In questi mesi ci siamo resi tutti conto dell’importanza dei computer e della rete internet per studiare e lavorare da casa, ma i dati ci hanno mostrato che solo il 76% della popolazione adulta italiana ha usato internet negli ultimi tre mesi e che il 12% di studenti il computer in casa non ce l’aveva.
Le Linee guida prevedono anche l’informatizzazione della Pubblica amministrazione orientata anch’essa allo «smartworking» come le aziende private e poi il completamento della rete nazionale in fibra ottica e lo sviluppo delle reti 5G per migliorare l’efficienza dei servizi che corrono sul web.
Il digitale, l’informatica, le telecomunicazioni sono necessari a tutti i settori di spesa, in particolare se la fase pandemica ci obbligherà a stare a casa più del solito, svolgendo a distanza molte funzioni per le quali usavamo un luogo d’incontro fisico.
Proprio per questo la domanda che ci viene naturale è: ma alla resilienza informatica, ci avranno pensato? E quanti soldi ci saranno per garantirla?
Si può parlare in molti modi di resilienza, un concetto strettamente collegato alla capacità degli esseri umani di «autoripararsi» dopo uno shock, un trauma profondo, ma che in una società iperconnessa è sempre più applicato a Internet e all’informatica, dove per resilienza si intende più o meno la stessa cosa: la capacità di ripartire da dove siamo stati interrotti, ad esempio da un attacco informatico.
Se non saremo capaci di sviluppare questa resilienza anche gli altri settori di intervento ne soffriranno. Come quelli della Sanità o dell’Istruzione.
Venerdì scorso l’Università di Tor Vergata, uno dei maggiori atenei italiani, è stata attaccata da un «ransomware» che avrebbe cifrato i dati delle ricerche sul Covid salvati nel «cloud» dell’ateneo.
Poi c’è stato il comune di Latina, bloccato per un giorno intero a causa dell’attacco di un altro «ransomware», il Cryptolocker, in vendita nel dark web a 100 dollari.
Prima ancora il comune di Rieti a cui è stato chiesto un riscatto da 500mila euro in Bitcoin.
Sempre nella bozza si legge che «si investirà nella digitalizzazione dell’assistenza medica ai cittadini, promuovendo la diffusione del fascicolo sanitario elettronico, della telemedicina e il sostegno alla ricerca medica, immunologica e farmaceutica». Che oggi si fanno in rete, comprese le cure per il Covid, con macchine diagnostiche con cui ogni medico può esaminare a distanza i propri malati e decidere se intervenire.
Siamo pronti a proteggere tutti quei dati? E le infrastrutture su cui viaggiano? Con quali fondi?
Per i pirati informatici i centri ospedalieri e di ricerca sono un bersaglio appetibile per furti, sabotaggi, richieste di riscatto, e una cartella clinica per loro vale di più di una carta di credito perché ha informazioni che non scadono e che possono essere collegate a informazioni creditizie e finanziarie.
La sicurezza informatica di ospedali, scuole, trasporti e «smart cities» pertanto non è un accessorio, ma un elemento abilitante della resilienza del paese.
Ci avranno pensato?