Anonymous: “Guerra totale all’Is”, ma col crowdfunding
Colpo di scena nella campagna degli hacktivisti contro i jihadisti online: iniziativa per finanziare la loro attività di antiterrorismo. Ma non tutti sono d’accordo
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 18 Marzo
UN GRUPPO di attivisti sotto il cappello di Anonymous ha da poco diffuso una lista di 9200 account Twitter considerati vicini all’Is chiedendo ai responsabili del social network di cancellarli e agli utenti di supportare tale richiesta. Un altro gruppo ha invece realizzato un “dump”, ovvero una sorta di copiatura massiva di dati per 14.000 account e relative email dei partecipanti a ben cinque forum considerati fiancheggiatori dello Stato Islamico. Un numero così grande che anziché incollarli sul solito Pastebin hanno deciso di farci un video. E siamo solo agli inizi. La resistenza all’Is è anche digitale e Anonymous è in prima fila.
Dopo questi risultati, alcuni hacker dell’operazione antiIsis che adesso fanno gruppo a sè hanno lanciato una campagna di crowdfunding per combattere il terrorismo online. Questa escalation prosegue le operazioni avviate da Anonymous da settembre 2014 e che hanno avuto il loro culmine il 7 febbraio quando con la seconda fase dell’Operazione Is, denominata #OpIceIsis, gli Anons hanno violato migliaia di account Twitter, Facebook ed email di presunti appartenenti alla galassia islamista che tifa per il Califfato. Proseguita con la denuncia degli hacker dell’Is fino alla loro identificazione, la campagna di Anonymous ha segnato parecchi punti come la chiusura di circa un centinaio di siti di propaganda jihadista, riducendone la portata.
Eppure, da quando agli attacchi contro l’Is online si sono aggiunti gli hacker di GhostSec – “Noi siamo i fantasmi che avete creato” è il loro motto – ogni giorno succede qualcosa di nuovo sul fronte della cyberwar tra Anonynmous e Is, compresa l’individuazione degli indirizzi di un noto reclutatore per l’Is, Faisal M. del sito Invite to Islam. Ma perché tanto impegno su questo fronte? Uno degli Anonymous coinvolti nell’Operazione Is, Ghost Security, ce lo ha spiegato in chat dicendo che “i social network hanno cambiato le regole del gioco. Per loro sono terreno di reclutamento.”
L’ideatore della campagna di finanziamento via Internet ha invece così spiegato le sue motivazioni: “Sono americano ed è per un enorme insulto vedere terroristi stranieri usare un sito fatto in America per incitare alla violenza contro gli americani. Io però sono un cittadino del mondo. Su Internet non esiste razza, credo o religione. Esistono la solidarietà e la libertà. Internet ha permesso il libero accesso all’informazione e e ha portato progresso e cambiamento, perciò qualsiasi cosa lo rallenti e lo impedisca merita la nostra attenzione”.
Twitter e l’ISIS: il report di Brookings Institutions. Su questo sembrano essere d’accordo anche due giganti come Google e Brookings Institutions che hanno deciso di studiare la viralità del fenomeno della propaganda filoislamica su Twitter per capire come l’Is usa il sito di microblogging creato da Jack Dorsey ed Evan Williams. Commissionato da Google Ideas e realizzato da J. M. Berger e Jonathon Morgan, il primo noto giornalista e reporter di guerra, il secondo ingegnere della piattaforma Ushaidi, il report presenta tutta una serie di interessanti statistiche sull’uso di Twitter da parte dell’Isis. E afferma che solo tra settembre e dicembre del 2014 sono stati 46 mila gli account aperti dagli estremisti localizzati in Siria, Iraq ed Arabia Saudita, ma che sono parecchi anche gli account proIsis negli USA e nel Regno Unito. Uno sarebbe stato localizzato in Italia. Di questi 46.000 i tweet ufficiali del califfato islamico sarebbero 79 e i loro contenuti tutti dedicati a diffondere la propaganda terroristica.
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Numeri preoccupanti che hanno portato il social network a chiudere molti account senza troppa enfasi, ma quando all’attività di sorveglianza di Twitter si è aggiunta la campagna degli Anonymous, attraverso un account ufficiale del Cybercaliffato sono state lanciate pesanti minacce a Dorsey e a tutti i suoi dipendenti. A conferma dello sforzo organizzativo dell’ISIS su Twitter lo studio ha rivelato che gli utenti più attivi con nickname riferibili allo Stato islamico, alla jihad e al Califfato scrivono prevalentemente in arabo da meno di 2000 account, con una media di 1000 follower a testa. Secondo l’Independent che ha intervistato un jihadista pentito, l’Is avrebbe addirittura delle strutture logistiche dedicate a ciò in qualche luogo della Siria: computer sotto le tende nel deserto a cui semplici soldati dello stato islamico non possono nemmeno avvicinarsi. E servirebbero proprio per fare propaganda e reclutare simpatizzanti della causa jihadista.
Quale strategia? Perciò adesso il dibattito è tutto sulla strategia da usare. Secondo GhostSec e CtrlSec che collaborano con Anonymous “la chiusura degli account serve a mantenere Twitter un posto sicuro”. È probabile che la rimozione degli account riduca fortemente la diffusione della propaganda e il reclutamento, ma più di uno specialista avverte che chiudergli gli account contribuisce alla radicalizzazione dei simpatizzanti e non gli consente di avvicinarsi all’Islam moderato attraverso la conoscenza e il dialogo. Inoltre, sostengono, rende difficile alle autorità monitorare i soggetti più pericolosi convincendo vieppiù gli islamisti ad aprire nuovi forum ed impegnarsi nella creazione di un proprio social network, tentativo finora fallito.