Mafia Capitale. Il presidente dell’Autority anticorruzione Cantone: «Tuteliamo chi denuncia». L’invito alla denuncia del Commissario non basta se non vengono garantite le necessarie tutele. Manca un’adeguata trasparenza e controllo pubblico sull’operato di chi prende decisioni
Dopo la ribalta offerta a Roma dalla cupola mafiosa di Carminati & co. e le bacchettate di Transparency International, Raffaele Cantone prende di nuovo posizione: «Per prevenire la corruzione bisogna attuare le norme per i wistleblower (le talpe, ndr), previste dal testo unico dei dipendenti pubblici e consentire a chi vuole denunciare illeciti di farlo in modo tutelato».
Quindi per combattere la corruzione nella pubblica amministrazione secondo il magistrato, presidente dell’Autorità Anti Corruzione (Anac), bisogna incentivare, tutelare e premiare chi la denuncia, e cioè la talpa all’interno degli uffici. Cantone lo ha detto in un convegno a L’Aquila. Posizione più che condivisibile ma — si chiedono in molti — come si fa se al centro di questa strategia non c’è l’anonimato? Chi si può sentire «tutelato» se non conosce gli interlocutori, non sa come operano, e non riceve adeguate garanzie? E che succede se qualcuno attacca i server o si intrufola nei database dove sono immagazzinate le denunce? Se qualcuno intercetta le comunicazione dal computer dell’ufficio a quello dell’Anac?
La direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi per fortuna è andata oltre e ha proposto un «canale di comunicazione sicuro» per i propri dipendenti che vogliono denunciare irregolarità, e ipotizza di aprire il servizio a tutt-i i cittadini. Anche qui stessi problemi: che significa canale di comunicazione sicuro se non si usano sistemi di anonimizzazione come le email cifrate? E quanti sono in grado di usarle?
L’art 54 bis della legge di riforma dell’impiego pubblico del 2001, modificato di un rigo nella legge di pochi mesi fa (114/2014), prevede da quasi quindici anni che «il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, o all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria», cioè a mobbing o licenziamento.
La legge dice anche «Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione» e che «La denuncia è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni», cioè non può essere ottenuta con un accesso agli atti utilizzando la legge sulla trasparenza amministrativa.
L’articolo 54 bis dellegge attuale, a differenza della proposta dei Cinquestelle del 30 ottobre 2013, non esclude però che il nome del denunciante possa essere conociuto: «L’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato». E non prevede nessun meccanismo premiale che i Cinquestelle quantificavano tra il 15 e il 30% delle somme frutto di corruzione eventualmente recuperate.
Perciò anche se importante oggetto di dibattito il tema di come garantire la tutela del whistleblower è ampiamente sottovalutato e rischia di essere addirittura controproducente.
Perciò la strada giusta è quella percorsa oggi da Alac, il servizio di Allerta Corruzione di Transparency International che usa un sistema di segnalazione che offre un browser Internet a prova di spione (basato su Tor), attraverso cui navigare Internet e riempire le schede per segnalare casi di corruzione allegando pure documenti scottanti. (https://www.transparency.it/alac/).
Per l’Autorità di Cantone non dovrebbe essere difficile replicarne il sistema, magari usando una delle tante piattaforme generate da Hermes, Centro per i diritti digitali (http://logioshermes.org/) che ha fatto nascere Mafialeaks, per denunciare fenomeni mafiosi, o Expoleaks per raccontare l’indicibile degli appalti dell’Expo2015.
Poi, certo, se ci si liberasse dalla retorica della trasparenza e finalmente si pubblicassero open data (dati aperti) di bilancio e di spesa di Comuni e partecipate, si approvasse la legge sul Freedom of information Act (Foia), ancora nei cassetti„ avremmo fatto un passo in avanti verso una società più libera e più giusta.