Icann, ecco come internet diventerà più robusta e neutrale
Il dipartimento del Tesoro Usa cede a Icann la gestione degli indirizzi del web. Il suo presidente Fadi Chehade spiega come gestirà la rete nei prossimi anni
di Arturo Di Corinto per Wired del 20 Aprile 2015
I dispositivi connessi a Internet nel 2020 saranno 50 miliardi, forse di più. L’internet delle cose è la nuova frontiera del business e nel 2019 varrà 1,7 trilioni di dollari. Solo in Europa le professioni legate a Internet offriranno 150 mila posti di lavoro nei prossimi due anni. I social network sono la spina dorsale delle relazioni digitali.
Nel dibattito sull’evoluzione digitale delle nostre società troppo spesso dimentichiamo che quei servizi e quelle funzioni a cui affidiamo il nostro futuro dipendono dal funzionamento di Internet come infrastruttura globale. E mentre dimentichiamo che la sua evoluzione e stabilità sono i prerequisiti di quelle attività, ci scordiamo pure che la rete è un bene scarso, che non arriva ovunque e che non funziona da sola. La diamo per scontata. Ma la rete funziona perchè c’è chi la fa funzionare ogni giorno. L’Icann, l’autorità che assegna i nomi a dominio è l’attore principale del suo funzionamento, garantendo l’unicità delle risorse informatiche sui server distribuiti nelle reti di tutto il mondo. Internet infatti non è una semplice rete, ma una rete delle reti che le connette tutte a partire da regole condivise.
Perciò desta qualche preoccupazione la notizia che l’Icann sta per cambiare la sua mission di gestione della rete in seguito alla decisione degli Stati Uniti di cedere il controllo finora esercitato attraverso il dipartimento del commercio USA sulle DNS root zone, cioè sulla gestione dei processi di attribuzione dei domini e di indirizzamento del traffico. Per capirci, qualcosa di simile alle funzioni svolte dagli svincoli autostradali e dai cartelli segnaletici che, se corrispondono alle indicazioni sullo stradario, ci aiutano a non perderci quando intraprendiamo un viaggio.
Di questa missione e di questo cambiamento abbiamo chiesto a Fadi Chehade, da tre anni presidente e CEO di Icann. Fadi è un ingegnere, vive a Los Angeles da 30 anni, è sposato con due figli, di origine libanese con ascendenze italiane.
Cosa fa esattamente Icann?
“Icann è un’associazione non profit fatta di governi, aziende e società civile che lavorano insieme per gestire il livello logico infrastrutturale di internet. Internet è un insieme di migliaia di reti, ma si vede come una rete unica perchè c’è questo livello superiore.
“Icann si occupa degli identificatori unici, i numeri IP, che individuano ogni oggetto connesso a Internet e che corrispondono ai nomi attraverso cui un utente umano trova sulla rete le risorse che cerca. Questi IP corrispondono a dei nomi che sono elencati dentro una directory, il root system, organizzato e mantenuto da Icann e distribuito in tutto il mondo”.
Facciamo un esempio…
“Se cerchi wired.it, come fa il tuo telefonino a trovare il server? Quando mandi la richiesta, questa passa per il tuo Internet provider, che cerca nella propria directory. E come trova il .com? Interrogando il server di root di tutti i domini .com. che sono gestiti dall’Icann. Questo tipo di indirizzamento funziona bene da venti anni senza confusione tra .com e org.
“È una specie di stradario continuamente aggiornato. Se non lo fosse non saremmo in grado di trovare ciò che cerchiamo”.
Nel gergo dei nerd si dice che se una cosa funziona non devi aggiustarla. Ma allora perchè Icann dovrebbe cambiare la sua governance?
“Internet è una piattaforma dell’economia, della cultura, delle relazioni personali. Internet è una piattaforma per tutti e non ha frontiere. La sua attuale governance non è compatibile col suo carattere transnazionale sopratutto oggi che il mondo è diventato multipolare e multiattore.
“Icann è stata creata dallo stato americano, con una vision liberale, ma è comunque “controllata” dal governo americano. Icann ha un contratto per cui ogni volta che cambia un qualcosa nel root system bisogna dirlo agli Usa. Vuoi un nuovo dominio .paris? Lo devi dire a loro. Perciò abbiamo bisogno di cambiare modello”.
Quindi questo cambiamento di governance riguarda un nuovo modo di funzionare di Icann senza gli Usa?
“Gli Usa e gli altri governi saranno comunque partecipi della sua gestione ma allo stesso livello degli altri. Essi sono importantissimi per la sua gestione, ma lo stesso vale per i tecnici, le imprese e i pensatori che ci stanno aiutando a capire come andare oltre il modello attuale. In realtà cambierà poco. Accadrà che aggiungendo un .Paris al root server dopo aver avviato la procedura per farlo, non dovrò chiedere il permesso agli states. Intendiamoci. Il controllo prima esercitato non è mai stato usato per impedire l’apertura di nuovi domini. Ma è comunque una forma controllo che ha dato origine a conflitti diplomatici che vogliamo superare”.
Quindi non è solo una questione formale…
“Esatto. Ti faccio un altro esempio. Icann fa il suo lavoro associando il country code dello Yemen a una specifica macchina che si chiama .ye. Questa macchina è localizzata fisicamente in un luogo occupato dai ribelli houti in guerra col legittimo governo e la macchina non è più controllata dal governo. Per garantire il corretto reindirizzamento verso i siti internet della rete di quel paese il presidente yemenita ci ha scritto per associare l’indirizzo a un’altra macchina fisica. Abbiamo aperto il processo e saranno gli USA a dare l’ok definitivo”.
Il carattere univoco dell’indirizzario gestito da Icann decide la fortuna comunicativa, economica e commerciale di chi vi è elencato perchè gli americani l’abbandonano?
“Il controllo degli Usa riguarda solo una parte piccolissima della gestione di Internet. Tuttavia gli Usa hanno capito che occorre un modello nuovo e perciò hanno chiesto il rispetto di alcune condizioni che stiamo dicutendo. Per gli Usa il nuovo modello dovrà essere aperto e inclusivo, resistente a ogni tentativo di controllo governativo o aziendale e non dovrà essere delegato a entità sovranazionali come l’Onu dove il potere di veto di alcuni attori potrebbe pregiudicarne la libertà e l’efficienza.
Entro giugno arriveranno le proposte definitive da parte di tutti gli attori e per il 30 settembre la transizione, potrebbe essere una realtà”.