“Doveva essere una riforma della legge sulla stampa che eliminando la pena del carcere per i giornalisti, liberava l’informazione dal rischio di sanzioni sproporzionate, a tutela dei diritti fondamentali di cronaca e di critica: il testo licenziato al Senato rischia di ottenere l’effetto opposto, rivelandosi come un maldestro tentativo di limitare la libertà di espressione anche sul web.”
Comincia così la lettera aperta con cui molte associazioni di cittadini si rivolgono al Parlamento con l’obiettivo di fermare la brutta legge di riforma delle norme che disciplinano il reato di diffamazione attraverso i mass media. Un’iniziativa avviata da un piccolo gruppo di giornalisti (per correttezza d’informazione anche da chi scrive), che ha visto via via ingrossarsi le fila degli aderenti tra cui si notano le firme di Milena Gabanelli, Marco Travaglio, Lirio Abbate, e le sigle dell’Associazione Nazionale Stampa Online, del sindacato dei giornalisti Rai, Usigrai, e della Federazione Nazionale della Stampa.
La proposta di legge è infatti stata considerata “un rischio per il diritto costituzionale ad informare ed essere informati” dallo stesso Stefano Rodotà, anch’egli tra i firmatari dell’appello.
Ma di che si tratta? La proposta di legge che sta per concludere il suo iter alla Camera dei Deputati – dove è attesa in terza lettura presso la commissione giustizia – modifica le norme sulla stampa di cui alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, ma anche al codice penale, al codice di procedura penale e al codice di procedura civile “in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione”, e reca “Ulteriori disposizioni a tutela del soggetto diffamato”. La proposta, che elimina il carcere per i responsabili della diffamazione, come chiesto dall’Europa, introduce sanzioni pecuniarie sino a 50 mila euro e prevede un obbligo di rettifica in 48 ore delle notizie di carattere diffamatorio. Ma aggiunge anche delle disposizioni che niente hanno a che vedere con la diffamazione introducendo un generico diritto all’oblio non contemperato dal diritto di cronaca, e in base al quale è possibile richiedere la rimozione del testo considerato diffamatorio anche dai motori di ricerca per siti, blog e aggregatori di notizie e non solo per le testate registrate.
Come già accaduto in passato si tratta di norme che se approvate, potrebbero facilmente rappresentare l’ennesimo deterrente nei confronti di un’informazione libera e indipendente soprattutto in assenza di un adeguato bilanciamento rispetto alle cosiddette “querele temerarie” che, come ha detto Milena Gabanelli, rappresentano un “atto intimidatorio e un attacco alla libertà di stampa e quindi al diritto di ogni cittadino ad essere informato”.
Secondo la popolare conduttrice televisiva, “nei paesi anglosassoni i giornalisti che diffamano sono puniti molto più severamente, ma al tempo stesso il codice di procedura civile prevede che in caso di lite temeraria, il querelante rischia di essere condannato ad una sanzione che è pari ad un multiplo di ciò che chiede come risarcimento danni (il signor tal de’ tali mi chiede 10 milioni, ma sappia che rischia di doverne pagare 20).” “Da noi nonostante sia prevista una sanzione, è raramente applicata ed è quantificabile in una multa da 1000 euro per aver disturbato il giudice per nulla”.
Per portare avanti questa battaglia di libertà decisa dall’assemblea dei giornalisti di Articolo21 poco prima di Natale, è stata avviata una campagna di mobilitazione dal sito nodiffamazione.it attraverso il quale si può aderire all’appello, scrivere ai singoli parlamentari e condividere le proprie opinioni attraverso i social e su Twitter con l’hashtag #nodiffamazione.