Foia, non decolla la legge sulla trasparenza amministrativa in Italia
Realizzato dalla onlus Diritto di Sapere, il monitoraggio dell’applicazione del Freedom of Information Act italiano offre dati poco incoraggianti. Ma gli spazi per migliorare ci sono
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 10 aprile 2017
ERAVAMO tra i peggiori, stiamo migliorando. Poco. Alla fine del 2016 l’applicazione della nuova legge sulla trasparenza amministrativa (Freeedom of information act – Foia), ha fatto salire l’Italia nella graduatoria internazionale dell’accesso alle informazioni. Secondo i dati che emergono dal primo monitoraggio dei risultati dell’applicazione della nuova legge siamo passati dall’essere tra gli ultimi dieci ad occupare il 55esimo posto. Ma a ben guardare è ancora lontano il momento per far festa: lo studio, realizzato sul campo dall’associazione Diritto di Sapere col supporto di varie organizzazioni tra cui Transparency International, Antigone, Arcigay, Legambiente, Lunaria, Greenpeace e altre, ha messo a fuoco tre ragioni per cui la legge non ha ancora generato il risultato atteso, ovvero garantire nel complesso agli italiani un vero diritto di accesso all’informazione amministrativa. La prima: le 800 richieste inoltrate hanno ricevuto il 73% di non risposte; uno su tre dei rifiuti opposti non ha chiarito la motivazione del rifiuto o ha sfruttato eccezioni non previste dal decreto; infine la scarsa conoscenza del nuovo istituto da parte degli stessi addetti all’amministrazione. La prova? Quando i 56 volontari inoltravano le richieste di accesso agli atti veniva chiesto loro se il Foia fosse un’azienda. Ed è per questo che gli estensori dello studio hanno deciso di intitolarlo “Ignoranza di stato”.
La nuova legge, che parte della riforma della Pubblica Amministrazione voluta dal governo di Matteo Renzi e realizzata dal ministro Marianna Madia, aveva destato molte speranze di rendere il nostro paese più trasparente grazie alla possibilità dei cittadini di controllare l’operato di funzionari, ministeri, regioni, enti territoriali, con delle semplici richieste di spiegazioni. Un tentativo essenziale, quello di ottenere accesso e ricevere copia di tutti i documenti, i dati e le informazioni detenuti dalle Pubbliche amministrazioni, perché i cittadini possano pienamente prendere parte al processo di formazione dell’opinione pubblica e parteciparvi monitorando come vengono gestite dalla burocrazia aree sensibili del funzionamento dello stato quali la sanità, la giustizia, la scuola, le spese e gli appalti. Un passaggio obbligatorio per poter annoverare l’Italia fra quei cento paesi che già oggi riconoscono l’accesso ai documenti pubblici quale diritto civile fondamentale celebrato nella Giornata mondiale del diritto di accesso voluta dall’Unesco per il 28 settembre. A mettere alla prova la solidità della legge, i suoi intenti e la reale applicabilità in Italia, un paese come dove cattiva gestione e corruzione vanno a braccetto anche per la scarsa trasparenza amministrativa, hanno pensato allora le organizzazioni che hanno partecipato allo studio. Vediamo nel dettaglio cosa hanno verificato.
I temi delle richieste e le risposte mancate. La richiesta di accesso a dati e documenti fatta da giornalisti, media e Ong, ha riguardato sia temi minori come lo stato di realizzazione della pista ciclabile nel proprio comune e sia quelli più sensibili come il finanziamento dei centri antiviolenza, dalla quantità di risorse investite in energie rinnovabili agli incidenti sulle piattaforme petrolifere fino allo stato dell’accoglienza dei migranti nel nostro paese. Purtoppo gli uffici interpellati non hanno risposto 7 volte su 10 entro i 30 giorni previsti dalla legge e la metà delle amministrazioni ha semplicemente ignorato le richieste. Solo il 17% dei casi ha registrato una risposta soddisfacente con Regioni e Comuni che hanno avuto un comportamento virtuoso fornendo ai richiedenti dati come gli scontrini di viaggio dei presidenti regionali di Emilia Romagna e Toscana, le copie delle ispezioni sanitarie nelle carceri o le email di reclamo per il cattivo trasporto pubblico a Torino e Milano, fino ai dati sui centri di identificazione dei migranti.
Sul tema delle risposte mancate, spesso motivate in maniera illegittima, Guido Romeo, presidente dell’associazione Diritto di Sapere sostiene che “Il Governo deve agire tempestivamente richiamando tutti all’obbligo di risposta, introdurre sanzioni per chi non lo rispetta e proporre dei corsi di formazione per educare a rispettare quest’obbligo”. C’é però secondo Romeo un dato positivo: “Lo strumento del Foia, quando ben applicato, ha portato alla divulgazioni di documenti prima inaccessibili e mai rilasciati in open data. C’è ancora molto da fare e credo che su questo si misurerà la reale volontà del Ministro Madia di sviluppare quel piano di azioni per l’amministrazione aperta ha sempre promesso”. Insomma, la legge è migliorabile, in fondo anche Barack Obama l’ha profondamente riformata nel corso del suo ultimo mandato. Perché non può farlo anche l’Italia?