«Internet gratis per mezz’ora» è un’idea populista
di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 28 GIUGNO 2018
L’Italia è stato il quarto paese al mondo a collegarsi ad Internet. Era il 30 aprile del 1986. Dai computer del Cnr di Pisa un messaggio di saluto veniva inviato a Roaring Creek in Pennsylvania ricevendone risposta attraverso i satelliti Telespazio del Fucino, in Abruzzo.
La piattaforma di connessione “fra computer diversi appartenenti a reti eterogenee” su cui aveva viaggiato si chiamava ancora Arpanet, dal nome della struttura di ricerca che l’aveva progettata prima come ufficio civile presso la Casa Bianca del presidente Eisenhower e poi come struttura della Difesa, da cui il nome successivo Darpanet. Ma non fu mai un progetto dei militari, anche se fu da essi finanziato.
Il suo ideatore, lo psicologo James Robnett Licklider, la immaginava come una biblioteca universale. Bisognerà arrivare all’invenzione dei protocolli di comunicazione di Vinton Cerf e Bob Kahn, per parlare di Internet: Internet infatti è solo e soltanto l’insieme delle reti che usa i protocolli Tcp/Ip, Transmission Control Protocol/Internet Protocol. Il nome Internet verrà usato dal 1995 quando le principali dorsali di comunicazione dati metteranno in connessione i privati e non più soltanto i centri di ricerca accademici e militari usando il Tcp/Ip.
Da tre anni in Italia si festeggia l’Internet Day per ricordare quell’impresa pioneristica che l’Italia perseguì a pari merito con la Germania e dopo la Francia e l’Inghilterra. Quest’anno l’Internet Day si è tenuto alla Camera dei deputati, organizzato dall’Agenzia giornalistica italia – Agi diretta da Riccardo Luna, tra i maggiori divulgatori della Rete nel Bel Paese.
Per l’occasione Agi e Censis hanno pubblicato una ricerca sul rapporto fra gli italiani e Internet in cui emerge che “i dati personali raccolti dalle piattaforme tecnologiche sono un valore che va tutelato; che la nostra identità digitale va protetta dagli attacchi criminali; che molti si pongono il problema di essere sempre connessi e che sono dipendenti da Internet.”
Il 51,1% degli italiani della ricerca sono “internauti standard” e usano tutti i servizi Internet, con al primo posto i servizi di messaggistica istantanea: il 73,4% degli utenti internet ne dichiara un uso continuativo durante il corso della giornata. Seguono l’uso di e-mail (64,8%), social network (61%) e motori di ricerca (53,8%).
«Tutti on line su social e messaggistica quindi, ma solo se gratuiti. L’introduzione di un canone di pagamento o tariffa determinerebbe infatti l’abbandono di circa 2/3 degli utenti».
Sulla base di questi dati non poteva non stupire la battuta del vicepremier Di Maio che ha proposto mezz’ora di Internet gratis al giorno per chi non se lo può permettere. Si riferiva senza esplicitarlo al cosiddetto Digital Divide, il divario digitale che separa chi accede e usa la rete e chi non lo può fare. Ma qui si tratta spesso di chi la rete non la sa usare, non ne comprende i benefici, non trova motivi per farlo in un paese al 25’ posto in Europa per innovazione digitale.
Quindi, come corollario del «diritto all’accesso», messo nero su bianco dal compianto Stefano Rodotà nella Carta per i diritti di Internet, parrebbe una buona idea, piuttosto naive. Idea populista, perché il problema non è il costo della connettività, che molti comuni già danno gratuitamente, quanto invece l’alfabetizzazione alla rete, l’efficienza dei carrier o l’esistenza di aree a fallimento di mercato dove i provider Internet non investono. Oggi il problema dell’accesso è il problema della «cultura dell’accesso».