La Repubblica: L’Agcom, il copyright, gli stakeholder

la-repubblica-it-logoCopyright, giro di vite all’americana
ma la strada è la cultura della legalità

Aperta la consultazione pubblica sul nuovo regolamento per contrastare la pirateria online. Sono molti i dubbi che solleva in termini di privacy e libertà di comunicazione di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 7 agosto 2013

IL 25 LUGLIO scorso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Agcom, ha emanato una nuova proposta di regolamento contro la pirateria digitale. Il regolamento, che prevede la rimozione selettiva di contenuti illegali da siti web o la loro inibizione all’accesso, è oggetto di una consultazione pubblica fino al 23 settembre, e dovrà in seguito essere notificato agli organismi europei per essere applicato da febbraio. E’ la terza volta dal 2009 che un provvedimento di questa natura viene messo in consultazione. Finora senza  risultati. Il motivo? Non ci si mette d’accordo su quale sia il giusto livello di intervento per salvaguardare i diritti degli autori senza limitare i diritti degli utenti della rete. Anche questo regolamento segue la stessa logica che ha fatto naufragare iniziative simili come Sopa, Pipa, Ttpa e Acta e cioè la chiamata in correo dei provider di accesso e dei contenuti, la legittimazione della violazione della privacy per accertare le violazioni, la compressione dei diritti della difesa degli accusati, lo spostamento dell’onere della prova dal detentore dei diritti al presunto ladro di diritti, con tutti gli oneri del caso.

L’Autorità e una parte consistenza dell’industria che lo sostiene ritiene che sia un intervento risolutivo nei confronti dei danni causati dalla diffusione illegale di film, musica, libri e giornali online. Gli altri no. Gli altri sono gli internet provider, chiamati a intervenire per applicare i filtri ai contenuti illegali; le associazioni dei consumatori che ricevono le proteste degli associati che vogliono disporre pienamente di quanto acquistato legalmente, i giuristi che contestano a un’autorità amministrativa il potere di intervenire in questa materia senza una chiara definizione delle fonti primarie di legge da parte del Parlamento, i difensori della privacy e della libertà d’espressione che tra le pieghe del regolamento leggono un nuovo giro di vite nei confronti della libera comunicazione in rete. E questo perché al netto di una diffusa sfiducia verso i regolatori, gli strumenti che implementa possono servire scopi meno nobili: silenziare la critica e frenare l’innovazione imprenditoriale con la scusa di proteggere il diritto d’autore.

Sembra una vecchia battaglia da guardie e ladri ma così non è. Vero che da una parte c’è un pezzo d’industria che s’attarda su modelli di business vecchi rispetto al digitale online, e che vuole spremere quello che rimane dai vecchi supporti come il cd e il dvd, e dall’altra una schiera di furbetti che sull’economia del falso ha fatto la propria fortuna. I primi cercano così di mascherare i fallimenti di un’industria che produce pochi best-seller  –  con cui si pagano le opere che non vendono  –  ed è in mano a quattro, cinque, major del disco e del cinema; i secondi si fanno schermo della libertà d’espressione in Internet per legittimare profitti milionari senza valorizzare in alcun modo il lavoro dei creativi e della complessa filiera necessaria per portare le loro opere al pubblico dei consumatori. In mezzo ci sono gli ultimi difensori del diritto d’autore, quelli che ne chiedono una riforma parlamentare ma che, di fronte alle violazioni, non vogliono rinunciare alla mediazione della magistratura per garantire i diritti di editori, autori e fruitori. Insieme a loro i piccoli editori che spesso non hanno strumenti per far valere i propri diritti.

Eppure per Stefano Quintarelli, di Scelta civica, un modo per prevenire strumentalizzazioni del regolamento potrebbe esserci: “Chiedere a chiunque denunci le violazioni di merito di depositare una cauzione per evitare denunce massive e senza fondamento e stabilire un metodo certo e condiviso per quantificare il danno commerciale che la pirateria arreca.” La pirateria digitale esiste e se la si vuole fermare si può applicare il principio del “follow the money”. Come? L’idea di Quintarelli è che “bisognerebbe inibire i pagamenti verso le piattaforme che commerciano illegalmente materiali coperti da diritto d’autore e viceversa bloccare la remunerazione degli uploader che rendono quei siti appetibili”.

“E questo – dice l’avvocato Giuseppe Mazziotti – sarebbe già possibile se applicassimo le leggi europee”. Secondo Mazziotti, ricercatore al Ceps di Bruxelles una procedura amministrativa come quella disegnata dall’Agcom può giustificarsi perché l’applicazione del diritto d’autore digitale in Italia è largamente insoddisfacente. “Non è solo un problema di efficienza della giustizia italiana ma di interpretazione e trasposizione del diritto europeo da parte del legislatore italiano. Ma con uno strumento di legislazione secondaria non si può correggere questa situazione”. E aggiunge: “Tuttavia il problema vero è la duplicazione dei compiti fra un’autorità amministrativa e l’autorità giudiziaria, entrambe legittimate a intervenire sulle violazioni”.

Ma in fondo si parla ancora poco di soldi, modi di fruizione delle opere e facilità d’acquisto, mentre tutti comprendono bene che il modo migliore per scoraggiare la pirateria è ridurre il prezzo delle opere in commercio, renderle fruibili online su ogni piattaforma, a qualsiasi latitudine, incentivarne il pagamento elettronico, educare alla legalità facendo conoscere il valore della creazione di un’opera culturale.

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