet e hosting providers, della privacy e del diritto all’informazione dei cittadini, dall’altro lato.”
Poichè si è consolidata a livello internazionale una giurisprudenza che non ritiene legittimo violare la privacy altrui per difendere il diritto alla proprietà intellettuale, sostenendo che esso debba essere bilanciato dal diritto all’informazione, di critica, di satira, di ricerca, di insegnamento e ricerca insieme al diritto alla libertà personale, è evidente che è tempo di rimettere mano a una legge organica sul diritto d’autore.
Una legge necessaria per due ordini di motivi: la rivoluzione informatica ha messo nelle mani di ciascuno potenti media digitali, i personal media, con i quali è possibile registrare, manipolare e condividere qualsiasi aspetto della realtà e dell’esperienza. Gli stessi strumenti con cui possiamo accedere al patrimonio culturale preesistente e fruire di contenuti a pagamento ci permettono di aggirare le norme, vecchie, che ne regolano l’utilizzo. Secondo: apparecchi e infrastrutture di comunicazione sono diventati ubiqui, spesso gratuiti, ed è aumentato esponenzialmente l’attitudine al loro uso creativo e collettivo. Un’attitudine che non si può frenare senza mettere un avvocato dietro ogni portone creando una società del sospetto.
In questa direzione si erano mossi il vicepresidente della Commissione Cultura del Senato Vincenzo Vita e il senatore Luigi Vimercati convocando al Senato il presidente dell’Autorità Calabrò per il giorno di primavera, pure convinti che i commissari dimissionari avrebbero avuto la cortesia istituzionale di non deliberare su un tema tanto delicato alla loro scadenza.
Ma la richiesta di una riforma del diritto d’autore era venuta forte dalle associazioni che solo pochi giorni fa, riunite nel cartello “Liberalizziamo il futuro” avevano affidato ai relatori del decreto liberalizzazioni, poi a quello sulle semplificazioni, le loro proposte per mettere le ali all’Internet italiana con una riforma in grado di riequilibrare la tutela degli autori e i diritti dei fruitori, la riforma della Siae, l’abolizione del bollino su cd e dvd, dell’iva su libri e ebook e altre misure per la competitività delle imprese digitali.
Adesso le associazioni di categoria sono preoccupate dall’uso del parere di Onida in quanto la loro argomentazione principale contro la delibera finora era stata che un’Autorità amministrativa non poteva arrogarsi dei poteri che spettano solo all’autorità giudiziaria. Ma, da noi interpellato al proposito, indirettamente risponde Stefano Rodotà che dice: “Non ho ancora letto il parere del professor Onida. Ricordo soltanto che il Conseil constitutionnel francese, investito della questione di legittimità della legge Hadopi (quella della disconnessione da Internet per chi viola il copyright), l’aveva censurata proprio perché aveva escluso la competenza dell’autorità giudiziaria in una materia che incide sull’esercizio di diritti fondamentali”. Più chiaro di così.