Sembravano cattivi ma dopo gli attacchi di Anonymous all’Is il mondo ha scoperto anche l volto buono dei pirati informatici. Ecco la flotta più eterogenea del grande mare del web
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 15 Febbraio 2015
PRIMA ERANO SOLTANTO CATTIVI : gli attacchi alle playstation Sony e le minacce ai distributori del film The Interview come rappresaglia alla fiction sull’attentato al presidente nordcoreano Kim Jong-un, i colpi assestati dalla cyberjihad ai governi filoccidentali, le dichiarazioni di Obama sul terrorismo digitale. Poi però, da quando la scorsa settimana Anonymous ha attaccato l’Isis (“Tempo scaduto, stiamo arrivando, sarete trattati come un virus”) l’opinione pubblica mondiale ha improvvisamente “scoperto” una cosa solo apparentemente ovvia: e cioè che gli hacker non sono tutti uguali. E che a dividere gli hacker da una parte e i cracker, lamer, black hat dall’altra è una a volte sottile linea etica: tecniche e competenze sono simili, diversi gli obiettivi e la portata delle azioni. E in futuro questa demarcazione sarà sempre più evidente.
Già, il futuro. Soprattutto dopo il successo di The Imitation Game , il film sulla vita di Alan Turing, il teorico dei computer moderni, molti si domandano come saranno gli hacker di domani e quali i loro obiettivi. Secondo Giovanni Ziccardi, professore di informatica giuridica alla Statale di Milano e autore del libro Hacker. Il richiamo della libertà (Marsilio 2013), il futuro dell’hacking si svilupperà lungo tre filoni complessi: “Innanzitutto le microinvasioni della privacy, per esempio sfruttando i droni che oltrepassano i tradizionali confini delle mura domestiche e catturano perfino gli odori. Poi la manomissione dei computer indossabili e in particolare degli strumenti che monitorizzano la salute e l’internet delle cose. Ma l’obiettivo più attaccato sarà il potere, per denunciare la corruzione politica e ottenere maggiore trasparenza da parte delle polizie”. Quest’ultima è proprio la direzione in cui si muove già oggi Anonymous, vasto ed eterogeno gruppo di hacker e attivisti che due mesi fa aveva denunciato le collusioni tra il Ku Klux Klan e la polizia di Ferguson e che ha avviato ora una vasta campagna di attacco nei confronti del cybercaliffato in risposta alla strage di Parigi avvenuta a gennaio nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo.
Sugli altri due filoni entra maggiormente nel dettaglio Alessandro Berni del Centro Ricerche Nato Cmre di La Spezia: “La progressiva dipendenza tra sistemi fisici e digitali, la vulnerabilità nella fornitura dei servizi essenziali come acqua, luce, energia, avranno pesanti ripercussioni sulla sfera privata delle persone. Mi riferisco soprattutto al cosiddetto internet delle cose, alla domotica, alle smart cities, alla telemedicina e ai sistemi di trasporto intelligenti. Se le potenzialità di tutte queste nuove tecnologie sono straordinarie, è chiaro come la protezione delle diverse entità connesse in Rete sia una sfida aperta”. In effetti, con l’aumentare dei dispositivi connessi (saranno, secondo le stime, cinquanta miliardi nel 2020), la centralizzazione dei database, la moltiplicazione delle transazioni digitali, lo spostamento di molte funzioni verso il cloud, gli attacchi sono destinati a moltiplicarsi esponenzialmente. Pensiamo solo a cosa potrebbe accadere se i database della sicurezza aeroportuale venissero penetrati e i dati delle impronte usati per costruire polpastrelli artificiali con una stampante 3D. Scenario terrificante ai tempi dell’Isis, ma non implausibile. Prendere il controllo di telecamere di sorveglianza e memorie flash Usb, è già realtà.
Stessa sorte riguarderà i dispositivi di memoria che indossiamo. I wearable computer cuciti nei vestiti, indossati come accessori (occhiali, cappello, orologio), sono costantemente connessi con server always on e potenziale target di manipolazioni. Per questo ci sono i white e blue hat hackers: testano la sicurezza di ogni smart device d’uso comune e il loro numero è destinato ad aumentare. Un’altra tendenza che si sta affermando è quella relativa alle richieste di riscatto monetario da parte di hacker criminali che bloccano account personali: se non paghi scordati l’email e l’accesso ai documenti di lavoro. Il ransomware CBT-Locker, un virus che cifra e rende illegibili i documenti della vittima chiedendo un riscatto in bitcoin, ha infettato migliaia di pc in Italia proprio in questi ultimi giorni.
Non è d’accordo su questa visione del futuro Salvatore Iaconesi, hacker italo-americano: “Gli hacker del futuro saranno gli stessi del presente. L’avanzamento delle scienze e delle tecnologie non ne muta l’approccio. Diversa sarà solo la materia. Il mondo dei dati prodotti in maniera ubiqua da corpi, spazi e oggetti connessi, una volta elaborati algoritmicamente, sarà come sempre oggetto di sperimentazioni e manipolazioni, nel bene e nel male”. Anche Alessandro Delfanti, autore di Biohacker, sostiene che la nuova “materia” sarà appunto il biohacking: “Nei prossimi anni lavoreremo sempre di più per rendere dati e conoscenze mediche e scientifiche accessibili e interoperabili”. Secondo il giovane ricercatore, l’approccio del biohacking è perfetto per illuminare il ruolo ambiguo degli hacker nella società futura: da un lato porteranno una forte critica al sistema dei media digitali, ai monopoli, alla proprietà intellettuale, alle nuove concentrazioni di potere; dall’altro sviluppando il capitalismo digitale delle grandi imprese della Silicon Valley, saranno pronti a trasformare in strumenti di profitto tecnologie nate come forme di opposizione alla cultura dominante.
Il più ottimista di tutti è l’hacker Denis Jaromil Rojo, ideatore di un sistema operativo per la produzione multimediale basato su Linux: “Il futuro dell’hacking? Per quanto mi riguarda sta nello sviluppo di software libero e di reti di comunicazione indipendenti per creare comunità e superare il digital divide che affligge due terzi del pianeta”.