Hacker e agitatori telematici
provano a riprendersi L’Aquila
Per tre giorni i virtuosi del software a convegno nel capoluogo abruzzese dentro L’asilo Occupato. Privacy, software libero e movimenti in rete. Socialità e impegno politico per le controculture digitali italiane che sfornano libri, scrivono software e creano reti wifi autogestite di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 26 giugno 2012
C’E’ MENO trambusto del solito intorno all’hackmeeting di quest’anno a L’Aquila 1. Eppure il quindicesimo incontro delle culture hacker italiane non dovrebbe passare inosservato sia per la buona qualità dei seminari che ogni anno in questa occasione vengono offerti ai partecipanti, sia per il luogo, fortemente simbolico, del meeting. E’ infatti nella capitale abruzzese che fatica a riaversi dopo il terremoto, che agitatori digitali e smanettoni d’ogni specie si sono dati appuntamento dal 29 giugno al primo luglio per il loro incontro annuale. Il manifesto di convocazione spiega tutto: “L’Aquila è stata e continua ad essere il più grande laboratorio del nuovo autoritarismo. La sospensione delle libertà di riunione e di informazione durante la gestione dell’emergenza post-terremoto e una ricostruzione dettata dai soli interessi della speculazione hanno, da un lato tentato di bloccare la partecipazione alla ricostruzione, dall’altro smembrato la città in dislocate newtown uccidendo ogni socialità mentre, come al solito, un’astuta gestione della paura collettiva ha fatto il resto.”
SCATTI DALL’HACKMEETING
Contro l’anarco-capitalismo. In linea con la filosofia libertaria della mailing list attraverso cui viene organizzato l’evento, una ciurma di comunardi poco amanti delle strette regole incorporate nella tecnologia quotidiana e portatori di principi altri da quelli anarco-capitalisti della Silicon Valley, daranno a L’Aquila la loro interpretazione di apps per smartphone, di privacy nei canali sociali e della presunta sicurezza di reti e dispositivi digitali. Ma si parlerà anche di contrasessualità come tecnologia di resistenza 3, di videocamere di sorveglianza e di retrocomputing 4.
La bacheca dei seminari è quasi pronta, ma nelle mailing list e nei social network se ne parla davvero poco. I motivi sono molti e diversi. Primo: una cultura hacker divisa fra la voglia di essere underground e autosufficienti e quella di essere overground e visibili, già chiaro nel rapporto di amore/odio coi giornalisti che spesso considerano servi o al massimo precari malpagati e che sono pronti a insultare per un aggettivo di troppo. Secondo: la difficoltà a passare dalla condivisione alla produzione collettiva, che è cosa assai più difficile, come dice Clay Shirky, e che però si realizza come produzione di senso anche quando non produce teorie ma pratiche, ad esempio, andare in un posto abbandonato o sotto sgombero e presidiarlo riempiendolo di cavi e contenuti affinché possa camminare meglio sulle proprie gambe quando serve. Terzo. La crisi generalizzata di un certo modo di veicolare e diffondere sapere critico, proprio di un’era pre-social network, pre-corsi universitari, pre-agenda digitale.
L’Hackmeeting fa scuola. Eppure l’hackmeeting in Italia ha fatto scuola e cultura. Dal 1998, quando nacque a Firenze per opera del coordinamento di Ecn – lo European Counter Network, passando per Milano, Roma, Napoli, Pisa, Palermo -, fino al 2011, di nuovo a Firenze con Richard Stallman per la critica radicale al software proprietario e a “faccialibro” insieme a Carlo Formenti per distruggere l’idea “buonista” delle esternalità di rete e del crowdsourcing.
Collettivamente disinteressati a chi fa le regole per l’Agcom e del vasto movimento d’opinione organizzato intorno ai temi della trasparenza delle nomine in Rai, alla Privacy e ai Trasporti, appena attenti a leggi come Acta, Sopa e Pipa, gli hacker dell’hackmeeting hanno pure idee diverse e controverse sui nuovi miti ribelli: Assange, Anonymous e i ragazzi con lo smartphone di piazza Tahrir. Però si fa fatica a credere che in mezzo a loro non ci siano i più politicizzati fra quelli con la maschera di Guy Fawkes. E infatti, molti di loro, che di giorno conducono vite normalissime, sono sempre i primi ad accorrere se c’è da riparare un torto o aiutare qualcuno in difficoltà dietro a una tastiera. Ma non si dice e non si fa in pubblico.
Hacker di carta. Eppure, nonostante la diffidenza per la fabbrica dei media e la poca voglia di teorizzare, sono molti gli hacker dell’hackmeeting che scrivono per vivere e fanno libri da vendere. E’ infatti dalla cultura degli hacker, degli hacklab e dell’hackmeeting che sono nati in Italia i collettivi più radicali di scrittura collaborativa di software e di libri. Come Ippolita, che ha appena dato alle stampe, digitali, “Nell’acquario di Facebook. La resistibile ascesa dell’anarco capitalismo 5”; come quelli che dal Bulk di Milano passando per Indymedia, approdati a Autistici/Inventati, hanno scritto il libro “+ Kaos, 10 anni di hacking e mediattivismo 6” , o quelli di “Mela Marcia. La mutazione genetica di Apple 7”. Ma anche singoli che a quella cultura si sono abbeverati per scrivere “La mela bacata 8”, “La collera della Casbah 9” e “Hacker. Il richiamo della libertà”.
Insomma a L’Aquila si incontreranno gli esponenti di una cultura consapevole di se stessa e critica verso lo status quo ma che non si pone in maniera egemone rispetto alla società – “condividere saperi senza fondare poteri” – , e che, per quanto assimilata nei circuiti accademici, irreggimentata nel lavoro subordinato, obbligata a fare impresa, trasformata in ideologia produttiva, è portatrice di una concezione e di un’etica della tecnologia che si ribella ancora. Come ha dimostrato il progetto “Wikistrike”, una guida online e di carta contro i soprusi del lavoro 10. Una cultura i cui aderenti sono sempre pronti a creare nuove reti di resistenza al capitalismo della profilazione digitale – andando su Diaspora anziché Facebook – e alla dittatura delle Telco piazzando antenne wifi e tirando cavi come fanno quelli di EigenLab 11 e Ninux 12, contro il digital divide e il controllo sociale. Stay Tuned. Revolution won’t be televised. (Rimani sintonizzato. La rivoluzione non sarà trasmessa in televisione)